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Doccia scozzese per Nick Carter

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  Nick Carter presenta
  
  Doccia scozzese per Nick Carter
  
  di Manning Lee Stokes
  
  Titolo originale: Spy Castle
  
  Traduzione di Moma Carones
  
  No 1966 Universal Publishing and Distributing Co.
  
  No 1967 Arnoldo Mondadori Editore
  
  Segretissimo n. 187 (29 giugno 1967)
  
  Copertina di Carlo Jacono
  
  Indice
  
  Doccia scozzese per Nick Carter……………………………………………………………………….. 3
  
  1 …………………………………………………………………………………………………………………. 3
  
  2 …………………………………………………………………………………………………………………. 9
  
  3 ……………………………………………………………………………………………………………….. 14
  
  4 ……………………………………………………………………………………………………………….. 21
  
  5 ……………………………………………………………………………………………………………….. 27
  
  6 ……………………………………………………………………………………………………………….. 36
  
  7 ……………………………………………………………………………………………………………….. 43
  
  8 ……………………………………………………………………………………………………………….. 52
  
  9 ……………………………………………………………………………………………………………….. 60
  
  10 ……………………………………………………………………………………………………………… 71
  
  11 ……………………………………………………………………………………………………………… 81
  
  12 ……………………………………………………………………………………………………………… 88
  
  13 ……………………………………………………………………………………………………………… 97
  
  14 ……………………………………………………………………………………………………………. 101
  
  Doccia scozzese per Nick Carter
  
  1
  
  Sabato, 6 novembre 1965,
  
  ore cinque del mattino.
  
  Il missile si staccò dalla rampa in un punto qualsiasi della Scozia nord-occidentale, in una di quelle numerose isolette perennemente avvolte nella nebbia. Scattò in su come un sigaro gigantesco dalla coda di fuoco, un sigaro che non era soltanto carico di energia nucleare. L’esperimento aveva soprattutto lo scopo di seminare il terrore.
  
  La scura roccia vulcanica dell’isola rabbrividì e si disgregò nei pressi della rampa, ma la maggior parte del frastuono venne assorbito e coperto dalla tempesta che soffiava da nord-ovest. Gli uomini che avevano lanciato il missile avevano contato appunto su quella tempesta che li avrebbe aiutati a lavorare tranquilli.
  
  Il razzo compì la sua lunga parabola nel cielo nero, mentre il giroscopio entrava in azione.
  
  Nel bunker uno degli uomini in camice bianco osservò:
  
  — È facile da lanciare…
  
  Un altro guardò l’orologio da polso e disse:
  
  — Be’, tra quattro minuti lo sapremo.
  
  Un terzo uomo, che parlava con un accento nasale tipicamente americano, fece notare agli altri:
  
  — Un boato simile lo devono aver sentito in tutto il mondo!
  
  Frattanto, il missile aveva raggiunto la velocità massima. Arrivato all’apogeo, cominciò a piegarsi un poco verso il basso. Funzionava in modo perfetto, ed ora aveva il naso puntato verso l’obiettivo, che era il Polo Nord. Sembrava un cane da caccia bene addestrato che rincorresse un uccello…
  
  Nell’attico, i rumori del traffico di New York giungevano attutiti dall’altezza di quaranta piani. Erano come una sinfonia soffocata e confusa entro la quale era difficile distinguere i suoni dei singoli strumenti. Lassù Nick Carter stava dormendo, ma il suo sonno era turbato da una sorta di incubo che non gli era nuovo. Si agitava irrequieto, contraendo di continuo la possente muscolatura, e sulla fronte corrugata c’era qualche goccia di sudore. Una lama di luce al neon che penetrava dall’esterno gli illuminava il volto dai tratti classici e duri, un volto da dio greco. A parte gli occhi, che in certe occasioni potevano diventare dolci o maliziosi, la faccia di Nicholas Huntington Carter era fredda e impenetrabile, con qualche sfumatura di crudeltà. I lineamenti erano quelli di un Apollo, ma l’abitudine al pericolo ne aveva contaminato la purezza, facendoli assomigliare piuttosto a quelli tormentati di Apollione, angelo decaduto senza speranza di riscatto. E quella benigna lama di luce non metteva in evidenza lo sguardo di Nick, che a volte diventava più tagliente di una lama di rasoio.
  
  Il missile si tuffava, adesso, e alla sua velocità folle, si era aggiunta anche la forza di gravità. Il gran deserto bianco scintillava là sotto. L’occhio di ghiaccio del Polo stava fissando quel terribile intruso che stava per accecarlo. La distesa artica stava aspettando che il fuoco fatto dall’uomo la liberasse, trasformandola in un’enorme massa di vapore acqueo.
  
  Alla fine l’incubo ebbe la meglio, e riuscì a svegliare Nick Carter con uno scossone. “Sterminio” se ne stette un po’ senza respiro, tremante e sudato; poi si asciugò la fronte con il dorso della mano e scivolò fuori dal letto, infilando i piedi nelle pantofole. Indossò anche la vestaglia e guardò la ragazza che dormiva supina, coperta solo fino alla, vita. Si chiamava Melba O’Shaughnessy, era irlandese e veniva da Dublino. La sera prima aveva debuttato al Metropolitan nella Bohème, interpretando il ruolo di Musetta. Oggi tutta New York si sarebbe gettata ai suoi piedi. Le avevano chiesto una ventina di bis. E Nick, che l’aveva conosciuta più tardi al trattenimento dato in suo onore, era riuscito in breve a rapirla e a portarsela lassù, nel suo attico del quarantesimo piano…
  
  Il missile si tuffò profondamente nel ghiaccio ed esplose. Cinquanta megatoni di furia selvaggia si scaricarono sulla sommità di un mondo che ancora non si era reso conto di essere stato colpito. Per un raggio di una settantina di chilometri all’intorno, il manto gelido si sciolse e ribollì.
  
  Su un’isola galleggiante di ghiaccio, a circa 150 chilometri di distanza, a sud, un gruppo di scienziati americani e tedesco-occidentali fissarono inorriditi quella palla di fuoco che passava nel cielo. Uno dei tedeschi si spazzò via i ghiaccioli dalla barba con dita tremanti e borbottò:
  
  — Mein Gott! Quel porco! Mein Gott, l’ha lanciato davvero!
  
  Uno scienziato della Marina americana si mise a riflettere al la svelta. Osservando il “sigaro” infuocato che si allontanava verso la meta, disse:
  
  — Non dobbiamo arrivare troppo presto alle conclusioni. Quell’affare sembra diretto verso il Polo. Come mai? Perché sprecherebbe un missile in questa maniera?
  
  A meno che non sia una sorta di avvertimento… E quei tipi non avvertono mai. No…
  
  C’è del marcio in Danimarca… Ve lo dico io!
  
  E corse verso la tenda, dove c’era la rice-trasmittente.
  
  Nick Carter, alias Numero Tre, a cui l’AXE aveva dato licenza d’uccidere tanto da fargli meritare il soprannome di “Sterminio”, rimase per un po’ immobile accanto al letto e ammirò Melba O’Shaughnessy. Stava per coprirle il petto nudo, ma poi preferì guardarlo ancora un po’. Ne valeva la pena. Melba aveva due seni superbi, proprio adatti a una cantante lirica. Nick si vantava di essere un esperto in materia. E quei due promontori avevano qualcosa di eccezionale. L’epidermide era bianchissima, morbida e vellutata, d’una perfezione marmorea, appena venata d’azzurro. Morbida e soda. Veramente squisita! Quei seni parevano scolpiti nel marmo di Carrara.
  
  Nick sorrise ripensando a ciò che era avvenuto. Melba si era mostrata sensibilissima e gli aveva dato una grande soddisfazione. Aveva mugolato e singhiozzato di piacere. Sì, era stato meraviglioso. La prima volta, in genere, è sempre così. E tutto era accaduto così in fretta… Qualche coppa di champagne al ricevimento, poi Nick le aveva suggerito di piantare tutto e di scappare via con lui.
  
  Dapprima Melba aveva riso, mostrandogli i magnifici denti candidi, e aveva osservato:
  
  — Immagino che avrete una collezione di quadri da mostrarmi, vero? Andate in fretta voi, signor Carter!
  
  Nick non si era lasciato smontare e aveva precisato:
  
  — Ho un attico dove abitualmente vivo solo. Ma per divertircisi, è meglio essere in due. Vi sembro troppo svelto? Ma mia cara, viviamo in un mondo di velocità, ormai… Il domani potrebbe anche non venire.
  
  La ragazza aveva riso ancora, e Nick aveva colto una scintilla maliziosa negli occhi violetti.
  
  — Carpe diem?
  
  — Qualcosa di simile, ma vi prego, risparmiatemi il latino! A scuola mi bocciavano sempre in quella maledetta lingua. Ma se significa quel che penso, d’accordo. Diciamo alla buona che bisogna cogliere le occasioni quando si presentano per non avere rimpianti dopo.
  
  Melba lo aveva studiato bene con quei suoi occhioni violetti, e Nick aveva capito di aver fatto centro. Su quelle labbra rosse e sorridenti aleggiava il desiderio. Gli aveva domandato:
  
  — Partite sempre all’attacco in questo modo… Nick?
  
  — Credo di sì. Vogliamo andare?
  
  Poco dopo, mentre filava fuori con lei, Nick s’era detto che nella sua professione era indispensabile aggrapparsi all’attimo, più che all’ora. Era quasi un mese ormai che il telefono azzurro del suo attico non suonava. Lui sapeva benissimo che la vacanza non sarebbe durata molto. Ben presto la voce asciutta di Della Stokes – la segretaria privata di Hawk – gli avrebbe detto di mettersi in moto. Poi anche Hawk sarebbe venuto all’apparecchio e gli avrebbe ordinato di partire per chissà dove.
  
  Purché il telefono non trillasse proprio stanotte…
  
  In tassì aveva baciato Melba O’Shaughnessy, e lei aveva risposto con abbandono, poi aveva sussurrato:
  
  — Mi sembra d’essere una donnaccia, sai? Ti assicuro che di solito non lo sono.
  
  Mi rendo conto che non dovrei mostrarmi così facile. Ma con te… Hai qualcosa di speciale che fa naufragare tutte le mie inibizioni…
  
  Adesso Melba dormiva, appagata. Quando Nick si decise a coprirle il seno, vide un sorriso felice su quelle belle labbra golose.
  
  Il tempo era pessimo sulla Gran Bretagna e sul continente europeo. Pioggia mista a nevischio ghiacciato, più un vento terribile di nord-ovest che schiaffeggiava tutte le capitali. In ogni città, alle otto in punto, era giunto un dispaccio indirizzato al Primo Ministro, Presidente o Cancelliere, e sull’angolo di ogni busta si leggeva la scritta:
  
  «TOP SECRET – Urgentissimo. Si riferisce all’esplosione atomica polare.»
  
  L’arrivo di quelle lettere, come il lancio del missile, era stato calcolato al secondo.
  
  Era la vecchia tecnica di Hitler, quella di compiere e di rivelare una mossa ardita a fine settimana, mentre il meccanismo governativo si muove a rilento e il personale importante è disseminato qua e là, e difficile da reperirsi. Quando i grossi funzionari sono rientrati dalla caccia o dalla pesca e sono riusciti a riunirsi per deliberare, è ormai troppo tardi. Si trovano di fronte al fatto compiuto.
  
  Hitler usava questa tecnica con grande successo. Adesso un altro cervello astuto la stava sfruttando. Un cervello che disprezzava Hitler solo perché gli era andata male, ma che condivideva la sua folle megalomania. Il nuovo pazzo si firmava con un nome che ricordava molti secoli di storia celtica. In calce ad ogni lettera c’era, scritta in rosso, la parola “PENDRAGON”.
  
  Frattanto, mentre i vari presidenti europei leggevano la propria lettera, i Ministeri dell’Est e dell’Ovest vivevano minuti di attività febbrile. Telefoni e telex erano addirittura incandescenti. Il Presidente degli Stati Uniti assicurava formalmente a quello dell’URSS che non era stato il suo paese a lanciare il missile al Polo. E il suo interlocutore assicurava altrettanto formalmente che neppure il suo paese l’aveva lanciato. Chi, allora?
  
  Gli inglesi? I francesi? Gli italiani? I tedeschi? Impossibile. I francesi erano appena agl’inizi della corsa atomica e non avrebbero potuto permettersi una bravata simile.
  
  L’Italia e la Germania occidentale non ce l’avevano neppure, la Bomba.
  
  L’Inghilterra? Per carità, addirittura impensabile! Ma da dove era partito quel missile, dunque?
  
  Il presidente americano e quello russo si parlavano con accenti di disperata urgenza, ognuno cercando di convincere l’altro, ognuno consapevole che il mondo se ne stava pericolosamente sull’orlo di una guerra nucleare. Ognuno dei due assicurava l’altro del proprio desiderio di pace. Infine decisero di restare in attesa di ulteriori sviluppi.
  
  Fu in quel momento che arrivarono le famose lettere. Ma solo in Europa. Nessuno aveva avvertito la Russia né l’America. Appena letto il messaggio, il Premier della Gran Bretagna telefonò al presidente degli Stati Uniti. Dopo un colloquio rapido, frenetico, durante il quale la linea con Mosca rimase aperta, giunsero anche le chiamate da Parigi, da Roma e da Bonn.
  
  Dieci minuti dopo, le cose erano se non altro più chiare. Non che i capi dei sei paesi più importanti del mondo si sentissero più tranquilli, ma se non altro erano un po’ più sollevati per il tempo che ancora li separava dall’ora zero.
  
  Le lettere erano molto esplicite; concedevano una settimana per obbedire alle richieste esposte nel messaggio. Pendragon aveva parlato!
  
  Certe notizie trapelano fatalmente, e la stampa non tarda ad impossessarsene.
  
  Anche stavolta andò così. I giornali di tutto il mondo commentarono la misteriosa esplosione al Polo Nord. Non sapevano altro e non potevano pubblicare altro, così milioni di lettori rimasero con il fiato sospeso. Per comune accordo la cortina di ferro della censura si abbatté su tutti i quotidiani, in Inghilterra, negli Stati Uniti e in tutti gli altri paesi. Dopo quella breve notizia allarmistica, più nulla. Silenzio assoluto.
  
  Pendragon, annidato in mezzo alla diabolica ragnatela da lui stesso tessuta, esaminò la briscola che aveva in mano e sorrise.
  
  Nick Carter si versò un whisky allungato e se lo portò in terrazza. Melba dormiva ancora, sempre con quel sorrisetto sulle labbra. Nick accese una delle sue lunghe sigarette speciali (un misto di tabacco di Latakia, Perique e Virginia), che avevano una NC impressa in oro sul bocchino. Quella era una delle sue pochissime ostentazioni, e se le fumava con vero piacere, ma solo quand’era a casa sua. Non le portava mai con sé quando andava in missione, altrimenti avrebbe tradito subito la sua identità. Ora aspirò golosamente il tabacco profumato, si richiuse la porta-finestra alle spalle e tirò su il bavero della vestaglia con un brivido. Cadeva una pioggerella sottile e gelida che anneriva il mosaico del terrazzo, coprendolo di uno strato di untume. Mancava circa un’ora all’alba. Indifferente alla pioggia, Nick si affacciò al parapetto e guardò il canyon nero della Quarantaseiesima Strada. Alcune insegne al neon si riflettevano nel suolo bagnato con un’iridescenza multicolore. Il traffico era scarsissimo a quell’ora. Pareva che un serpentello metallico si fosse spezzato in tanti segmenti, pur continuando la sua corsa. Predominavano gli autocarri e i tassì notturni.
  
  Nick si disse che a New York il movimento non cessava mai del tutto, né il rumore.
  
  Alla sua destra alcune luci si accesero nel Palazzo delle Nazioni Unite. Cominciavano presto a far pulizia…
  
  Una ventata fredda gli aprì la vestaglia, e la pioggia gli bagnò le gambe. Nick bevve un altro sorso di scotch, aspirò un’altra boccata dalla lunga sigaretta, e si disse che ormai non sarebbe più riuscito a prender sonno. Era troppo sveglio, quindi tanto valeva approfittarne. Sapeva benissimo quel che avrebbe fatto. Carpe diem!
  
  Tornò in camera, s’infilò nel letto al fianco di Melba e le baciò le labbra rosse.
  
  Lei ci mise un po’ a svegliarsi, a capire chi era e dove si trovava. Per un attimo parve quasi impaurita e si scostò.
  
  Nick la strinse e le baciò un orecchio.
  
  — Non aver paura, tesoro… È solo Nick. Non ti ricordi di me?
  
  Ancora per un attimo lei cercò di divincolarsi, si dibatté fra le sue braccia come un uccellino nella pania. Ma infine le tornò la memoria. Allora gli si accoccolò addosso, e lui continuò a baciarla e a picchiettarle dolcemente la spina dorsale con le dita. Lei rabbrividì di piacere ed esclamò:
  
  — Oh, Nick, che splendido risveglio!
  
  Si baciarono ancora, a lungo. Infine Melba si staccò un momento per respirare, ma non gli tolse le braccia dal collo.
  
  — Caro, stavo sognando di te…
  
  — Hai fatto male. Sono qui…
  
  — È stata una cosa tanto meravigliosa, amore… Non potrò mai dimenticarla, mai!
  
  Nick le diede un altro bacio, poi le disse:
  
  — È un po’ presto per parlare di dimenticare. Abbiamo appena cominciato…
  
  Lei lo guardò fisso.
  
  — Davvero? Vorrei tanto crederci, Nicky caro, ma non ci riesco. Sei un tipo così strano… In un certo senso sei troppo perfetto per essere vero, e ho la strana sensazione che dopo stanotte non ti vedrò più.
  
  — Ecco la preveggenza degli irlandesi. E ne hai pure il difetto principale, sai? Parli troppo!
  
  Ma mentre cominciava i preliminari di un nuovo amplesso, Nick riconosceva che la donna aveva ragione. E fece all’amore con una sorta di fretta rabbiosa, conscio che quegli attimi di piacere erano rubati alla professione, e che da un momento all’altro…
  
  Carpe diem? Magari! Qui si trattava di sfruttare il secondo!
  
  Adesso il letto si era trasformato in un campo di battaglia, e Melba lottava con tenera furia. Diede e ricevette in egual misura, punteggiando il suo amore di gemiti convulsi di piacere.
  
  Quel maledetto telefono azzurro! Certo avrebbe suonato. Figurarsi se non avrebbe suonato. Hawk era speciale per rompergli le uova nel paniere! Non riusciva a spazzar via dal cervello quei due occhi gelidi, secchi e smorti come Dry Martini, quel sigaro puzzolente. Sentiva nell’aria che la chiamata stava per venire. Oh, Hawk, vecchio mio, aspetta un momento, un momentino ancora…
  
  Melba O’Shaughnessy, adesso in piena frenesia amorosa, smaniava e scalciava, mugolando esasperata. L’estasi arrivò per entrambi nello stesso istante, e infine Melba giacque al fianco di Nick come una bambola spezzata, ansante, svuotata e leggera.
  
  In un’altra stanza trillò il telefono.
  
  Nessuno dei due si mosse. Lei ora giaceva a faccia in giù sul guanciale, e Nick fissava il soffitto, incapace di reagire. Che tempismo, pensò con divertita stizza. Un tempismo davvero eccellente, Hawk! Vorrei potervi dire quanto siete stato opportuno nella scelta del momento, se potessi permettermi tanta confidenza!
  
  Nell’altra stanza l’apparecchio continuò a trillare, solitario, metallico e deciso.
  
  Melba si mosse, aprì un occhio e fissò il telefono nero sul tavolino da notte.
  
  — Non è questo che suona — fu il suo inutile commento.
  
  Nick rimase immobile un altro poco.
  
  — Lo so, lo so. È nell’altra stanza. Tra un attimo andrò a rispondere — borbottò.
  
  Melba si appoggiò su un gomito e lo guardò.
  
  — È un’ora maledettamente inopportuna per chiamare un cristiano! Non sarà per caso un’altra donna, tesoro?
  
  Nick rotolò giù dal letto con un grugnito.
  
  — Non c’è pericolo. Magari lo fosse! E tanto vale che risponda, perché quello continuerà a chiamare per delle ore! Sai, gli irlandesi non sono i soli che hanno una seconda vista. Io sono il settimo figlio di un settimo figlio, e sono nato con un terribile senso profetico. So chi mi chiama.
  
  Melba si accucciò come un gattino e si tirò la coperta addosso.
  
  — Sei uno strano tipo, Nicholas Carter. Va’ a rispondere, poi torna qui da me.
  
  Nick andò nell’altra stanza e staccò il ricevitore azzurro.
  
  — Sì?
  
  La secca voce zitellesca di Della Stokes gli disse:
  
  — Chiamata da Washington, Numero Tre. Codici GDG e FDM. Vi passo la comunicazione.
  
  Un brivido scosse Nick Carter, suo malgrado. Perbacco, avevano collegato i codici peggiori! GDG voleva dire Giorno del Giudizio, e FDM significava Fine del Mondo.
  
  Quello era il più grosso segnale di pericolo che un agente dell’AXE potesse mai ricevere, e aveva la precedenza su qualunque altro. Non gli risultava che fosse mai stato usato prima. Mio Dio, GDG e FDM insieme! Bisognava proprio che il mondo fosse sul punto di andare a pezzi, perché Hawk usasse quel segnale!
  
  — Sì? Pronto? — domandò Nick quando sentì la voce del capo.
  
  2
  
  Tre ore dopo Nick Carter era a Washington, nel piccolo ufficio squallido del suo capo Hawk. Fuori, in Dupont Circle, la giornata novembrina era grigia, malinconica e triste, grazie alla solita pioggerella mista a nevischio. Dentro, di là dell’innocente facciata dell’Amalgamated Press, l’atmosfera del quartier generale dell’AXE era cupa quanto il tempo. Nick non aveva mai veduto il suo capo così nero.
  
  Ora Hawk, masticando con aria incollerita un sigaro spento, presentò a Nick un tipo alto, calvo, dall’abito stazzonato di tweed.
  
  — Nick, questo è il signor Ian Travers di Scotland Yard. Dipartimento Speciale.
  
  Ha preso l’aereo ed è spuntato qui prima di voi. Si può sapere perché siete arrivato così tardi?
  
  Nick, mentre stringeva la mano dell’inglese, preferì non appellarsi al solito traffico mattutino di New York che gli aveva fatto perder tempo. Borbottò qualcosa di incomprensibile e lanciò un’occhiata di approvazione all’uomo di Scotland Yard, che lo aveva impressionato favorevolmente. La sua stretta di mano era forte e decisa come il suo aspetto fisico, e i suoi occhi d’un azzurro vivo, un po’ sporgenti, avevano dei riflessi di acciaio. Anche lui osservò Nick con franca curiosità e apprezzò quel che vide.
  
  Travers disse con accento da persona colta e tono educato:
  
  — Io ero in vantaggio, signore, perché sono stato convocato prima e già avevo un apparecchio speciale pronto a portarmi qui. Alla velocità di duemila miglia orarie, non ho fatto in tempo a salire che ero già arrivato.
  
  Nick dovette sorridere. Il mondo poteva anche trovarsi sull’orlo di un’esplosione, ma gli inglesi non rinunciavano ai loro modi educati e tranquilli. Quell’uomo però gli piaceva, e l’istinto gli suggeriva che insieme avrebbero fatto un buon lavoro. Ancora non se ne fidava, naturalmente. Nick non si fidava mai di nessuno, ad eccezione di Hawk e di se stesso.
  
  Hawk puntò il sigaro masticato contro di lui.
  
  — Adesso sedetevi e ascoltate, Numero Tre. Saremo Travers ed io a parlare. Lui è autorizzato a farlo e sa tutto quel che so io. Forse qualcosa di più. Non c’è tempo per le spiegazioni lunghe. Quando uscirete di qui avrete un’ora a disposizione per prepararvi una valigia con quel che vi occorre, poi andrete in volo in una certa località che si trova tra le isole Shetland e le Orkneys. Vi lancerete in mare con il paracadute, e uno dei nostri cacciatorpediniere, l’ Orestes, vi raccoglierà a bordo. Il cacciatorpediniere è munito di una piccola imbarcazione a vela che vi verrà destinata.
  
  Siete pratico di cutters, vero? Almeno secondo quel che afferma il vostro dossier…
  
  Nick ammise che ne era un discreto intenditore. Ian Travers, che s’era seduto e adesso stava riempiendo la pipa di tabacco, disse
  
  — Dovrete essere assai più che prudente, Nick. In questi giorni il mare è assai tempestoso tra quelle isole. Ci dispiacerebbe molto se affogaste prima di poter sbarcare e prendere i contatti che dovrete prendere…
  
  Pareva piuttosto sfiduciato, e Nick disse:
  
  — Affogare dispiacerebbe anche a me, ve lo assicuro, perciò cercherò di evitarlo.
  
  Continuate, vi prego. Vorrei che mi spiegaste qualcosa di questa faccenda perché sono completamente all’oscuro di tutto. So soltanto che GDG è stato unito a FDM. Il che mi induce a pensare il peggio. Cosa dovrei fare, dunque, per impedire al mondo di saltar per aria?
  
  Hawk gettò via il sigaro malconcio e se ne ficcò in bocca uno nuovo. Poi biascicò:
  
  — Non c’è tempo per una spiegazione completa, come vi ho detto.
  
  Ian Travers suggerì:
  
  — Almeno qualche accenno… — Guardò l’orologio. — Prima che l’aereo parta, voglio dire.
  
  Hawk aggrottò la fronte ma non si oppose.
  
  — E va bene, Travers, ma fate presto.
  
  Con poche parole l’inglese mise al corrente Nick delle lettere che erano pervenute ai vari presidenti europei, e lo informò che Stati Uniti e Russia invece non avevano ricevuto alcun avvertimento del genere. Travers descrisse le minacce di quei messaggi, e Nick sentì un brivido lungo la schiena. Domandò all’inglese:
  
  — E non sapete chi sia questo Pendragon? A me sembra un pazzo.
  
  Ian Travers scosse il capo.
  
  — Crediamo di sapere chi è, invece. Ma è stato talmente in gamba e ci ha preso in giro con tanta abilità da riuscire a mascherare completamente le sue intenzioni fino ad oggi. Sappiamo persino a un dipresso da che punto è stato lanciato quel missile al Polo. Ma non siamo in grado di far nulla!
  
  Nick confessò che non ci capiva un accidente. Ma come, se sapevano chi era quel pazzo bastardo, perché non lo immobilizzavano? Non bastava l’esercito britannico a metterlo fuori combattimento?
  
  Travers abbozzò un sorriso amaro.
  
  — Non è così semplice. Questo bastardo, come l’avete chiamato, al momento ci ha in suo potere e ci ricatta. Nella lettera ci ha avvertito che possiede altri missili, altre bombe atomiche pronte al lancio. Se facessimo solo una mossa contro di lui li mollerebbe; con le conseguenze che potete immaginare. Se osiamo intralciarlo, e sappiamo che fa sul serio, minaccia di bombardare Londra, Parigi, Mosca, Roma e Bonn. Perciò l’Esercito intero o la Marina non ci servirebbero a nulla. Anzi, affretterebbero la sua reazione. Ora come ora, abbiamo una settimana di tempo per giungere a una decisione.
  
  Nick domandò:
  
  — E chi sarebbe questo Pendragon?
  
  — Cecil Graves, Lord Hardesty. Avete mai sentito parlare di lui? È uno degli uomini più ricchi del mondo, ed è proprietario di tutto quel che vale la pena di possedere: petrolio, oro, uranio, stampa e cinematografo, televisione. Non esiste nulla di importante dove non ci sia il suo zampino. E adesso si è messo in mente di controllare le potenze occidentali con l’obiettivo di distruggere la Russia. Non appena la sua potenza avrà raggiunto il limite voluto, invierà un attacco atomico massiccio sull’URSS.
  
  Nick Carter non tardò a rendersi conto dell’importanza di una minaccia del genere e domandò
  
  — I russi lo sanno?
  
  Hawk sospirò.
  
  — Non ancora. Se lo sapessero, forse le bombe starebbero già fioccando. Per fortuna tutti hanno riflettuto, per una volta tanto, e hanno nascosto la minaccia ai russi. Non sappiamo fino a quando ci riusciranno, e non ci resta che pregare. Perché non appena i russi saranno al corrente delle mire di Pendragon, cercheranno di agire per primi. E tenteranno di distruggerci tutti per impedire a lui di distruggere loro.
  
  Vedete che razza di faccenda, ragazzo mio? Travers ha ragione, gli eserciti non servono a nulla. Questo è un lavoro che va fatto da un uomo solo, due al massimo!
  
  Dovrete trovare questo Pendragon, catturarlo o ucciderlo! E soprattutto dovrete distruggere la sua organizzazione in modo così completo da dimostrare ai russi che più nulla li minaccia. E avete una settimana di tempo per farlo.
  
  Nick pensò che la cosa pareva impossibile, e lo disse. Ian Travers sorrise con amarezza e rispose:
  
  — Lo so, e dubito anch’io che ce la facciate. Ma uno che sta per affogare si aggrappa anche a una pagliuzza, vedete? E tra noi possiamo parlar chiaro. Se non si riesce a trovare questo individuo e a distruggerlo, il mondo è destinato ad andare a pezzi. Siamo tutti nella stessa barca, purtroppo.
  
  Nick riprese in tono pratico:
  
  — Dunque, voi sapete chi è Pendragon ma non sapete dove si nasconde. È ovvio, altrimenti lo avreste già acciuffato.
  
  Travers assentì.
  
  — È scomparso dalla circolazione un paio di settimane fa, e da allora non abbiamo più saputo nulla di lui, né di sua moglie, Lady Hardesty. Certo avrete sentito parlare di lei…
  
  Nick lanciò un’occhiata a Hawk. Il vecchio aveva un’aria imbarazzata, e a lui venne da ridere. Anche nei momenti supremi il suo capo non dimenticava di essere un puritano?
  
  — Sì, ho letto qualcosa sul suo conto — ammise. — E mi sono fatto un’idea del tipo. Ma credevo che avesse divorziato dopo l’ultimo scandalo. Ha una reputazione scandalosa, non è vero?
  
  — Già. È una ninfomane della peggiore specie — disse Travers. — Ed è pure una bellissima donna, ancora giovane. Lord Hardesty infatti aveva divorziato da lei, ma poi se l’è risposata, Dio solo sa il perché. Può darsi che alla lunga quella donna risulti il solo tallone d’Achille del nostro Pendragon. E può darsi che questo ci dia qualche vantaggio. Per il momento però, come ho detto, tutti e due sono spariti e nessuno dei nostri agenti è riuscito a scoprire dove si siano rifugiati. Nelle ultime settimane abbiamo perduto tre uomini molto in gamba in maniera piuttosto misteriosa.
  
  Travers smise di rimpinzare di tabacco la pipa e fissò Nick negli occhi.
  
  — Tanto vale che sia sincero con voi, vecchio mio. Siamo alla disperazione, ormai. Il nostro Servizio Segreto si è trovato di fronte al proverbiale muro di mattoni.
  
  Non ci è rimasto che un solo agente speciale disponibile, e adesso si trova in Scozia con un altro agente, una donna, e cerca di penetrare entro le file di Pendragon. Ecco perché siamo venuti a domandarvi aiuto. Il nostro primo ministro ha parlato con il vostro presidente, e stamane mi hanno fatto venir qui…
  
  Hawk fece un cenno di conferma col capo e disse a Nick:
  
  — Sì, il presidente mi ha telefonato di persona, e mi ha chiesto l’uomo migliore di cui potevo disporre. Ho chiamato voi.
  
  Nick assentì. Non era il caso di ostentare una falsa modestia che non aveva. Ma la faccenda suonava maledettamente difficile. Non gli era mai capitato di affrontare un problema altrettanto delicato e pericoloso.
  
  Avrebbe voluto fare un mucchio di domande, ma non c’era tempo. Il resto poteva aspettare. Travers si tolse di tasca una carta geografica e la stese sullo scrittoio di Hawk. Con l’indice disegnò un cerchio attorno alla zona che comprendeva le isole Shetland e le Orkneys.
  
  — È pressappoco qui — disse. — Un po’ a nord-est di Sanday c’è un’isola che si chiama Blackscape. È troppo piccola per apparire su questa carta, ma in realtà è lunga cinque chilometri e larga due. Qualche anno fa Lord Hardesty (è scozzese, e da quelle parti lo chiamano “Laird”) ha fatto costruire a Blackscape una industria per il pesce in scatola, a beneficio degli abitanti. Gli è costata alcuni milioni e gli ha procurato un mucchio di pubblicità sui giornali, tanto più che la maggior parte dei giornali sono suoi. Comunque la sua opera filantropica ha fatto chiasso. Ha persino fatto costruire degli appartamenti moderni per gli operai e i pescatori, e ha messo il cinema sull’isola, il caffè e una sala da ballo. Dato che Blackscape è assai distante dalla terraferma e il tempo è solitamente orribile, i lavoratori della fabbrica sono stati costretti a firmare un contratto che li legava per un minimo di sei mesi.
  
  — Un po’ come i lavori forzati, insomma…
  
  — In un certo senso credo di sì. Ma non sappiamo se questi operai sono coinvolti volontariamente o no nel vero scopo per il quale l’industria è stata impiantata. Il complesso missilistico, rampe e tutto quanto, debbono trovarsi sull’isola. Credo che li abbiano nascosti tra quelle rocce che le fanno da parete.
  
  Nick guardò la carta.
  
  — Siete sicuri che il razzo arrivato al Polo è stato lanciato da quest’isola?
  
  Travers abbozzò un pallido sorriso.
  
  — Ragionevolmente sicuro. Perlomeno così è risultato dalle indagini che abbiamo svolto. Del resto, Pendragon non ne fa mistero. Non gliene importa niente che noi sappiamo, specie adesso che si è portato così avanti. Anzi, forse preferisce che ne siamo al corrente; ciò gli permette di sentirsi molto astuto. Ma adesso ci ha diffidato dal sorvolare con gli aerei quella zona, così non possiamo nemmeno bombardarla. Ha il suo bravo radar, e alla prima minaccia molla i missili. Inoltre dobbiamo pensare anche a tutta quella povera gente che c’è sull’isola. Potrebbero essere delle vittime innocenti, e non ce la sentiamo di distruggerle senza prima tentare una soluzione meno drastica.
  
  — Certo che non sono da invidiare, ora come ora — disse Nick. — E può darsi che riusciamo a risparmiarli se troviamo il sistema di fermare questa follia missilistica, in un modo o nell’altro.
  
  Travers lo fissò a lungo, poi sospirò.
  
  — Sì, ci abbiamo pensato anche noi. Certo che gli operai dovranno andarsene, se noi decidiamo di intervenire. Ma tutto ciò è soltanto accademico. Guardate qui. —
  
  Con la matita disegnò un perimetro attraverso la punta di un’isola e il Mare del Nord.
  
  E disse: — È da queste parti, da Dingwall ad Inverness, che Pendragon ha teso la sua barriera ideale. Né truppe né poliziotti si possono avvicinare senza preavviso. E
  
  niente aerei, è ovvio, né sommergibili o navi da guerra. In tal modo è riuscito a tenere Blackscape entro una cinta protettiva, vedete? Se decidiamo di correre il rischio e di attaccarlo lo stesso, abbiamo molte probabilità di perdere. E perdere significa compromettere la sicurezza del mondo!
  
  Ripiegò la carta e se la rimise in tasca. Poi guardò Nick, e questi a sua volta lanciò un’occhiata al capo che osservò:
  
  — Vedete dunque che non abbiamo alternative. Un uomo solo, se è in gamba, può forse riuscire a combinare qualcosa. Ho detto “forse” e lo ripeto, perché neanch’io mi faccio molte illusioni.
  
  E Travers soggiunse:
  
  — Ora sapete che razza di compito avete da affrontare, e non vi nascondo che le probabilità di successo sono ben scarse. Come vi ha detto, siamo riusciti a infilare un paio di agenti entro la zona delimitata, ma non ci aspettiamo gran che da loro. Sono là più che altro per aiutare voi, e adesso vi aspettano.
  
  Nick domandò a Hawk con un sorriso:
  
  — Avete già escogitato la copertura di cui mi servirò per quest’impresa, signore?
  
  Hawk assentì serio serio.
  
  — Infatti. E il caso ci ha aiutato, in un certo senso. La Guardia Costiera ha trovato un morto in mare, l’altro giorno, e fortunatamente i giornali non si sono ancora impossessati della notizia. Il nome di quell’uomo era James Ward-Simmons. Era inglese, perciò dovrete cominciare a controllare bene il vostro accento.
  
  — Il mio accento andrà benissimo, ma dovrete almeno spiegarmi che tipo era quel poveraccio, e come mai è morto. Se assumo l’identità di un altro, vorrei sapere almeno questi piccoli particolari. Giusto?
  
  — Era uno scrittore — gli spiegò Hawk. — E un vagabondo, un avventuriero.
  
  Quelli della Guardia Costiera ritengono che sia morto di mal di cuore. Il decesso era già avvenuto da qualche giorno quando hanno trovato la sua imbarcazione alla deriva, dalle parti delle Florida Keys. Credo che fosse piuttosto noto, perché hanno trovato una mezza dozzina di album di ritagli di giornale che parlavano di lui. E in uno scaffale c’erano pure i suoi libri. Dovrete leggerli, se intendete recitar bene la parte.
  
  — E gli assomiglio?
  
  — Non molto, ma potete andare abbastanza. Statura e corporatura sono pressappoco le stesse. Basterà che abbiate un po’ più di pancia, e i capelli leggermente imbiancati alle tempie…
  
  — Forse i capelli bianchi mi verranno naturalmente, se questa missione risulta accidentata come immagino.
  
  Ian Travers guardò ancora l’orologio e borbottò:
  
  — È molto probabile. Anche se campate sino a cent’anni, cosa che vi auguro di cuore, non vi capiterà mai più un’impresa come questa. Per rischio e per importanza.
  
  Ma adesso dobbiamo filare. L’aereo ha l’ordine di non aspettarci, se ritardiamo. Io verrò con voi sino all’Islanda e vi darò le altre istruzioni durante il percorso. Poi tornerò a Londra, quindi dovremo prendere accordi tra qui e Reykjavik. A proposito, sarò io a controllarvi, in questa missione. Dipenderete da Londra, infatti.
  
  Nick lanciò un’occhiata a Hawk, che gli disse:
  
  — È così, figliolo. Vi abbiamo “prestato” agli inglesi, e d’ora in poi lavorerete per loro. Naturalmente gradirò qualche rapporto, se e quando vi sarà possibile mandarne.
  
  E adesso date retta al signor Travers e filate. Avete un’ora. Vi consiglio di passare dal Reparto Trucco, prima. Vedete se hanno il tempo di sbiancarvi i capelli, se no fatevi dare un parrucchino.
  
  Si strinsero la mano. Quella del capo era ferma e asciutta, ma a Nick parve di percepire nella stretta un lievissimo tremore. Possibile che Hawk fosse spaventato?
  
  Per quanto una cosa del genere fosse addirittura impensabile, la situazione meritava davvero una notevole apprensione.
  
  Un’ora dopo, quando i due uomini furono saliti a bordo del Delta X inglese, Nick domandò al suo compagno:
  
  — Credete davvero che questo Lord Hardesty detto Pendragon si sia rifugiato nell’isola di Blackscape?
  
  Prima di rispondergli, Travers lo fissò a lungo.
  
  — Mi aspettavo che me lo domandaste — disse infine. — No, non lo crediamo affatto. Quello non è tipo da correre rischi, ve lo garantisco io! Certo è andato a nascondersi in un posticino molto tranquillo e molto sicuro. Soprattutto comodo. E ci rimarrà fino alla conclusione della faccenda, comunque finisca. Ma noi dovevamo assolutamente infilare uno dei nostri a Blackscape. Visto che siamo quasi certi che il missile è stato lanciato da quell’isola, abbiamo pensato…
  
  Nick assentì.
  
  — Vedo. Volete mandare là un sabotatore, vero? O ce l’avete già mandato?
  
  Fu la volta di Travers di assentire, adesso.
  
  — Sì, è già in viaggio.
  
  3
  
  «Marinaio» si disse Nick Carter «stanotte te la sudi, la tua paga!»
  
  E non era stata solo la tempesta a tradirlo. Anche il capitano del caccia statunitense Orestes aveva modificato un po’ a proprio vantaggio gli ordini di Washington.
  
  Avrebbe dovuto mettere Nick a bordo del suo barchino nei pressi di Dunnet Head. Da quel punto non sarebbe stato difficile arrivare alla Cava di Stroma, dove aveva appuntamento con gli agenti inglesi. Invece, timoroso del radar di Pendragon, l’ Orestes lo aveva mollato una decina di chilometri più ad ovest.
  
  Poco male se non ci fosse stata la tempesta. Prima, quando Nick si era lanciato con il paracadute ed era stato accolto a bordo del caccia, il mare era sembrato quasi calmo. La bufera aveva tutta l’aria di voler andare a sfogarsi più su, nel Mar di Norvegia. Invece poi, mutevole come una femmina, era tornata indietro con rinnovata furia. Ora il vento stava soffiando a forza sette come minimo.
  
  Il Cynara, per quanto fosse robusto il suo cuore di pino e di betulla, non era certo stato costruito per sopravvivere in un mare del genere. Era vecchio, per giunta, com’era vecchio il suo motore Gray & Timken, nonostante lottasse coraggiosamente, ansando come un povero asmatico. Ogni volta che perdeva un colpo, anche il cuore di Nick smetteva di battere per un istante. Era un superbo nuotatore e portava la giacca-salvagente, ma non era sicuro di potersela cavare in un’acqua simile. Non poteva farci nulla, però. Ormai era diventato James Ward-Simmons, scrittore e avventuriero inglese, e il Cynara, era la barca di Ward-Simmons. Nick indossava pure le scarpe del morto, la sua giacchetta e il berretto di maglia.
  
  Mentre si accendeva una sigaretta umidiccia, Nick si disse con amarezza che probabilmente presto si sarebbe incontrato con l’anima dell’uomo che stava impersonando. Gettò via la sigaretta con disgusto e si aggrappò con tenacia al timone.
  
  Aveva bisogno di tutta la sua forza eccezionale per mantenere la rotta. Ricordò che Hawk gli aveva consigliato di leggere i libri del defunto, e sghignazzò con scarso rispetto per il suo capo. Ma sicuro, come no? Non aveva che da mollare il timone e accucciarsi al caldo, con una bella tazza di tè e un buon libro da leggere! Così avrebbe passato una serata piacevole, molto intima!
  
  Un’ondata più carogna delle altre fece rabbrividire il Cynara come una donna che sta per essere violentata; un’altra lo sbatacchiò come uno shaker da cocktail, poi lo sollevò ad un’altezza vertiginosa per farlo ricadere a naso in giù nella schiuma dell’ondata precedente.
  
  Il vento lo spingeva ad oriente, proprio adesso che avrebbe dovuto dirigersi a sud.
  
  Se non ci fosse riuscito sarebbe andato a sbattere contro le pareti rocciose delle Orkneys. Riusciva a malapena a tener d’occhio l’ago della bussola, mentre reggeva il timone con la forza della disperazione. Niente da fare, non solo andava ad oriente, ma risaliva pure verso nord!
  
  Comunque bisognava tentare senza perdersi d’animo. Quando Nick aveva detto a Hawk di essere pratico di imbarcazioni, non si riferiva certo ad un’avventura del genere, in un mare simile e con un trabiccolo tanto vecchio.
  
  Purtroppo non c’erano alternative. Né c’era qualcuno che potesse aiutarlo. Era solo. Nick Carter, alias Numero Tre, alias Sterminio, uno e trino. Gli inglesi erano nei guai, i loro agenti morti o dispersi. Pendragon avrebbe dovuto fare i conti con lui, ma il successo di Nick diventava sempre più improbabile.
  
  Sì, c’erano quei due agenti che lo aspettavano nella Cava di Stroma. Ma come raggiungerli, se la tempesta faceva del suo meglio per gettarlo il più lontano possibile dal luogo dell’appuntamento?
  
  Durante il breve volo da Washington a Reykjavik, Travers gli aveva dato le ultime istruzioni e Nick lo aveva ascoltato con il cuore stretto dallo scoraggiamento. Per un attimo, lassù tra le nuvole, si era sentito quasi disperato. E aveva trovato pazzesca la pretesa che un uomo solo riuscisse a salvare il mondo da una minaccia atomica.
  
  C’era buio pesto nella minuscola cabina. E il navigante solitario continuava a lottare con il timone e con gli elementi; pareva che volesse dominarne la furia solo con la forza della volontà. Ma ad un certo punto abbassò il capo e spalancò le braccia, conscio della sua impotenza. Una montagna di acqua si gettò sul Cynara, e in mezzo a quella cascata l’uomo riuscì per miracolo a non mollare la ruota. Il vetro che lo proteggeva dal vento si frantumò in minutissimi pezzi, e l’acqua penetrò violenta nella cabina. Ma il vecchio motore asmatico, incredibilmente, resse. Ancora una volta il Cynara riuscì ad emergere, a scrollarsi come un cucciolo che ha fatto il bagno, a tirare avanti.
  
  D’un tratto, Nick scorse in distanza il segnale convenuto: tre croci fiammeggianti apparvero sullo sfondo nero delle rocce. La Cava di Stroma! In Scozia bruciavano molte croci in quei giorni, così avevano pensato che il segnale non avrebbe suscitato alcun sospetto. Travers aveva spiegato a Nick che Pendragon faceva pattugliare le coste della zona proibita, così le croci sarebbero state bruciate entro la grotta, anche per evitare che il vento le spegnesse subito.
  
  E loro (“loro”, significava Washington e Downing Street) pensavano pure che il Cynara, essendo così piccolo, sarebbe riuscito a passare inosservato a dispetto del radar di Pendragon.
  
  Ecco le Zanne di Thurso! Sembravano degli alti ed aguzzi punteruoli di roccia nera, e stavano di sentinella quasi davanti alla grotta. Le pattuglie di Pendragon, se fossero passate anche di lì, non si sarebbero occupate di Stroma, appunto perché c’erano le famose Zanne che impedivano l’accesso alle navi. La barriera sarebbe stata invalicabile anche con il bel tempo e in pieno giorno. Figurarsi poi durante una tempesta notturna!
  
  Nick sorrise, e a dispetto del freddo e del disagio sentì che la crisi di sconforto era passata. Adesso era ridiventato l’uomo di sempre, più che mai ansioso di scatenare un putiferio!
  
  Doveva lanciare subito il suo segnale, se non voleva che la corrente lo portasse lontano di nuovo. Carezzò il timone con una mano e disse al Cynara Coraggio, bellezza. Finora sei stata proprio una brava figliola intrepida. Su, fa un altro piccolo sforzo per il tuo Nick, eh?
  
  Il piccolo scafo gemette in risposta, torturato dalla tormenta. Il vento aumentò di forza e riprese a schiaffeggiarlo come se avesse un fatto personale contro di lui, mentre il guscio sobbalzava fra trilioni di ettolitri d’acqua.
  
  Nick rimase aggrappato al timone, ma il motore si spense con un ultimo guaito.
  
  Ormai l’imbarcazione era in balia della tempesta e non c’era modo di guidarla. Nick venne sballottato come un fuscello. Il Cynara si girò su se stesso, si capovolse, ma la furia delle onde era così selvaggia che lo raddrizzò di nuovo, prima che Nick volasse fuori bordo. Sterminio rabbrividì al pensiero di essere scampato per un pelo a quella prigione liquida e verdastra. La cabina era scomparsa, ormai, ma lui restava aggrappato alla colonna del timone, visto che anche la ruota se n’era andata. Vide davanti a sé un’ondata enorme che avanzava minacciosa. E là dietro c’erano le Zanne di Thurso che lo aspettavano, nere e lustre, assediate da una spuma rabbiosa. Le rocce erano là in attesa dell’intrepido Cynara!
  
  L’ondata gli tolse la barca di sotto, e Nick la sentì disintegrarsi ai suoi piedi.
  
  Lanciò un’occhiata alle tre croci che bruciavano ancora nell’oscurità.
  
  — Addio, ragazza! — disse, prima di tuffarsi di lato. Cercò di arrivare più a fondo possibile. Non tentò di nuotare, perché sarebbe stato inutile. Era nelle mani di Dio, ormai, di quel Dio (Nettuno? Eolo?) che fino a quel momento si era degnato di proteggerlo facendolo arrivare sino a quel punto.
  
  Mentre il Numero Tre procedeva sott’acqua per evitare la tempesta in superficie, provò una strana sensazione di rilassamento e quasi di quiete. Aveva fatto tutto quel che era umanamente possibile a un mortale. Se adesso fosse andato a sfracellarsi sulle Zanne, non avrebbe dovuto biasimare se stesso. Ce l’aveva messa tutta, proprio tutta.
  
  Non avrebbe potuto…
  
  Si sentì afferrare da un vortice che lo risospinse verso la superficie, e cominciò a dibattersi per uscirne. Era un miracolo che fosse ancora capace di nuotare, stordito com’era, spezzato, sanguinante, sfinito, ma non ancora vinto!
  
  Nella piccola ansa c’era una quiete paurosa, in confronto alla furia del mare aperto.
  
  Non si trattava naturalmente di un vero e proprio silenzio, ma dopo quel bailamme sembrava di essere entrati in un chiostro! E lì le onde non facevano più paura. Una di esse tuttavia afferrò Nick e lo sbatté non troppo garbatamente su uno stretto triangolo di sabbia nerastra mista a ghiaia. Quel triangolo stava proprio in mezzo a due rocce torreggianti, battute dal vento!
  
  — Grazie — mormorò Nick all’ondata che si ritraeva. — Se non ti dispiace, farò il resto del percorso gattoni.
  
  Avanzò infatti sulle mani e sulle ginocchia fino a quando vide che era fuori portata dell’acqua. Poi rimase là immobile, con la faccia sulla sabbia e le braccia divaricate.
  
  Soltanto il petto gli si sollevava nel respiro e gli ricordava di essere ancora vivo.
  
  Quasi subito gli pervenne il canto della Sirena, e cominciò ad imprecare tra sé.
  
  Accidenti alle femmine, non ti davano mai pace, neanche in posti come quello!
  
  Neanche quando un poveraccio era mezzo morto!
  
  Grugnì con la bocca sulla sabbia:
  
  — Torna a casa tua, Sirena!
  
  Ma quella continuò a cantare con voce dolce, dal vago accento scozzese: «…
  
  perché abbiamo ancora buone nuove da ascoltare, belle cose da guardare..».
  
  La voce si trattenne un attimo su una nota che sembrava interrogativa. Nick cercò di tirarsi su, ma ben presto vi rinunciò e si abbatté di nuovo sul letto freddo di sabbia bagnata. — Tra un momento — si disse. — Tra un momento sarò ancora in grado di muovermi e di agire. Ma adesso…
  
  La voce riprese a cantare, ripetendo le parole di prima: «… perché abbiamo ancora buone nuove da ascoltare, belle cose da guardare…».
  
  Gli tornò la memoria. Travers e lui, sull’aereo che li portava in Islanda, avevano preso accordi su una sorta di codice di identificazione e di sicurezza. Ne avevano trovato uno lì per lì. Travers era un appassionato di poesia e aveva scelto dei versi, naturalmente. L’agente inglese avrebbe cantato la prima parte, e lui avrebbe dovuto concludere. Adesso però non riusciva a rammentarsi quelle parole. E sì che sull’aereo le aveva imparate a memoria, ma ora… Aveva una confusione in testa… Che diavolo doveva cantare in risposta?
  
  La sirena invisibile, appollaiata certo su qualche roccia, riprese la strofetta per la terza volta. Finalmente Nick ricordò, e lo disse con una voce arrochita dal freddo e dal vento.
  
  — Sì, sì — gracchiò. — Adesso ci sono!
  
  Con un’intonazione che avrebbe fatto rabbrividire di disgusto la bella Melba O’Shaughnessy, Nick cantò il seguito:
  
  — … prima di andare in Paradiso passando da Kensal Green!
  
  — Numero Tre?
  
  — Sì, ma molto, molto in ribasso. Sono quasi un Due. E voi chi siete?
  
  — Lavorate sui codici GDG e FDM?
  
  — Sì, sì. Non perdiamo tempo. Voi chi siete?
  
  — Gwen Leith, del Dipartimento Speciale. Vi ho veduto dall’alto di una roccia.
  
  Non credevo che ce l’avreste fatta. Povero barchino!
  
  Nick si alzò barcollando e appoggiò subito la schiena a una colonna di granito.
  
  — Sì, ne convengo — rispose guardando in su. — Era un bel barchino e ha combattuto eroicamente. Adesso però dovreste preoccuparvi anche di me. Sono finito in un posto strano, che mi sembra una trappola, e non so come uscirne. E preferirei evitare la via acquatica, se possibile.
  
  — Vi trovate in un camino naturale di roccia. È il solo che sta in questa grotta, e dovevate proprio finirci voi! — C’era un vago tono di rimprovero nella sua voce.
  
  — Scusatemi, vi giuro che non l’ho fatto apposta; la prossima volta sceglierò qualcosa di meglio. Ma per adesso non avreste la possibilità di farmi uscire di qui?
  
  Alla svelta, magari?
  
  — Siete ferito?
  
  Nick si provò a flettere i muscoli e a fare qualche piegamento sulle ginocchia.
  
  Cominciava già a riprendersi, grazie a quel suo meraviglioso fisico addestrato a tutti gli sforzi più pazzi. Si sentiva forte, affamato e soprattutto assetato. Già, la sete gli ricordò un particolare assai gradevole, dati i suoi gusti in fatto di bevande. Non era forse la Scozia, quella? La patria benedetta del migliore whisky del mondo?
  
  — No, credo di no. Non si potrebbe fare un po’ di luce?
  
  — Non oso. Ci sono troppi Druidi in giro.
  
  Se Nick non fosse stato preparato da Travers, quell’uscita gli avrebbe fatto sorgere dei dubbi sulla sanità mentale della donna. Ma poiché era al corrente, non disse nulla.
  
  Si limitò a domandare in tono spazientito:
  
  — Allora? Come faccio a venir fuori?
  
  — Prendete.
  
  L’estremità di una corda lo colpì in viso. Lui tirò per accertarsi che lassù fosse attaccata bene.
  
  — L’avete legata solidamente? — domandò.
  
  — Sì, non dubitate, è salda. Volete che vi aiuti?
  
  Nick ridacchiò tra sé mentre si arrampicava come un gatto. Aiutarlo? E come? Era molto ansioso di vedere la donna in faccia, adesso. Gwen Leith del Dipartimento Speciale. Doveva essere un tipetto deciso. Poi si disse che era naturale. Per un compito del genere avrebbero scelto gli elementi migliori. Era certo in gambissima e intelligente, perciò niente di più facile che fosse brutta. E vecchia.
  
  Non aveva puzzo di vecchio, però. Odorava di erica e di timo selvatico. E la mano che lo aiutò a tirarsi su era piccola e morbida, ma sorprendentemente forte.
  
  — Forse mi sbaglio — si disse Nick in tono speranzoso, lasciandosi guidare fino alla sommità della roccia. — Me lo auguro, almeno.
  
  — Su che cosa vi sbagliate, Numero Tre? — Era una specie di fantasma sottile ed evanescente, e gli teneva ancora la mano. E non si poteva vederla in faccia con quel buio.
  
  — Oh, niente, non importa — rispose Nick. Le lasciò la mano e si guardò intorno.
  
  Sotto, alla sua sinistra, c’era la furia del mare; se non fosse stato per il freddo, sarebbe sembrato un calderone bollente. Lassù il vento soffiava ancora forte, ma pareva che avesse perduto un po’ della sua violenza. Fissando il cielo Nick notò che si scorgeva persino qualche stella qua e là, tra le nubi. E una sorta di alone pallido che doveva essere la luna.
  
  — Mi sbaglio, o la tempesta sta calmandosi? — domandò alla donna.
  
  — Sì, sta calmandosi. Tra un’ora o due tornerà il sereno. Il tempo è sempre così quassù, nel nord della Scozia. Ma venite, Numero Tre, non possiamo star qui a chiacchierare tutta la notte! Datemi ancora la mano, che vi guiderò giù per il sentiero.
  
  Abbandonarono il promontorio di roccia, e lei lo accompagnò per un viottolo angusto e tortuoso. Filava in fretta, e Nick si sentì più curioso che mai sul suo conto.
  
  Pareva snella, piuttosto alta, molto sciolta nei movimenti. Quindi avrebbe dovuto essere giovane. Anche la voce era giovane. Nick ridacchiò tra sé. Adesso cominciava la reazione. Sì, aveva freddo fame e sete, ma la cosa più importante era che stava tornando alla vita dopo aver rischiato la pelle di brutto. Aveva gabbato ancora la vecchia con la falce! E sempre, sempre, tutte le volte che gli capitava una cosa del genere, lui desiderava con maggiore intensità i piaceri della vita. Soprattutto desiderava fare all’amore.
  
  Per quasi mezz’ora lei continuò a guidarlo con la svelta sicurezza di una capra di montagna. A volte aveva bisogno di aiutarsi con tutte e due le mani, allora Nick le si aggrappava alla cintura e sentiva sotto le dita un dorso morbido ma fermo, una muscolatura elastica e vellutata.
  
  Durante la discesa lei gli disse che era molto in pensiero per l’altro agente, Jim Stokes, che era andato a Dunnet per mettersi in contatto con uno dei pochi sabotatori che erano riusciti a piantare tra i Druidi. Non era più tornato.
  
  — Avrei dovuto andarci io — gli spiegò. — Anche lui è scozzese, ma del sud. E
  
  anche se è un asso, uno dei migliori agenti, non era adatto per quel compito. Avrei dovuto andarci io — ripeté. — Io sono nata a Canisby e ho sempre conosciuto questa regione e la sua gente. Ma Jim non ha voluto saperne. Ha insistito perché restassi ad aspettare voi, e lui è andato a Dunnet. Può anche darsi che mi spaventi per nulla.
  
  Magari sarà già alla casa nera, quando arriviamo. Ma se non ci sarà… allora resteremo noi due soli, Numero Tre!
  
  La bufera sì era quasi calmata del tutto, ora. Le stelle erano aumentate di numero, e a oriente si vedevano i primi lividi chiarori dell’alba. La pioggia era diventata nebbia.
  
  Giunsero in fondo all’altura, e lei lo guidò attraverso una squallida prateria in una vallata stretta. Frattanto gli occhi di Nick si erano abituati al buio e a quel terreno sconosciuto. Lui aveva una vista da lince, e ad un certo punto non ebbe più bisogno di essere guidato per mano. Camminarono fianco a fianco. Arrivarono in fondo al
  
  “glen”, dove un torrentello scorreva gonfio e spumeggiante, e lei si diresse sicura verso un folto di conifere, dov’era parcheggiata una piccola auto.
  
  Lungo il percorso Nick aveva riflettuto parecchio e parlato ben poco. Aveva pensato alle reticenze di Travers. Quel benedett’uomo si era quasi scusato per la scarsa, adeguatezza del suo personale, e adesso saltava fuori che uno dei suoi agenti era nientemeno che Jim Stokes! Quel tipo era diventato leggendario nel mondo del contro-spionaggio quanto lo stesso Nick Carter!
  
  Il Numero Tre sogghignò. Anche Travers era un po’ come Hawk, non diceva mai tutto. Non gli aveva accennato neanche minimamente a Jim Stokes. Aveva parlato di un paio di persone, e gli aveva fatto notare che bisognava accontentarsi di quel che c’era.
  
  La luce aumentava ogni secondo adesso. Gwen scivolò in macchina mettendo in mostra per un attimo le ginocchia abbronzate. Nick sedette al suo fianco. La gonna corta della ragazza rivelava un bel paio di gambe, se non altro. Della faccia non si vedeva ancora gran che, salvo un mento ostinato e un nasetto piccante.
  
  Prima di mettere in moto, lei lo guardò e gli disse con voce asciutta:
  
  — Ammirate pure le mie gambe se vi fa piacere, Numero Tre. Non me ne vergogno. Ma ricordatevi una volta per tutte: guardare e non toccare, intesi? Sono fidanzata, e se il mondo non salterà per aria intendo sposarmi. È meglio che ve lo dica subito, così vi regolerete. Ho dovuto fare i patti anche con Jim Stokes, tanto per evitare equivoci e malintesi. Abbiamo un lavoro sudicio, disperato e pericoloso da svolgere. Non avremo tempo di pensare ad altro, e anche se il tempo ci fosse, io non sceglierei certo uno di voi due. Adoro Jim, e sono certa che anche voi mi piacerete, ma so benissimo chi e che cosa siete, quantunque siate coraggiosi e forti e furbi e tutto guanto. Non intendo affatto lasciarmi incantare dai Supermen. L’ho detto a Jim ed ora lo dico anche a voi, e non voglio ripeterlo. Chiaro?
  
  Nick non seppe cosa rispondere. Era stato preso così alla sprovvista da rimanere perplesso. Fissò quel volto che certo doveva essere bello, e si mise a ridere, sinceramente ammirato e divertito da quella franchezza.
  
  — Chiarissimo — rispose infine. — Vi prego soltanto di non continuare a chiamarmi Numero Tre. Basterà Nick. Non abbiamo bisogno di formalizzarci molto, se siamo noi tre soli. Si lavorerà meglio e più in fretta. E adesso mettiamoci in moto, perché il giorno sta spuntando.
  
  — È vero, è meglio arrivare alla casa nera quando è ancora un po’ buio. Passeremo la giornata là e faremo i nostri progetti. C’è un’importante riunione dei Druidi, stanotte, sul Barrogill Moor, e dovremo andarci anche noi. Corre voce, ma forse sono soltanto chiacchiere, che Pendragon in persona farà un discorso alla sua gente.
  
  La piccola Morris filò sulla stradetta non asfaltata. Lasciarono il “glen” e si inoltrarono in una collina nuda a cui il freddo aveva già strappato l’erica.
  
  — La casa nera non è molto lontana — disse la ragazza. — Dio mio, speriamo che Jim sia tornato!
  
  Nick le rimase al fianco in silenzio. Ogni tanto lanciava un’occhiatina alle gambe, ma la sua mente era altrove. Pendragon avrebbe parlato alla sua gente proprio stanotte? Così presto? Ne dubitava. Non poteva andar tutto così liscio. L’impresa stavolta era maledettamente dura. Magari ce l’avrebbe fatta, ma sarebbe stata una storia lunga e complicatissima, piena di sorprese. Ne avrebbe viste delle belle, prima di riuscire a far fuori Pendragon. Ad ogni modo i primi momenti brutti erano superati, e questa era già una gran soddisfazione.
  
  Provò il desiderio quasi irresistibile di allungare una mano per stringere uno di quei ginocchi, ma si sforzò di tenerla in tasca. Lei non avrebbe capito. Non avrebbe capito che per una volta tanto si trattava di un impulso amichevole, nel quale non c’entravano per nulla i sensi. Aveva solo bisogno di un po’ di calore umano. E poiché in lui un impulso del genere era assai raro, Nick Carter, l’agente solitario, stentava a capire se stesso. Il fatto era che la missione si presentava assai diversa dalle altre.
  
  Ma Gwen Leith non poteva comprendere. Più tardi, forse, in seguito. Se c’era un seguito. Prima il lavoro, e dopo il premio!
  
  Si limitò, durante il breve tragitto, a controllare le sue armi. Stavolta viaggiava leggero. Si era fissato la Luger Wilhelmina alla gamba con del nastro adesivo per non perderla; e all’interno del braccio destro, nella sua foderina di camoscio, c’era Hugo, lo stiletto. Da qualche tempo Nick preferiva Hugo a tutto il resto, perché era mortale, rapido e silenzioso.
  
  Ora, flettendo i muscoli e cercando di accomodarsi meglio sul piccolo sedile della macchinetta, abbassò impercettibilmente il polso destro. Sentì lo stiletto che gli scivolava in mano, pronto al lancio. Aveva frequentato un corso speciale di lancio del coltello, a Washington, per ordine dell’AXE. E adesso era ansioso di esperimentare la sua perfezionata abilità.
  
  Gwen Leith esclamò dopo una lunga pausa di silenzio:
  
  — Siamo arrivati alla casa nera e non c’è la macchina! Jim Stokes non è ancora tornato, dunque!
  
  4
  
  La casa nera era situata in una depressione del “moor”, vicino al mare e alle scogliere. Era, come spiegò Gwen, un vecchio cottage fatto di pietre e pochissimo legno. Il suo appellativo derivava dal fatto che non esisteva il camino. Aveva soltanto un buco nel soffitto per lasciar uscire il fumo, perciò l’interno s’era tutto annerito con gli anni. Spiccava solitaria e desolata in mezzo a quel paesaggio squallido, ed era circondata soltanto dalle strida poco musicali dei gabbiani.
  
  Nick constatò con piacere che la posizione era più che indovinata per gente che non voleva dare nell’occhio. Situata com’era in quella depressione, da lontano sarebbe stato difficile individuare.
  
  Scesero dalla Morris e si avviarono verso quella specie di baracca priva di porta.
  
  Nick notò che la casa era in ottimo stato, e che il tetto era integro.
  
  — A volte la gente la usa per la pesca — gli spiegò Gwen. — Per questo l’hanno sempre tenuta in efficienza. E capitano anche delle coppie di giovani che… — si interruppe e alzò le spalle. — Ma questo non c’entra. Attento alla testa! Siete molto alto, mentre la porta non lo è. Dovrete sempre fare attenzione, e non dimenticarvelo.
  
  Si trattennero sulla soglia e Nick si fece in disparte per lasciarla passare per prima.
  
  L’interno pareva una cantina oscura, ma di fuori ormai era spuntato un chiarore perlaceo, e lui finalmente aveva potuto guardarla in faccia. Nell’insieme la ragazza era alta e sottile, con un vitino piccolo e un seno piuttosto sviluppato. Portava una camicetta di lana a maglia sotto la giacca a vento di pelle. Non aveva niente in testa, e i suoi capelli erano di un rosso vivo, corti quasi come quelli di un uomo. Non si poteva ancora distinguere il colore dei suoi occhi.
  
  Vedendola esitare sul vano della porta, Nick abbozzò un piccolo inchino scherzoso per metterla a suo agio e le disse:
  
  — Dopo di voi, madama. E cercate di fare alla sveltina, perché vorrei accendere un bel fuoco e far asciugare i miei poveri indumenti fradici. Ho anche una fame da lupo e una sete bestiale. Mi auguro che voi e il vostro collega non abbiate trascurato di portar qui una piccola provvista della vostra specialità nazionale…
  
  Gwen lo guardò con approvazione e rispose con un breve sorriso:
  
  — Sì, ne abbiamo una dozzina di bottiglie, credo. Anche Jim l’apprezza.
  
  Si chinò per entrare, e Nick la seguì piuttosto incerto. Ben presto Gwen accese una lampada petrolio e andò a mettere della legna sul fuoco. Subito il Numero Tre si guardò in giro: gli bastò una sola occhiata per registrare tutto quanto. Malgrado apparisse calmo e rilassato, non era mai stato così all’erta in vita sua. Si fidava di lei come un agente può fidarsi di un altro agente. Con riserva. Aveva usato il codice esatto, perciò doveva essere autentica, ma nella sua professione si rimaneva in vita solo se si restava sempre vigili, senza abbandonarsi a una fiducia eccessiva. Aveva freddo, era stanco, affamato e assetato, e si augurava disperatamente che non ci fossero inghippi e che il rifugio fosse sicuro. Però doveva accertarsene. Così rimase in piedi, poco lontano dalla soglia, ombra tra le ombre, e la osservò muoversi per la stanza e darsi da fare.
  
  Infine parve soddisfatto e si rilassò un poco. Almeno per il momento gli pareva di essere in porto.
  
  La ragazza gli porse una bottiglia di whisky e un bicchiere di metallo.
  
  — È di MacCamp — gli disse. — Mio padre non beveva che questo, e affermava che gli faceva bene. Spero che faccia bene anche a voi.
  
  Nick non tardò a constatarlo. L’alcool gli diede una bella sferzata allo stomaco, poi lo sommerse in una piacevole sensazione di calore. Se ne versò un altro goccio, poi mise la bottiglia in disparte. Il fuoco si era sviluppato, adesso, e lui si sfilò la fradicia giacca-salvagente e la camicia altrettanto fradicia. Vide gli occhi di lei spalancarsi alla vista del suo torso nudo e sorrise. Era abituato alla reazione delle donne davanti ai suoi muscoli. Ma spazzò via subito certe idee. La ragazza aveva detto bene.
  
  Dovevano fare un lavoro difficile, mortale; e non avevano tempo di pensare ad altro.
  
  Gwen disse:
  
  — Non avrete bisogno di quella roba. Abbiamo portato qui per voi degli altri indumenti, nel caso vi occorressero. — Indicò con un cenno alcune valigie in un angolo. C’era anche un equipaggiamento completo per la pesca.
  
  Gwen notò il suo leggero stupore e disse:
  
  — Tutto questo fa parte della nostra copertura. Jim ed io fingiamo di essere qui per pescare. E una canna può venir trasformata in un’antenna. — Scelse una delle valigie e la portò a Nick. — Ecco, questa è la vostra. Tra mezz’ora ci chiameranno da Londra. Abbiamo una ricevente, ma non possiamo trasmettere. Sarebbe pericoloso.
  
  — Pericoloso per via della sorveglianza di Pendragon?
  
  Lei assentì.
  
  — Dobbiamo aspettarci qualunque cosa, visto che quel maledetto le pensa tutte!
  
  Ma adesso voi vorrete cambiarvi. Io uscirò e fingerò di pescare per un po’. C’è una spiaggetta ai piedi della scogliera. Oh, a proposito, Londra dice che la copertura Ward-Simmons non è più valida per voi. Le circostanze sono cambiate e adesso sarebbe inutile. Comunque non abbiamo tempo. Londra ha detto pure che gli ordini possono sempre cambiare da un momento all’altro, così dovrete tenervi pronto. D’ora in poi sia le istruzioni sia i cambiamenti di programma ci verranno segnalati soltanto con l’anticipo di un’ora. — Diede un colpetto con la scarpa alla valigia e continuò: —
  
  Qua dentro troverete quanto vi può occorrere. Spero che tutto andrà bene. Ora vado a pescare. Tornerò tra una ventina di minuti.
  
  Si avviò verso la porta e Nick la richiamò.
  
  — Un momento. — Afferrò la lampada a petrolio, la sollevò e gliela mise davanti alla faccia. — Non ho ancora visto bene i vostri lineamenti — le spiegò.
  
  Gwen rimase immobile per un attimo, poi lo fisso senza perdere la calma.
  
  — E allora guardatemi bene, riempitevi pure gli occhi, ma non dimenticate mai quel che vi ho detto. Intesi?
  
  — Non lo dimenticherò — promise lui, serio.
  
  Gwen aveva gli occhi grigio-azzurri, molto limpidi ed espressivi sul volto abbronzato, cosparso di qualche efelide leggera. Aveva il naso all’insù, la bocca larga e generosa, i denti candidi e abbastanza regolari. Era alta, e quella sua calotta di corti capelli rossi scintillava sotto la luce. Le sue gambe, che Nick aveva già avuto occasione di ammirare, erano lunghe ma non troppo sottili e fragili. Bel petto pronunciato su un vitino da vespa che Nick avrebbe potuto stringere in una sola mano. E quel simpatico profumo di erica e di timo selvatico, un profumo fresco e naturale.
  
  Per un attimo Nick si disse che era un vero peccato che la missione fosse un misto di GDG e FDM. Be’, chissà che dopo… dopo l’uccisione di quel Pendragon…
  
  Gwen dovette leggergli nel pensiero perché si allontanò in fretta dirigendosi verso la porta e ripeté:
  
  — Vi ho avvertito, non dimenticatevene. E adesso cambiatevi, intanto che io pesco. Dopo la comunicazione-radio da Londra vedremo come potremo organizzarti.
  
  Poi avrò da spiegarvi un mucchio di cose su Pendragon e i Druidi. Perlomeno quel che non sapete ancora. Ma credo che siate al corrente quanto me. Dopotutto siete il capo di questa missione.
  
  — Sì, sono il capo ma so ben poco, purtroppo. Non c’è stato tempo sufficiente per le spiegazioni e le istruzioni. Perciò andate pure a pescare, figliola, e più tardi riempirete le lacune. Ditemi un po’, c’è qualcosa da mangiare qui?
  
  Lei indicò una cassa di legno nell’angolo.
  
  — Un mucchio di scatole.
  
  Quando fu solo Nick andò a piazzarsi davanti al fuoco e terminò di svestirsi. Gettò in disparte i pantaloni e gli stivali del defunto Ward-Simmons con un grugnito di soddisfazione. Eliminò anche l’addome di gomma e il parrucchino, che avevano resistito bellamente a tutto quel po’ po’ di buriana senza spostarsi di un millimetro. Si tolse la barbetta pepe e sale e si grattò il mento che prudeva. Poi fece qualche piegamento. Non c’era tempo per lo yoga, adesso, ma forse più tardi… Tanto lui e Gwen avrebbero dovuto restare in casa tutto il giorno ad aspettare il ritorno di Jim Stokes.
  
  Aprì la valigia e cominciò a vestirsi. Gli indumenti facevano pensare ad un gentleman inglese in gita turistica attraverso la Scozia. Bella stagione davvero, per le passeggiate turistiche! Si infilò i pantaloni di tweed che gli andavano bene e le robuste scarpe sportive che parevano fatte su misura, sempre borbottando tra sé.
  
  Pendragon stava per scatenare la Terza guerra mondiale, e lui doveva fare il gentleman in giro turistico! D’altra parte gli inglesi sono sempre un po’ strambi, no?
  
  Il vestiario comprendeva una camicia di flanella, una cravatta di lana e un mantello. C’era pure un bastone da passeggio e un portafogli pieno di sterline e di documenti. Dal passaporto Nick apprese che adesso era diventato il Maggiore Ralph Camberwell, dell’Esercito Britannico. Tra le carte c’era pure una tessera di socio di un importante club di St. James Square, a Londra. Ne fu piuttosto stupito perché lui era davvero membra di quel club!
  
  Hugo, lo stiletto, venne infilato senza difficoltà all’interno della manica, ma per Wilhelmina era un altro affare. L’arma era troppo ingombrante, e infine Nick si rassegnò a infilarsela nella cintola. Con la giacca abbottonata non si notava.
  
  Chiunque avesse preparato quella valigia – Nick ignorava chi si occupasse di queste cose all’Intelligence Service – ci aveva incluso anche una stecca di Players.
  
  Non erano le sue preferite, ma piuttosto che niente… Il Numero Tre pensò con nostalgia per un attimo alle sue lunghe sigarette che erano rimaste nell’attico di New York. Dedicò anche un fugace pensiero alla bella Melba, che aveva dovuto abbandonare tanto in fretta e senza un addio adeguato. E senza spiegazioni, naturalmente.
  
  Sospirando si accinse ad accendersi una sigaretta. Lo fece con cautela perché l’accendino fornitagli dal vecchio Pindexter era nuovo e ancora non l’aveva studiato bene. Ma il capo di quella famosa «Edizione Trucchi» si era mostrato molto enfatico a proposito di quell’aggeggio e gli aveva raccomandato di star attento alla piccola vite che doveva stare in posizione di “chiuso”, se non voleva farsi volar via la faccia.
  
  Il Numero Tre fu molto prudente, e accese la sigaretta senza conseguenze nefaste.
  
  Poi guardò l’orologio – anche quello un lavoretto dell’AXE – che aveva al polso.
  
  Non aveva sofferto in mare, come previsto. Infatti non si sarebbe riusciti a guastarlo nemmeno prendendolo a martellate!
  
  Adesso Gwen poteva pure rientrare. Fumò la sigaretta fino in fondo, si versò un altro drink e passeggiò avanti e indietro per la baracca. Lei non venne.
  
  Nick, tanto per ammazzare il tempo, disegnò un circolo sulla parete, si allontanò quel tanto che poteva, si fece scivolare in mano lo stiletto e cominciò ad esercitarsi al lancio. La punta, acuminata come quella di un ago, si confisse vibrando a un centimetro dal centro. Nick corrugò la fronte. Bisognava far meglio, che diamine! Lui era sempre stato un perfezionista, e anche qui voleva raggiungere un’abilità da campione.
  
  Stava ancora esercitandosi quando Gwen rientrò di corsa e si precipitò ad aprire una delle valigie per toglierne la ricevente. Dopo qualche secondo di ronzii, la voce di Ian Travers si fece udire. Lo stesso accento asciutto e supercolto che Nick aveva udito a Washington. Si rimise in tasca Hugo e si avvicinò alla ragazza, che si mise un dito sulle labbra e sussurrò:
  
  — Non parlate. Alla fine ci saranno dei numeri di codice, e dovrò tenerli a memoria, visto che non oso prender nota per iscritto.
  
  Nick assentì e la osservò con maggiore rispetto. Non era facile tenere a mente dei numeri di codice.
  
  «Sterminatore a Pesce: questa trasmissione sarà singola. Spiacente di dover cancellare zero zero – Ordini sempre uguali. Obiettivi di opportunità. Informate Coloniale che forse abbiamo trovato ingresso posteriore – Procedete in base al codice che segue. Passo.»
  
  La voce di Travers si spense. Altri ronzii. Gwen ancora una volta fece cenno a Nick di tacere. Lui assentì e si accese un’altra sigaretta, sempre attento alla posizione della famosa vite dell’accendino.
  
  Poi si udì un’altra voce che elencò una filza di numeri di codice. Gwen ascoltò attentamente, con la fronte aggrottata per la concentrazione. La lista venne ripetuta una seconda volta, poi si udì un clic e la trasmissione venne interrotta. Gwen richiuse la valigia e guardò Nick. Gli occhi le brillavano di lacrime.
  
  Il Numero Tre fece per parlare. Voleva dirle che le brave spie non piangono, ma poi lasciò perdere. Dopo tutto era una donna. E forse aveva provato qualcosa di importante per Jim Stokes, anche se non l’aveva ammesso. Con voce gentile le domandò:
  
  — È accaduto qualcosa a Stokes? «Cancellare zero zero…»
  
  Gwen assentì e si asciugò gli occhi.
  
  — Sono una sciocca, vero? Del resto non è detto che Jim sia proprio morto. Però lo avrà acciuffato Pendragon, il quale ha avvertito che se facciamo un altro tentativo di piantare uno dei nostri agenti tra i suoi, lui lancerà il missile. Dobbiamo essere molto cauti, Nick, però bisogna andare avanti come ci è stato ordinato. Ciò significa che stasera parteciperemo alla riunione dei Druidi.
  
  Nick passeggiò per un poco avanti e indietro.
  
  — Il Coloniale sono io, vero? E hanno trovato il modo di farci entrare nel covo inosservati, a quanto ho inteso. Ci sono altri ordini?
  
  La ragazza andò ad aprire la cassetta e tirò fuori qualche lattina di cibo. Gli rispose senza guardarlo
  
  — Sì. Stasera prenderemo parte alla festa. È una cosa più grossa e importante di quanto non avessi pensato. Pendragon sta diventando sempre più prepotente.
  
  Comunque dobbiamo andare, e se ci sarà anche lui e riusciremo a identificarlo, dobbiamo ucciderlo.
  
  Nick scosse il capo.
  
  — Oh, non sarà così semplice! Sono sicuro che si guarderà bene dal farsi vedere!
  
  Gwen gli porse una lattina di carne trita con patate e un cucchiaio, poi mise sul fuoco l’acqua per il tè.
  
  — Neanche Londra è sicura che verrà — disse. — Ma è probabile che intervenga sua moglie.
  
  Nick si fermò di colpo.
  
  — Sua moglie? Mi sembra strano… Perché dovrebbe farle correre dei rischi? A questo punto potremmo impadronircene e tenerla come ostaggio… — Si mise in bocca una cucchiaiata di cibo e lo trovò delizioso, poi continuò: — Mmmm! La famosa Lady Hardesty! Mi domando che ruolo ha in questa faccenda…
  
  Gwen gettò nel pentolino un po’ di tè con un gesto stizzoso, e Nick dovette sorridere. Le donne! Anche con il mondo sull’orlo della rovina non potevano fare a meno di mostrarsi gelose di una bella peccatrice!
  
  — L’aggettivo che le si addice, piuttosto che “famosa” — sibilò tra i denti — è
  
  “malfamata”! Comunque Londra afferma che forse ci sarà; ignoriamo in quale ruolo o per quale motivo. Quanto poi a farne un ostaggio, dubito che Pendragon spenderebbe un penny per riaverla indietro! Anzi, magari lo fa apposta a gettarcela tra i piedi, per tenerci un po’ occupati e nello stesso tempo liberarsene.
  
  Nick aprì un’altra scatoletta, perché moriva di fame. Poi guardò la ragazza, incuriosito. Non era un’agente qualsiasi, quella figliola! Era al corrente di troppe cose, a dispetto di quel che aveva detto Travers. Chissà che grado aveva nei ranghi.
  
  Osservò quasi tra sé:
  
  — Pendragon una volta aveva divorziato da questa donna, no? O è stata lei a chiedere il divorzio? Ma dopo si sono sposati di nuovo. Chissà perché?
  
  — Il mondo intero se n’è chiesto il perché, allora — rispose Gwen. — Lui è invalido, sapete? Passa la vita in una poltrona a rotelle. Durante la guerra è rimasto ferito in una parte molto… vitale, diciamo, e adesso ha perduto la virilità. È stato lui a chiedere il divorzio. I suoi legali gli hanno dato le prove di un centinaio di tradimenti almeno, tra i quali alcuni non del tutto ortodossi… Non so se capite. Il processo è stato una cosa disgustosa, in verità. Ne avrete letto il resoconto, no?
  
  — No, non leggo mai le cronache mondane. Ma me ne ha parlato Travers. — E
  
  rammentò l’osservazione che questi aveva fatto nell’ufficio di Hawk in proposito: forse Lady Hardesty sarebbe risultata il tallone d’Achille di Pendragon. Nick si domandò se poteva essere vero. Sarebbe stata una buona cosa; e valeva la pena di pensarci su. Più tardi.
  
  Cambiò argomento.
  
  — E che ordini ci sono per me?
  
  Gwen glieli disse, e Nick li ripeté fino a quando li ebbe imparati a memoria. Erano suscettibili di modifiche, perché se lui fosse riuscito a uccidere Pendragon quella notte, non avrebbe più avuto bisogno di recarsi a Londra.
  
  Passarono il resto della giornata a dormire e a fingere di pescare. Lei gli parlò a lungo di Pendragon e dei suoi Druidi. Come Nick aveva immaginato, la ragazza ne sapeva quanto Ian Travers stesso.
  
  Gli spiegò che negli ultimi dieci anni, e proprio sotto il naso del Governo, l’antico Ordine dei Druidi, un eccentrico quanto innocuo raggruppamento di carattere sociale, era stato assorbito piano piano da Pendragon. Non era stato difficile, specie in una nazione come l’Inghilterra, dove il rispetto per la libertà dell’individuo è simile a quello per la legge e per l’ordine. I Druidi Militanti – così si chiamò la nuova organizzazione – erano stati sempre rispettosissimi delle leggi. Da principio.
  
  Lord Hardesty, detto Pendragon, era maestro nell’arte di svisare le cose. A poco a poco i Druidi Militanti si erano trasformati in un gruppo politico di estrema destra.
  
  Neofascisti, insomma. C’erano stati discorsi, riunioni, campagne pubblicitarie.
  
  Talvolta qualche disordine. Il Governo non l’aveva apprezzato ma non era stato in grado di farci nulla, dato che tutto restava nei limiti legali.. Lord Hardesty, attraverso il suo giornale “London Daily Proconsul” aveva appoggiato i Druidi Militanti, com’era suo diritto di libero cittadino. Aveva pure viaggiato e fatto discorsi in loro favore. Aveva scritto e firmato articoli di fondo che li difendevano e approvavano, sempre con l’aulico pseudonimo di Pendragon. Quegli articoli non nascondevano affatto gli obiettivi dei Druidi Militanti. E il principale era: guerra alla Russia! La chiamava “guerra preventiva” e voleva che si facesse subito, senza ritardi. Gettare le atomiche sui sovietici prima che loro le lanciassero sugli altri paesi.
  
  — Ha trovato parecchio incoraggiamento, purtroppo — disse Gwen con voce amara. — Un mucchio di persone la pensano come lui. Anche al governo. Anche al Dipartimento di guerra!
  
  Nick le rispose che capiva benissimo. Ce n’erano tanti anche in America, specie tra i ricconi. E non c’era neanche bisogno di uscire dal Pentagono per trovare dei pezzi grossi, civili o militari, che avevano le stesse idee.
  
  Gwen gettò la cicca nel fuoco.
  
  — E adesso il periodo d’attesa è finito. Lui è pronto. Ha disposto i suoi uomini in posizioni-chiave, tutti eletti legalmente. Come Hitler, lui vuole il potere “legale”, almeno in apparenza.
  
  Nick frattanto si era accoccolato sul pavimento e per la terza volta puliva la Luger Wilhelmina. L’arma era pulitissima, ma quell’esercizio lo aiutava a passare il tempo.
  
  Guardò la ragazza e le disse:
  
  — Questo significa che avete un traditore anche in seno al Governo.
  
  Lei assentì.
  
  — Già. E anche in Francia, nella Germania occidentale e in Italia. Traditori negli alti ranghi, che aspettano di eseguire gli ordini di Pendragon.
  
  Nick fischiettò.
  
  — E il primo ordine sarà quello di atomizzare la Russia, eh?
  
  Gwen lo fissò, e infine disse con un filo di voce:
  
  — Adesso ci siete solo voi, Nick. Per amor di Dio, non veniteci meno!
  
  5
  
  Barrogill Moor era un cerchio di croci fiammeggianti. Almeno cinquecento metri di diametro di cinta infuocata, e al centro si trovava il Castello annerito di Barrogill, infestato da memorie sanguinarie.
  
  Nick Carter e Gwen Leith si erano nascosti su una piccola altura dei dintorni e osservavano lo spettacolo ai loro piedi. Da alcune ore avevano cominciato ad arrivare delle figure ammantate di bianco, con cappuccio e maschera. Avevano parcheggiato le macchine a una certa distanza per raggiungere a piedi il cerchio e le rovine del Castello.
  
  Erano quasi le nove di sera. Non c’era più traccia della passata tempesta, e il cielo era limpido e pieno di stelle. Faceva freddo, ma anche il vento se n’era andato.
  
  Nick prese a prestito il binocolo della ragazza e studiò bene quel che era rimasto dell’antico Castello. Le figure in bianco tendevano a raggrupparsi nei pressi di un monticello di pietre che era stato trasformato in una sorta di palco rustico. Vide che un altoparlante era stato collegato a un microfono. Quasi subito le note di una musica marziale si diffusero per tutto il “moor”. La maggior parte dei legionari bianchi si mise a cantare. Macchie di luce cominciarono a danzare sul palco improvvisato, e da qualche parte si udì il ronzio di un generatore. — Si sono organizzati proprio bene, niente da dire — ammise Nick. — Chissà quando comincia la festa vera e propria?
  
  Non ci sarebbe stato un oratore solo, naturalmente. Avrebbero parlato in parecchi, immaginava. E chissà che diavolo avrebbero fatto ancora per animare la riunione.
  
  Nick però si convinse sempre più che Pendragon non sarebbe intervenuto di persona.
  
  Non certo ad un conclave all’aperto come quello. Aveva ben altro da fare, lui! Non avrebbe abbandonato il suo nascondiglio per una pagliacciata simile. Croci infuocate, sudari bianchi, maschere, musica marziale… Tutta roba che andava bene per incantare i poveracci. La parte spettacolare era necessaria per farli contenti. Leoni e Cristiani.
  
  Gladiatori. Tutto era buono per dargli una sferzata, metterli nello stato d’animo adatto, inculcare in loro quell’eccitamento che li avrebbe spinti poi a seguire Pendragon e a obbedirlo al momento opportuno. Forse quella scena veniva replicata da qualche altra parte, stasera.
  
  E Lady Hardesty? Nick non vedeva una ragione perché “lei” partecipasse alla festicciola, ma si augurava che venisse, e si augurava di riuscire a riconoscerla. Stava cominciando a provare un vivo interesse per Lady Brett, alias signora Pendragon!
  
  Restituì il binocolo a Gwen e le disse:
  
  — State qui a tenere il forte, che io vedo se riesco a rimediare un paio di uniformi bianche per noi due. Ho adocchiato una coppia, poco fa.
  
  Le posò una mano sulla spalla, e sentì che lei si irrigidiva. Strano, si disse. Non era abituato a vedere le donne così riluttanti ad essere toccate da lui. Anzi, capitava sempre il contrario. Ma Gwen Leith doveva essere un tipo speciale. Forse era frigida e le dava fastidio farsi sfiorare da una mano maschile. La sua, perlomeno, non le andava e lo aveva dimostrato. In macchina gli era capitato di sfiorare del tutto incidentalmente il suo ginocchio, e lei aveva addirittura sussultato. Nick si strinse nelle spalle. Forse invecchiava, e stava perdendo il suo famoso fascino irresistibile…
  
  Adesso non aveva proprio il tempo di preoccuparsene, comunque. Doveva procurarsi quel paio di sudari bianchi e di maschere, altrimenti lui e Gwen non avrebbero potuto unirsi all’allegria generale.
  
  Dov’era andata a finire quella coppia che aveva adocchiato un momento prima? Li aveva visti allontanarsi alla chetichella dal gregge. Era stato un progetto di Jim Stokes, in origine, e Gwen ne aveva parlato a lui. C’erano sempre degli innamorati in queste riunioni, e di tanto in tanto filavano via per nascondersi da qualche parte e prendersi un po’ di svago d’altra natura.
  
  Ora, mentre Nick si avviava cauto verso un folto di cespugli poco lontano, pensò che avrebbe preferito cogliere i due in pieno amplesso. Prendendoli di sorpresa avrebbe avuto il compito più facile, e li avrebbe manovrati meglio. Non voleva uccidere quei poveracci, se poteva farne a meno. Anche Gwen gli aveva spiegato che la maggior parte di loro erano innocenti, dei fantocci di cui Pendragon si serviva per i suoi scopi. Non avevano la minima idea di ciò che stava preparando quell’uomo.
  
  Tuttavia, tanto per essere sul sicuro, Nick si fece scivolare in mano lo stiletto e con l’altra mano impugnò la pistola. L’impresa era troppo importante, e lui non doveva correre rischi inutili. E tutto doveva svolgersi nel silenzio più assoluto, così gli altri Druidi non avrebbero udito nulla.
  
  Non aveva bisogno di preoccuparsi. I due innamorati nascosti tra i cespugli non avrebbero udito nemmeno una carica di elefanti. Nick si fermò sull’orlo della macchia e rimase un attimo in ascolto.
  
  — Geordie… oh, Geordie! Oh, Geordie, non dovremmo… no, no… sì! Sì!
  
  — Sai che ti amo, no? Oh, cara, come ti amo! Dimmi di sì, tesoro, adesso che possiamo…
  
  — Ohhh! Geordie!
  
  Nick fece un sorrisetto, e sul suo volto si dipinse una certa comprensione.
  
  Capovolse la Luger che aveva in mano e l’afferrò per la canna. Amore e morte!
  
  Passione e compassione! Be’, almeno non avrebbe dovuto ucciderli. Si infilò là dentro con la cautela di un animale notturno.
  
  I due amanti s’erano tolti di dosso il loro paludamento e le maschere dal viso.
  
  Giacevano su un frusciante materasso di foglie secche ed era evidente che avevano dimenticato il mondo intero. S’erano uniti in un groviglio di braccia e di gambe.
  
  — Mi dispiace — sussurrò Nick dando un colpetto alla testa del maschio.
  
  L’uomo grugnì e si abbatté sulla sua compagna. Lei aprì gli occhi e li fissò sul volto di Nick. Aprì la bocca per gridare, ma lui si affrettò a tappargliela con una mano, mentre con l’altra le stringeva la gola per indurla al silenzio. La donna cominciò a dibattersi con violenza e a graffiare la faccia del suo assalitore. Ma lui aumentò la pressione e sedette su quei due corpi allacciati.
  
  Infine la donna si quietò e giacque immobile. Nick le mollò la gola. La poveraccia aveva il volto tutto congestionato, ma respirava ancora. Nick si mise subito al lavoro con rapidità. Li legò entrambi con una cordicella che aveva tolto dalla valigia di Jim Stokes. Imbavagliò l’uomo con il fazzoletto che gli trovò in tasca, e per la donna dovette decidersi a sfilarle una calza e ficcargliela in bocca, non avendo altro.
  
  Immobilizzati e ammutoliti i due amanti, Nick afferrò i due vestaglioni bianchi e le maschere, e raggiunse di corsa Gwen. La ragazza stava ancora osservando i Druidi con il binocolo. Pareva che la scena si stesse riscaldando un pochino. Adesso si erano raccolti in semicerchio attorno al monticello di pietre, e ascoltavano rispettosamente il discorso di un altro tipo mascherato e ammantato di bianco. La voce di costui si sentiva bene anche di lì, grazie all’altoparlante. Ma l’oratore usava un gergo strano che Nick non riusciva a capire.
  
  — Ditemi un po’, che diavolo di lingua parla quello? — domandò a Gwen. — Non ditemi che usano una specie di cifrario segreto per comunicare l’un l’altro! Sarebbe un bel guaio…
  
  — Be’, in un certo senso sì — rispose la ragazza senza smettere di osservare l’oratore col binocolo. — Quello sta parlando gaelico, l’antica lingua dei Celti. Gli irlandesi, gli scozzesi e i gallesi hanno avuto tutti in passato la stessa radice linguistica. E adesso l’uso del gaelico fa parte della messa in scena, vedete? Fa un certo effetto. Come il bruciare le croci di legno per raggruppare i clan. Fa tutto parte di quell’antica mitologia di cui Pendragon si sta servendo. Gli piacciono le cose spettacolari.
  
  — Va bene, ma quelli lo capiscono?
  
  — Forse non capiranno un gran che, dato che la lingua ormai è quasi dimenticata, specie dai giovani. Ma non ha importanza. Quel che conta è l’effetto psicologico.
  
  Adesso ha annunciato l’ospite che parlerà stasera. Dev’essere una persona molto importante. E si svolgerà pure una cerimonia specialissima.
  
  Nick osservò il profilo della ragazza, tenendosi a debita distanza per non sfiorarla.
  
  — E voi riuscite a capire il gaelico? — le domandò con un certo stupito rispetto.
  
  — Sì. Vi ho detto che sono nativa di queste parti, no? Adesso zitto — alzò una mano. — Questa parte è difficile. Sta parlando di un antico rito che verrà rinnovato…
  
  — Nick la vide vibrare di apprensione. Ad un certo punto Gwen trattenne il. respiro, poi mormorò, come parlando a sé stessa: — Oh no, mio Dio! Non è possibile che…
  
  No, è troppo fantastico!
  
  — Di che si tratta? — domandò Nick, colpito da quell’emozione. L’afferrò per una spalla, dimentico che non le piaceva essere toccata. — Che succede, Gwen?
  
  Lei si liberò dalla stretta e si scostò.
  
  — Non sono riuscita a capire tutto, ma credo che intendano rifare un antico rito dei Druidi. Qualcosa come l’adorazione del Diavolo o roba del genere. I Druidi odiavano il Cristianesimo, sapete, e cercavano di distruggerlo. Da quel che ho compreso, stasera ci sarà uno spettacolo notevole! Una sorta di Messa Nera! — Le si spezzò la voce e Nick la guardò con attenzione. Non c’erano dubbi, quella figliola aveva paura!
  
  Una paura maledetta!
  
  Il Numero Tre imprecò in cuor suo e decise di far finta di non accorgersene. Dopo tutto la cosa non era tanto sorprendente. Anche lei apparteneva alla stessa razza di quei buffoni laggiù… Nick cominciò a capire la sottigliezza di Pendragon, e ad apprezzarla a dispetto di tutto.
  
  Indicò alla ragazza i mantelli bianchi e le maschere, e le disse:
  
  — È meglio che ci mettiamo questa roba addosso.
  
  Usò un tono di voce piuttosto brusco, e le tolse il binocolo di mano per esaminare la scena. Tanto per darle il tempo di ricomporsi. Un’agente impaurita non gli sarebbe stata molto utile. Specialmente una donna. Che diamine, una donna intelligente e razionale che si lasciava turbare da qualche credenza antica, richiamo del sangue o roba del genere! Però, a pensarci bene, gli parve di aver capito dall’atteggiamento di Gwen che c’era dell’altro, che la paura veniva da qualcosa di positivo, e non dalla leggenda.
  
  Un attimo dopo lei disse in tono quieto:
  
  — Mi è passata adesso. Grazie per avermi capito.
  
  Nick ribatté con voce tagliente come un rasoio:
  
  — Non ho capito nulla, invece! Ma ormai non c’è più tempo. Se avete paura, cercherò di cavarmela da solo.
  
  Mentre parlava si stava avviluppando nel lungo camice bianco. Si applicò pure la maschera e controllò Wilhelmina. Poi la fissò per un momento senza dir nulla.
  
  — Vi ho detto che è passato, no? — disse lei con voce soffocata dalla maschera applicata al cappuccio.
  
  — Va bene, allora andiamo. Cammineremo adagio, tenendoci per mano. Siamo due innamorati, non dovete dimenticarvene. Stiamo tornando dalla nostra scappatella, e raggiungiamo i camerati. Con calma. Fate bene la vostra parte. Siamo assai più interessati uno dell’altro che di tutto questo druidismo oscuro. D’accordo?
  
  — D’accordo. — La sua voce però era assai esitante. Tese una mano, poi la ritrasse.
  
  — Andiamo! — le ordinò lui in tono aspro. L’afferrò per un braccio e la costrinse a seguirlo. Accidenti alle donne, specie a quelle neurotiche che facevano le agenti segrete! Era proprio il momento peggiore, per farsi cogliere dal panico! Cosa stava succedendo, adesso? Non gli era sembrata così smorfiosa quando lo aveva aiutato ad arrampicarsi su per la roccia.
  
  Arrivarono all’avvallamento del “moor” e si diressero a passo tranquillo verso il gruppo raccolto attorno al monticello di pietroni. Nick calcolò con una rapida occhiata che quelle figure dovevano essere almeno cinquecento. Ce n’era d’avanzo, se li smascheravano! Li avrebbero fatti a pezzi con la massima facilità!
  
  Ora si stavano avvicinando alla fila esterna del semicerchio. L’oratore, trascinato dall’eccitazione, era diventato addirittura frenetico con i suoi strilli nel microfono.
  
  Nick domandò a Gwen in un sussurro:
  
  — Cosa dice?
  
  Lei rispose pianissimo, con voce tremante:
  
  — Sta per annunciare il suo ospite misterioso, chiunque sia, e la mette giù dura con tante chiacchiere preparatorie. Afferma che la persona è un’emissaria diretta di Pendragon. — Di colpo gli afferrò la mano e gliela strinse. Così smise di tremare.
  
  Nick si sentì incoraggiato. Bene, stava riprendendosi da quello strano terrore di prima, e finalmente si rammentava della sua professione. D’un tratto sibilò: — Nick, potrebbe essere benissimo… Non credete che sia…
  
  Lui scosse il capo.
  
  — No, sono sicurissimo che lui non verrà personalmente. Ma potrebbe aver mandato sua moglie. Forse. Può darsi che abbia le sue ragioni per farla venir qui. Ma se quella donna si farà vedere, io intendo acciuffarla. Non chiedetemi come. Mi verrà in mente qualcosa. Andiamo, dobbiamo farci largo tra questa gente adesso.
  
  Cerchiamo di spingerci avanti, così sentiamo meglio. Non parlate più e statemi vicina. Se ci separiamo non riusciremo più a trovarci, con questa roba addosso e in mezzo a questa confusione.
  
  Gwen gli diede un’altra strizzatina alla mano per tutta risposta. Si aprirono il cammino a spallate e urtoni. Nessuno fece caso a loro, salvo per qualche imprecazione di protesta o una spinta seccata.
  
  Si fermarono ad un certo punto. Adesso erano in quinta fila, ma l’assembramento qui era così compatto che non si poteva più procedere. Nick sussurrò:
  
  — Accontentiamoci. Se vi sembrerà di identificare quella donna, strizzatemi la mano tre volte. Anche lei sarà impaludata e mascherata come tutti, immagino. Può anche darsi che cerchi di cambiar voce. Ma forse voi che siete donna avrete più successo di me. Fatemelo sapere, d’accordo?
  
  Cosa aspettavano, tutti quanti? A poco a poco la musica inondò tutto il “moor” e si conficcò nel cervello di Nick. Dapprima era stato un suono lento e solenne, poi il tempo si era accresciuto, ed ora si udiva anche un rullo penetrante di tamburi, sempre più forte e sempre più svelto. Nick si stupì nel constatare che la mano di Gwen era umidiccia, ma poi si rese conto che sudava pure lui.
  
  La musica esplose in una sorta di fanfara assordante, fantastica, sempre in crescendo. Poi si interruppe di colpo, dopo uno squillo finale da rompere i timpani.
  
  Un faro di luce rossa fendette l’oscurità dietro il palco improvvisato. Laggiù c’era qualcuno che aspettava. Un enorme sospiro generale si alzò dalla folla. Pareva che tutta la collina avesse aspirato una gran boccata d’aria, ed ora la stesse espellendo.
  
  Nick Carter sentì il sudore corrergli lungo la colonna vertebrale. Gwen non gli si staccava di dosso e respirava a fatica.
  
  La cosa si fece più vicina al raggio rosso, si inchinò e disse qualcosa in gaelico.
  
  Qualcuno rise, tra la folla. Nick provò un vago senso di sollievo. Si trattava soltanto di un tipo (uomo o donna?) mascherato da Diavolo. Una buffonata qualsiasi, dunque.
  
  Ma si sbagliava. Non era una buffonata. La folla si fece attenta, tesa, gli si strinse addosso minacciando di soffocare lui e la sua compagna. Nessuno rideva più adesso; da qualche parte pervenne un lamento.
  
  Il Diavolo adesso era salito sul palco e passeggiava avanti e indietro in quello spazio ristretto. Era avviluppato in un mantello nero. D’un tratto smise di agitarsi e disse qualcosa in gaelico. Una sorta di brivido nervoso passò tra la folla. Nick si accostò all’orecchio di Gwen e le domandò:
  
  — Che c’è? Cosa nasconde sotto il mantello?
  
  La ragazza non rispose. Aveva gli occhi fissi sulla scena, e aveva il palmo della mano bruciante, madido di sudore.
  
  Il Numero Tre aspirò profondamente e rimase per un attimo così, senza buttar fuori il fiato. Era un ottimo sistema per ridurre la tensione e restare padrone di sé. Perché anche lui era teso, e come! Non sapeva spiegarsene il motivo, ma lo era. Oh, se fosse almeno riuscito a capire il gaelico!
  
  Il Diavolo si affacciò all’orlo della montagnola e fissò attentamente la folla. Nick vide che la maschera era completa, il solito orrore di cartapesta dal naso a becco, sopracciglia all’insù, orecchie da satiro e corna. Ma gli occhi dietro la maschera, che studiavano quella gente silenziosa, erano assai vivi ed autentici. Neri e brillanti come ossidiana. Pareva che cercassero qualcuno in particolare… Si posarono anche su di lui e sulla ragazza per un attimo, e Nick provò l’assurda sensazione di essere nudo.
  
  Pazzesco!
  
  Il Diavolo tornò al centro del suo palcoscenico, voltò le spalle al pubblico e disse qualcosa che provocò un altro brivido nervoso tra la folla.
  
  Ancora una volta Nick strizzò spazientito il braccio di Gwen e le domandò
  
  — Che ha detto?
  
  Lei si divincolò.
  
  — Non ora — disse con voce strangolata. — Guardate! Siamo solo all’inizio.
  
  Vedrete il resto!
  
  Il Diavolo voltava ancora le spalle al pubblico. Voleva che tutti fossero zitti.
  
  Quando il silenzio fu assoluto, Nick lo vide alzare le braccia, spalancare il mantello nero con un gesto rapido che lo fece assomigliare a un grosso pipistrello. Il faro rosso illuminò con la sua luce sanguigna quella figura sinistra.
  
  «Chiunque sia» si disse Nick «è un ottimo attore. Ma a cosa mira?» Si sorprese ad accarezzare il freddo calcio della pistola.
  
  Il Diavolo si volse lentamente, e la musica riprese. Insidiosa, sensuale, richiamava tradizioni antiche ed eccitava i sensi più di qualunque parola.
  
  Quando la figura grottesca fu di nuovo in faccia alla folla, un vasto sospiro eccitato si diffuse ovunque. Il Diavolo teneva stretta tra le mani una statuetta raffigurante una donna nuda, tesa in uno spasimo amoroso. Ci fu un boato di approvazione. Il Diavolo piegò il capo da una parte e dimenò i fianchi, e la statuetta vibrò con lui. Gli uomini e le donne si agitarono, mugolarono di nuovo. Nick intuì che si stavano eccitando alla vista di quel mostro sul palco. Anche la musica si era fatta decisamente erotica. Gwen gli si aggrappo tremante. Se Nick riusciva a sottrarsi a quella suggestione, lei ne era stata presa. In quel momento il Numero Tre avrebbe potuto indurla a qualunque pazzia, e lei non si sarebbe ribellata. Era prigioniera di quel feroce desiderio pagano, e aveva dimenticato tutto quanto!
  
  Maledizione!
  
  Con un colpetto della mano Nick si fece scivolare Hugo nel palmo, poi con destrezza, attento a non farsi scorgere, ficcò la punta dello stiletto in una natica della ragazza.
  
  — Ohhh! — mugolò Gwen.
  
  Nick le si accostò e fece finta di accarezzarla. Nessuno avrebbe pensato diversamente, in mezzo a quella follia esotica. Il suo gridolino era arrivato più che mai a proposito.
  
  Le sussurrò nell’orecchio:
  
  — Volete decidervi a svegliarvi, maledizione? Non siamo qui per eccitarci, ve lo ricordate? Ditemi cosa sta succedendo! È tutto qui? Solo una commedia per solleticare i sensi della gente? Se è così, tanto vale che filiamo, perché la cosa non ci riguarda!
  
  Prima che la ragazza potesse rispondergli, il Diavolo si affacciò di nuovo al
  
  “proscenio” e alzò le mani reclamando l’attenzione del pubblico. I mormorii e i sospiri cessarono di colpo. Il Diavolo cominciò a parlare in gaelico con un sottofondo di collera. Per la prima volta Nick cercò di osservarne le gambe. Con quei pantaloni.
  
  rossi era difficile giudicare. Ma non c’era qualcosa di femminile in quelle cosce così tonde? Nick era molto, molto curioso. Era possibile che il Diavolo fosse una donna?
  
  Una donna che recitava una parte? Ma che razza di donna si sarebbe prestata a una commedia tanto sudicia?
  
  D’altra parte era possibile, sì, era possibilissimo! Da quel che gli avevano detto sul conto di Lady Hardesty, quella malafemmina era un vero diavolo scatenato! Non avrebbe fatto che recitare la parte di se stessa… Rammentò quei gelidi occhi neri dietro la maschera, quegli occhi che frugavano tra la folla in cerca di qualcosa o di qualcuno. Cosa sperava di trovare? Una sorta di soddisfazione? Ma le ninfomani non sono mai soddisfatte, questo era il guaio! Per questo lei era condannata a cercare sempre e a non trovare mai.
  
  Ma supponendo che quella femmina ricavasse una sorta di morboso piacere da quell’esibizione? Ciò avrebbe spiegato la sua presenza lì, ad ogni modo. Se davvero si trattava di quella brava signora.
  
  Il Diavolo smise di parlare e rientrò nell’ombra, allontanandosi dal raggio rosso.
  
  Gwen si aggrappò al braccio di Nick e gli sussurrò:
  
  — Adesso ci sarà un sacrificio, Nick! Tra un momento. Bruceranno qualcosa per placare gli Dei.
  
  — E cosa bruceranno?
  
  Un altro sussurro quasi impercettibile.
  
  — La capra senza corna…
  
  Nick afferrò ancora una volta il calcio della pistola:
  
  — Intendete parlare di un sacrificio umano?
  
  Lei assentì.
  
  — Be’, di solito si tratta di un fantoccio. Qualche volta anche di un vero cadavere che si sono procurati per dare alla scena un senso più drammatico. Capite perché il Diavolo ci teneva ad eccitare la folla? Voleva farle digerire l’idea del sacrificio umano! La capra senza corna! Una volta che accettano questo, apparterranno a Pendragon corpo ed anima!
  
  L’analisi era succinta ma chiara. Gwen si era ripresa dalla sua ipnosi, per fortuna, e ancora una volta il cervello aveva preso il posto dei sensi. Però aveva parlato un po’
  
  troppo forte, e qualche Druido lì accanto la stava guardando. Qualcun altro la zittì.
  
  Adesso altre figure incappucciate e ammantate di bianco si stavano muovendo sul palco. Infilarono la base di una croce di legno tra i sassi fino a quando non sentirono che era ben salda. Poi la fasciarono con delle bende immerse nella benzina. Se ne sentiva l’odore acre. Terminato il loro lavoro, gli uomini scomparvero di nuovo.
  
  Subito dopo il Diavolo ritornò. Il demonio mascherato indicò la croce, cantilenò qualcosa, sempre in gaelico, e fece un cenno a qualcuno che stava nell’ombra.
  
  Quattro Druidi in camice arrivarono reggendo il cadavere di un uomo. Un cadavere nudo, dalla faccia in ombra. Un brivido percorse il pubblico. Qualcuno alle spalle di Nick borbottò che ci si spingeva un po’ troppo oltre, ma gli altri lo zittirono ferocemente. La folla si stava divertendo.
  
  I quattro sollevarono il corpo, lo avvicinarono alla croce e ve lo legarono. Nick immaginò che i lacci fossero di amianto, così non si sarebbero strappati con il fuoco.
  
  Guardò attentamente, per vedere se si trattava di un vero cadavere o di un fantoccio ben costruito.
  
  Ci fu un errore da parte di qualcuno, che inavvertitamente mosse la torcia e illuminò per un istante il viso dell’uomo legato alla croce.
  
  Gwen emise un gemito e crollò addosso a Nick. Lui la sorresse con forza.
  
  — Calma, non dovete lasciarvi andare. È Stokes, vero? Lo avevo sospettato.
  
  — Sì, Dio mio, è lui! L’hanno ammazzato, e adesso lo bruciano! Nick, non possiamo far niente?
  
  — Possiamo solo star qui a vedere, cara. E ringraziare Dio che sia morto. Ormai non soffre più.
  
  Gwen cercò di riprendersi, e in parte ci riuscì. Smise di aggrapparsi a lui, ma gli rimase vicina e non guardò il palco. Quanto a Nick, provava un misto di emozioni diverse. Una rabbia nera lo stava divorando, ma doveva controllarla per forza, altrimenti sarebbe andato anche lui a raggiungere Jim Stokes sulla croce. E inoltre udiva dentro di sé una voce che gli diceva: «Ad un certo punto finiscono tutti così, anche gli agenti migliori!». Jim Stokes era stato addirittura leggendario, nella professione. Ed ora Nick stava assistendo alla sua fine e sapeva benissimo che un giorno o l’altro sarebbe toccata anche a lui. Non importa come: un proiettile, una corda, veleno, coltello, fuoco…
  
  — FUOCO!
  
  Il Diavolo si avvicinò con una fiammella alla base della croce, e ben presto la trasformò in una grossa torcia. L’uomo legato alla croce spalancò gli occhi e si mise a gridare!
  
  Anche Gwen gridò. Un urlo di dolore e di raccapriccio le uscì dalla gola non appena comprese. Per un attimo il suo grido rimase come sospeso nell’aria e alcune teste si volsero verso di lei, poi il suo lamento venne coperto e soffocato da una sorta di muggito emesso dai Druidi.
  
  A Gwen si spezzarono i nervi. Gettò indietro il cappuccio e si aggrappò al braccio di Nick gridando:
  
  — Lo bruciano vivo! Oh Dio, lo bruciano vivo!
  
  Il cervello del Numero Tre lavorava con la rapidità del fulmine. Pensò ed entrò in azione contemporaneamente. Quei tipi avevano drogato Stokes, ma avevano calcolato male la dose, e il poveraccio si era svegliato prima del tempo.
  
  Ci fu un po’ di confusione sul palco. Ma Nick notò che il Diavolo era ricomparso e stava scrutando di nuovo la folla. Chi cercava?
  
  L’uomo in croce continuò a gridare. Gli arti inferiori erano già anneriti dal fuoco, e si sentiva un tremendo lezzo di carne bruciata.
  
  Nick schiaffeggiò Gwen sulle guance e le ordinò:
  
  — Preparatevi a filar via. Io farò cessare questa tortura!
  
  Non poteva fare altro, per un collega che soffriva in modo atroce. Impugnò la pistola e la puntò verso la testa del poveraccio. Non doveva sbagliare la mira!
  
  Wilhelmina cantò una volta sola. L’uomo sulla croce ebbe un breve sobbalzò, poi rimase immobile. E muto. Ora sulla sua fronte si vedeva un foro nero, proprio tra gli occhi.
  
  Nick afferrò Gwen per un braccio e le diede uno scossone.
  
  — Correte — le disse. — Correte!
  
  Vedendo la Luger, la folla si immobilizzò per un momento, e uno stretto passaggio si aprì tra quella gente mascherata. Ma non durò a lungo. Ad un certo punto qualcuno allungò una mano per strappare l’arma a Nick. Lui gli sparò nello stomaco e procedette. Davanti a lui Gwen correva e nessuno la molestava. Nick si fece scivolare in mano lo stiletto e cominciò a farsi largo con quello, agitandolo davanti a sé. Lacerò qualche camice, fece sgorgare del sangue. Si incise letteralmente un passaggio tra la folla. Per fortuna tutti erano in uno stato di confusione tremenda, se no sarebbe stato preso, calpestato, abbattuto. Ma pareva che quella gente non capisse nulla di quel che stava accadendo.
  
  Infine un tipo grande e grosso, più sveglio degli altri, acciuffò Nick proprio quando questi si stava liberando dal resto della folla. Lo imbrigliò chinandosi a terra e agguantandogli le gambe. Nick gli mollò tre stilettate nella schiena. L’altro emise un grugnito e cadde. Nick si mise a correre lungo il “moor”, inseguendo la figuretta di Gwen che stava scomparendo in distanza. Con la coda dell’occhio notò due figure che si staccavano dal gruppo e si allontanavano lateralmente, per prenderla da un’altra parte. Nick corse come una lepre, sempre con la Luger in pugno.
  
  Gwen si era diretta verso l’altura dalla quale poco prima avevano osservato insieme lo spettacolo della riunione. Una cattiva scelta, si disse Nick. Non c’era modo di nascondersi, là… Gwen era ancora sotto choc. Lui invece avrebbe voluto raggiungere il parcheggio e rubare una macchina. Ce n’era certo qualcuna con le chiavi nel cruscotto.
  
  La piccola Morris di Gwen era troppo lontana, e non l’avrebbe mai raggiunta.
  
  I due inseguitori bloccarono la ragazza ai piedi dell’altura. Uno le fece lo sgambetto, e Gwen cadde con un grido di dolore. I due le balzarono addosso proprio mentre Nick sopraggiungeva. Con quel camice sembrava uno di loro. Puntò la pistola e tirò due colpi. Li prese entrambi alla testa, poi sfilò la ragazza tremante di sotto i loro corpi.
  
  — Venite, abbiamo ancora una possibilità, ma dobbiamo correre!
  
  — Non posso, mi sono rotta una gamba sulla roccia, non riesco a muoverla.
  
  Andate voi…
  
  Nick si guardò attorno. In distanza vide altri Druidi che arrivavano. La ragazza aveva ragione. La missione veniva prima di ogni altra cosa. Tra breve quella gente avrebbe raggiunto anche lui.
  
  Gwen gridò:
  
  — Scappate, per carità! Io ho la speranza di cavarmela, perché questa è la mia gente. Anzi, quando saranno qui li tratterrò con qualche storia. Ma voi filate, Nick, fin che siete in tempo, ve ne supplico! Ricordate… Londra! Non abbiamo che voi adesso, Nick, dovete salvarvi ad ogni costo.
  
  Nick si volse. Gli uomini si stavano avvicinando. Non c’era tempo da perdere, e soprattutto non c’era tempo per i sentimentalismi.
  
  — Buona fortuna — disse alla ragazza. Le accarezzò la chioma rossa e si allontanò nell’oscurità. Senza fermarsi si tolse di dosso il camice bianco per confondersi meglio con le ombre.
  
  Correndo mormorò alla ragazza che non poteva più udirlo:
  
  — Ci rivedremo, cara, fidati di me!
  
  6
  
  Nick Carter era sprofondato in un sonno di piombo. Aveva rubato prima una macchina, poi una motocicletta e infine una vecchia bici, ed era riuscito a spingersi sempre più a sud, attraversando tutte le Highlands. Arrivato ad Inverness si era rifugiato su un vecchio treno a vapore, e infine era riuscito a prendere il postale per Londra. Gli ci erano voluti tutta la notte e tutto il giorno seguente. Non era riuscito a mettersi in contatto con Ian Travers. Non c’era modo di farlo, né lui aveva una ricevente. Lo stesso Travers, sull’aereo, gli aveva raccomandato di non cercarlo mai a Scotland Yard. Ecco fino a che punto erano arrivati, aveva soggiunto l’uomo con amarezza. Temevano che qualcuno fosse riuscito a tenere sotto controllo persino quegli apparecchi, perché era possibile che Pendragon avesse tirato dalla sua parte anche qualche poliziotto che gli faceva da spia.
  
  In base al codice decifrato da Gwen alla casa nera, Travers aveva trovato
  
  «un’entrata posteriore». C’era quindi la speranza di arrivare in qualche modo a Blackscape e di raggiungere il complesso missilistico di Pendragon. Tale codice aveva contenuto pure le istruzioni per Nick, che avrebbe dovuto raggiungere subito Londra, se la riunione dei Druidi non avesse dato dei risultati positivi. Be’, qualche risultato era stato raggiunto, e come! Ma niente di buono, purtroppo! Jim Stokes era morto, Gwen doveva essere prigioniera, se già non l’avevano uccisa; e il Numero Tre era scappato come una lepre per salvarsi la pelle e raggiungere Londra nella speranza di continuare la missione.
  
  La città, perlomeno a quanto ne sapeva lui, non era ancora stata spazzata via dal missile atomico di Pendragon, nonostante questi avesse minacciato di distruggerla se gli piazzavano ancora degli agenti segreti tra i suoi. Era stato un bluff, dunque.
  
  Pendragon era troppo sicuro della vittoria finale per giocare la briscola prima del tempo. E si era cavato le sue soddisfazioni, accidenti a lui! La sua gente aveva beccato prima Stokes, poi Gwen. Sarebbero riusciti a farla parlare… presto o tardi…
  
  Non che la cosa avesse molta importanza, ormai. Nick aveva cercato di non pensare a Gwen durante la fuga. Si era augurato soltanto che la ragazza fosse in grado di trattenere quella gente abbastanza a lungo, con le sue chiacchiere, da dargli un certo vantaggio sugli inseguitori. E qui Gwen era riuscita. E si era pure augurato che la uccidessero senza farla troppo soffrire.
  
  La copertura di Nick era la stessa che aveva assunto alla casa nera. Per ora lui era il Maggiore Ralph Campbell, “globetrotter” che amava camminare fra le “Terre Alte” e vestirsi di tweed. Aveva trovato il tempo di ripulirsi un po’ e di farsi la barba. Per ogni evenienza si era tenuto un’ombra di baffetti, ma non sapeva se avrebbero servito a qualcosa. Non aveva tempo di pensare a un travestimento complicato. Né gli pareva il caso. Avrebbe affrontato il mondo (e Pendragon) con il suo aspetto naturale.
  
  L’abito di Nick non si era sciupato molto sul Barrogill Moor, grazie al paludamento bianco che lo aveva protetto. Perciò adesso era abbastanza presentabile.
  
  Aveva un portafogli gonfio di banconote, per fortuna, e questo facilitava le cose. Una volta a Londra avrebbe escogitato qualche sistema per mettersi in contatto con Travers. Sul treno postale era salito in uno scompartimento di coda, del tutto deserto.
  
  Il controllore, uno scozzese dalla faccia malinconica, aveva osservato che la stagione non era troppo indicata per i viaggi di piacere. Piacere!
  
  Così adesso Nick dormiva. Dormiva come può dormire un soldato durante una tregua nella battaglia. E nel sonno recuperava le forze per essere pronto alla prossima.
  
  Il treno filava tra la pioggia e la neve, oltrepassando gallerie, viadotti, campi, paesetti sonnolenti. Aveva ancora un bel tratto da percorrere, prima di arrivare alla stazione di Euston, a Londra. Adesso la prima fermata sarebbe stata Glasgow.
  
  Il malinconico inserviente non s’era preso la briga di preparargli la cuccetta, né Nick lo aveva chiamato. Al diavolo. Tanto, l’abito era già cincischiato, e lui era talmente sfinito che voleva dormire subito, senza perder tempo. Così si era allungato sul sedile e aveva chiuso gli occhi, separandosi per un po’ dal mondo e dalle sue brutture.
  
  Qualche tempo dopo (ore o minuti?) si era reso conto confusamente che il treno era fermo. Però si era rigirato sul sedile, completamente intontito dal sonno, e aveva pensato in modo vago che forse il treno era già arrivato a Glasgow e che aveva fatto molto presto. Non che gli importasse, del resto, visto che lui doveva proseguire fino a Londra. Aveva uno scompartimento tutto per sé e nessuno gli avrebbe dato noia.
  
  Si riaddormentò e sognò Melba O’Shaughnessy. Una cosa piuttosto imbarazzante.
  
  Melba stava cantando al Metropolitan, e Nick era seduto in una poltrona di prima fila.
  
  La ragazza era apparsa sul proscenio e s’era messa a cantare per lui, voce e occhi colmi di passione. Il guaio era che Melba non aveva addosso alcun indumento. E
  
  colui che manovrava i riflettori aveva lanciato due vividi raggi di luce proprio sui seni della cantante. Si vedevano quei seni agitarsi e tremolare ad ogni nota acuta.
  
  Nick ad un certo punto si alzò e fece dei cenni per farle capire che doveva coprirsi.
  
  Melba rise e continuò a cantare, poi gli puntò un dito contro e disse qualcosa. Nick si guardò e si accorse di essere nudo pure lui. E adesso tutto il pubblico del teatro si alzò in piedi gridando: «Vergogna! Vergogna!».
  
  A questo punto Nick cominciò a svegliarsi e provò la sensazione che qualcosa non andasse. Il sogno si dissolse come una sequenza cinematografica, e lui sentì che qualcuno aveva aperto l’uscio dello scompartimento. Infatti una ventata d’aria fredda e umida penetrò nella carrozza. Un attimo solo. La porta venne subito richiusa. Pur essendo ancora mezzo addormentato, Nick capì che non era più solo. Percepì il leggero cigolio delle molle. Qualcuno s’era seduto di fronte a lui. Nick tenne gli occhi chiusi e finse di continuare a dormire. Era sveglissimo, ormai, e ben all’erta, ma preferiva fare il suo controllo senza darlo a vedere. Gli sarebbe stato facilissimo spalancare gli occhi in faccia al nuovo venuto per vedere chi era. Invece li tenne chiusi e ci pensò su. Improbabile che fosse il controllore. Un altro passeggero? Ma quello era uno scompartimento privato. Il treno era quasi vuoto. Perché mai, con tanto posto altrove…?
  
  Nick percepì una zaffata di profumo. Un profumo che aveva qualcosa di familiare.
  
  Ci mise solo un secondo a rammentarsene. Ecco, era Plaisir de Paris. Lo usava quella ragazza di Singapore, ma certo lo usavano molte altre donne. Come quella che gli stava seduta di fronte.
  
  Anche il lieve fruscio che seguì era molto familiare. Un fruscio che lo aveva sempre eccitato piacevolmente, quello del nylon contro nylon, quando una donna accavalla le gambe.
  
  Nick aprì senza parere una fessura d’occhio, in maniera impercettibile. Sì, le gambe erano proprio lì davanti, e si trattava di gambe femminili, senza alcun dubbio.
  
  Lunghe e snelle, inguainate in un velo nero e trasparentissimo. Erano incrociate, e poiché la loro proprietaria portava una gonna assai corta, pareva che non finissero mai.
  
  Poi vide le mani. Lunghe, diafane, bellissime, con le unghie scarlatte. Mani nervose ed impazienti, che picchiettavano una sigaretta e la sollevavano, fuori dal suo campo visivo. Un odore di tabacco turco gli solleticò le nari.
  
  Le gambe si rimisero diritte, dalla posizione delle ginocchia Nick capì che la donna si era piegata in avanti per guardarlo. Continuò a fingere di dormire, ma non tardò ad accorgersi che la sua commedia era inutile.
  
  La donna disse:
  
  — Credo, signor Carter, che adesso possiate smetterla di fingere. So benissimo che siete sveglio.
  
  La voce era calda, profonda, con l’accento di una persona colta.
  
  Nick aprì gli occhi e la guardò. Non si mosse, ma lo stiletto era già a portata di mano. Forse avrebbe dovuto servirsene, forse no. Comunque era meglio prepararsi a tutto.
  
  Le fece uno dei suoi sorrisi più disarmanti.
  
  — Lady Hardesty, suppongo.
  
  La donna assentì con un’ombra di sorriso. Ma i suoi occhi neri, lunghi e calcolatori, non sorridevano affatto. Però studiavano Nick con aperto interesse.
  
  — Siete davvero in gamba, signor Carter. Come fate ad esserne così sicuro?
  
  — E chi altri si interesserebbe tanto di me?
  
  Nick si rizzò a sedere. Sbadigliò e si passò le dita tra i capelli. Ogni mossa era lenta, studiata. Lady Hardesty aveva sulle ginocchia una borsetta di pelle piuttosto capace, e non era difficile immaginare cosa ci tenesse dentro. Nick sbirciò con la coda dell’occhio la porta smerigliata del vagone e vide l’ombra di un uomo dietro la vetrata. Un omaccione, che certo stava là di guardia.
  
  Lady Hardesty incrociò di nuovo le belle gambe e si chinò verso Nick con la fronte aggrottata.
  
  — Non negate di essere Nick Carter, vero? Agente speciale di un’organizzazione americana chiamata AXE? Un’agenzia di “killer”?
  
  Nick aveva già deciso di lasciar perdere la copertura. Tanto era inutile. Però non voleva nemmeno darle troppa soddisfazione.
  
  — Non nego nulla — rispose allegramente — ma neanche ammetto, mia bella signora. Questo è un insegnamento che mi è stato impartito fin da quand’ero piccolissimo dal mio canuto padre buonanima, che Dio se l’abbia in gloria! Le ultime parole che mi ha sussurrato sul letto di morte sono state queste, infatti: «Figliolo, non ammettere mai nulla!»
  
  Lady Hardesty fece un cipiglio che voleva essere minaccioso. Si inumidì le labbra con la punta della lingua, e Nick notò che aveva quello inferiore assai tumido, sensuale. Una bocca eccitante, umida e lustra, che si accordava con quel bel viso pallido, dalla perfetta carnagione di magnolia, privo di trucco.
  
  Aveva i capelli neri come l’ebano, annodati sulla nuca in un severo chignon.
  
  Anche gli occhi erano nerissimi e cupi. C’era qualcosa nel suo insieme che faceva pensare a un’insegnante. Qualcosa di remoto nella sua espressione, di puritano! Il che non si accordava certo con la sua fama! Nick ripensò a Travers, che gliel’aveva descritta come una terribile ninfomane.
  
  Lady Hardesty disse:
  
  — Ve la cavate bene, signor Carter. Avete deciso per un atteggiamento di strafottenza, a quanto vedo. Comincio a trovarvi molto interessante, sapete? Forse è un peccato dovervi uccidere…
  
  — Vi assicuro che su questo sono del tutto d’accordo con voi — disse Nick. Fece per infilarsi una mano in tasca. — Posso accendermi una sigaretta senza che mi spariate?
  
  Lei assentì.
  
  — Fate pure. Ma non vi consiglio di tentare qualche giochetto. Naturalmente potreste anche riuscire a farmi fuori, ma non vi servirebbe a nulla. Ho quattro
  
  “gillies”, là fuori.
  
  — “Gillies”?
  
  Lei fece un sorrisetto.
  
  — È scozzese, e vuol dire paesani. In questo caso, scorte armate. Pistoleros.
  
  Nick accese la sigaretta, ben attento a quella piccola vite che poteva trasformare l’accendino in uno strumento di morte. Cominciava a pensare che quell’aggeggio gli sarebbe stato utile, prima che il treno arrivasse a Londra.
  
  Si rimise l’accendino in tasca e buttò fuori una boccata di fumo.
  
  — Vedo. Intendete dire giannizzeri, insomma.
  
  — Se lo preferite. L’appellativo non ha importanza. Sono quattro omaccioni, comunque, e hanno ricevuto degli ordini precisi da mio marito in persona. Finora sono riuscita a tenerli sotto controllo, e fino ad un certo punto obbediscono anche ai miei ordini. Oltre quel punto però… be’, devo confessarvi che sono una specie di prigioniera anch’io. Non vi servirebbe a nulla cercare di impossessarvi di me e tenermi in ostaggio, capite? Se è necessario che mi uccidano per prendere voi, lo faranno senza la minima esitazione! Sono stata chiara?
  
  — Chiarissima, addirittura trasparente — convenne Nick. — Fastidi in Paradiso, eh? In altre parole Pendragon non si fida affatto di Madama Pendragon. Siete a spasso con il guinzaglio, insomma.
  
  Lady Hardesty tolse un portasigarette d’oro dalla borsa, ne estrasse una sigaretta e se la infilò tra le labbra, poi si tese un pochino verso Nick, osservandolo attentamente.
  
  — Siete svelto a capire — mormorò. — Me l’avevano detto che eravate molto intelligente. E siete pure bello, debbo ammetterlo, proprio come vi avevano descritto.
  
  Nick le accese la sigaretta e aspirò il suo profumo delicato. Dovette ammettere con se stesso che quella donna gli dava un certo turbamento. Perfino in quel momento di pericolo mortale, con la quasi-certezza di venir ucciso e gettato fuori da un finestrino mentre il treno era in corsa, perfino adesso era costretto a confessarsi che quella donna esercitava su di lui un grande potere di attrazione. Come mai? Non si trattava soltanto della sua bellezza. Di donne belle Nick ne aveva conosciuto a centinaia. Non era merito di quella figura splendida, di quell’ovale pallido, di quegli occhi di velluto, vagamente orientali. In che consisteva dunque il suo potere? Chiaro! Si trattava del vecchio “sex-appeal”. Lady Hardesty era una donnaccia, ed emanava quel fluido particolare che non sfugge mai ad un vero maschio. Trasudava sesso da tutti i pori.
  
  Era naturale che gli uomini le scodinzolassero dietro, come cani vicino a una femmina in calore!
  
  Il suo cervello pratico gli disse che avrebbe forse potuto trarre vantaggio da quello stato di fame perenne della bella signora.
  
  Così continuò a fare lo sciocco, mentre le cellule grigie lavoravano in cerca di scappatoie più o meno piacevoli. Le disse:
  
  — Vi sono davvero grato, Milady, di aver voluto lusingare la vanità di un morituro. Ma permettetemi una piccola curiosità chi sono precisamente quegli uomini?
  
  Lady Hardesty appoggiò il dorso contro lo schienale, gettò un po’ di cenere per terra e accavallò un’altra volta le gambe. C’era un’aria calcolatrice nei suoi occhi nerissimi, quando scrutò Nick. D’un tratto parve prendere una decisione.
  
  — Forse è meglio che scambiate quattro chiacchiere con me, prima di farvi ammazzare — disse infine, sbuffandogli il fumo in faccia con una piccola smorfia. —
  
  Per quanto vi abbia appena conosciuto, trovo che sarebbe un peccato uccidere un esemplare notevole come voi. Un vero spreco! Per ciò vorrei offrirvi un’opportunità.
  
  Può darsi benissimo che non ve ne mostriate degno, e allora sarebbe un guaio per tutti e due.
  
  Nick sorrise.
  
  — Non ne dubito. Specialmente per me. Certo non ho la minima idea di quello che avete in mente, ma se si tratta di qualcosa che può aiutarmi a restare in vita, vi assicuro che ci sto. Non vorreste spiegarmi quel che dovrei fare?
  
  Lei abbassò la voce.
  
  — State lì, e non muovetevi, non dite nulla. Cercate di assumere un’aria abbattuta, disfatta. Io adesso andrò a parlare con l’uomo che sta di guardia dietro la porta, perché già si sarà chiesto cosa succede qui. Non dobbiamo dimenticare che è una creatura di mio marito, non mia. Non fate sciocchezze, altrimenti quello ci fa fuori tutti e due!
  
  Si alzò e diede una grattatina al vetro. La porta si aprì subito, e Nick vide un energumeno malvestito, con un berretto di stoffa. Costui fissò subito Nick e la donna con un paio di pupille azzurro slavato. Sotto la giacca si notava il rigonfio della fondina.
  
  Il Numero Tre non rispose all’occhiata del giannizzero. Continuò a fissare il pavimento con aria smarrita, recitando la parte dell’uomo sconfitto e disperato. La porta si richiuse subito alle spalle della donna, e lui li sentì bisbigliare nel corridoio.
  
  Nick si mise a pensare in fretta. Forse sarebbe riuscito davvero a sfruttare la situazione e a capovolgerla a suo vantaggio. Lady Hardesty era in libertà vigilata, lo aveva ammesso anche lei. Con suo marito evidentemente non era in buoni rapporti.
  
  Anzi, per lui quella donna doveva essere una vera spina nel fianco. Con la sua reputazione (e Nick era convinto che tale reputazione fosse più che meritata; sapeva benissimo perché la donna preferiva tenerlo in vita ancora un po’), non faceva certo fare bella figura al povero Pendragon. Quell’uomo poteva essere in potenza un assassino di masse, ma preferiva che la gente lo vedesse come un benefattore, un felice marito e padre di famiglia. La parte del cornuto non si addice ai megalomani. E
  
  con una moglie come quella, il bravo Pendragon era cornuto per forza. Cosa si può pretendere da una prostituta qualunque?
  
  No, dovette convenire con se stesso a questo punto. A Cesare quel che è di Cesare.
  
  Quella era una prostituta tutt’altro che qualunque… Come mai Pendragon non l’aveva ancora accoppata? Perché? Anzi, se l’era perfino risposata! Non certo per passione, se gli mancavano tutti gli attributi della virilità. E allora? Non c’era che una ragione: quella donna sapeva troppe cose. Lui aveva fatto male a divorziare, e lei non aveva tardato a farglielo sapere. Oh, certo non le era stato difficile ricattarlo, minacciarlo di rivelare quel che sapeva, a meno che lui non se la riprendesse. Doveva aver usato il vecchio sistema della denuncia ben nascosta, o qualcosa di simile. Senza dubbio lei ci teneva a risposarlo perché voleva la sua fetta. Voleva dividere con lui quell’immenso, inebriante potere sul mondo! E lui era stato costretto a rivedere i suoi piani davanti alle minacce. Ecco perché non l’aveva ancora uccisa… In più, la morte di madama sarebbe stata una faccenda puzzolentina, per lui che si atteggiava a salvatore del mondo! Così l’aveva risposata per tenerla quieta, e le aveva pure permesso una certa libertà, almeno sin dove arrivava la lunghezza del guinzaglio.
  
  Nick fece una smorfia. Se la missione falliva e Pendragon raggiungeva davvero il dominio del mondo, addio Lady Hardesty! Non avrebbe campato un giorno!
  
  E lei doveva saperlo benissimo. Sgualdrina o non sgualdrina, non era certo una stupida, e certo si era preparata qualche difesa e aveva fatto i suoi bravi progetti pure lei sul conto di quel marito condannato alla poltrona a rotelle e incapace di darle quelle soddisfazioni sessuali che lei gradiva tanto.
  
  Nick abbozzò un sorriso amaro. Il quadro si faceva chiaro adesso. Figurarsi una ninfomane come quella legata a un invalido. E per di più un invalido orgoglioso, dispotico, megalomane che pretendeva la fedeltà e considerava macchie sul suo onore anche i flirt più innocenti!
  
  Il Numero Tre si mise a fischiettare piano. Cominciava a provare una certa ammirazione per quella donna che giocava così freddamente col fuoco. Altro che Lady Macbeth!
  
  Lady Macbeth. Un altro cubetto del gioco di pazienza scivolò al proprio posto, e Nick fece schioccare le dita, eccitato e soddisfatto. Certo, una specie di Lady Macbeth alla rovescia. Madama Hardesty non voleva che suo marito governasse il mondo. Desiderava che lui conquistasse il potere, sì, desiderava che gli andasse bene quel colpo pazzesco che stava preparando, ma poi intendeva far prendere il posto di suo marito a un altro. Uno che le desse maggiori soddisfazioni di quel povero minorato, uno che appagasse tutte le sue necessità sessuali. In fondo era semplicissimo, no? Semplice e chiaro, anche se non di facile attuazione. Pendragon voleva morta la sua donna ma non si era ancora deciso a superare la paura dello scandalo. E Lady Hardesty progettava, al momento buono e con il complice adatto, la dipartita del suo consorte!
  
  La bella signora insomma era in cerca di un altro marito. Sì, poteva anche darsi che fosse quello, il foro nell’armatura. Quel Tallone d’Achille che Travers aveva auspicato con tanto fervore. Poteva darsi.
  
  Di là dal vetro Nick udì qualcosa e capì che i due stavano litigando. Il “gillie”
  
  gridava che il “Laird” non avrebbe gradito questo e non avrebbe gradito quest’altro.
  
  Le risposte di Lady Hardesty erano simili a colpi di frusta. Ancora qualche borbottio incollerito da parte dell’uomo; poi due ombre cinesi danzarono per un attimo davanti alla porta smerigliata. Infine la maniglia cominciò a girare lentamente.
  
  Nick tirò il fiato. Assolutamente non bisognava perdere quell’occasione insperata!
  
  Ridacchiò. A volte un uomo riesce a servire la patria e l’umanità nel modo più strano…
  
  La porta si aprì, e Nick si preparò a sacrificare la propria virtù.
  
  7
  
  Lady Hardesty rientrò nello scompartimento. Aveva il respiro ansante ed era ancora più pallida di prima. Rabbia, eccitazione, paura? Difficile stabilirlo. Si appoggiò un attimo contro lo stipite, fissandolo con quei lunghi occhi neri. Poi si volse per chiudere il chiavistello interno. Adesso erano entrambi prigionieri là dentro.
  
  Le ruote emisero uno stridio lamentoso quando il treno imboccò una curva stretta.
  
  Nick accese una Players. La donna si sedette accanto a lui e tirò fuori l’astuccio d’oro. Quando era uscita s’era portata dietro la borsa, prudentemente.
  
  Nick le porse l’accendino e si disse che sarebbe stato assai facile spostare quella piccola vite e spazzar via quel viso così bello e pericoloso. Lei raccolse le mani a coppa intorno alla fiammella e fissò negli occhi la sua preda. Ancora una volta lui lesse in quello sguardo l’interesse e il calcolo, più qualcosa d’altro, qualcosa di diverso: il desiderio. Desiderio ed eccitamento.
  
  Nick si infilò l’accendino in tasca.
  
  — E così, com’è andata con i vostri compagni di gioco? Qualche dissenso? Ho sentito che alzavate la voce…
  
  Lei assentì.
  
  — Ho un’autorità assai limitata su di loro, purtroppo. Volevano ammazzarvi subito, qui, e gettare il vostro cadavere dal finestrino. Io li ho convinti ad aspettare, almeno per ora. Ho detto che intendevo portarvi da Pendragon vivo. Ho detto che mio marito lo avrebbe preferito. Naturalmente mentivo. Lui vi vuole morto, e al più presto. — Tese una mano e la posò sul braccio di Nick, tastandone i muscoli, mentre faceva una piccola contrazione delle nari. Strinse anche gli occhi e serrò le labbra. —
  
  Vedete — continuò con voce molto dolce. — Sto già correndo dei rischi per amor vostro. Se qualcosa dovesse andar male, Pendragon non me lo perdonerebbe mai. Gli hanno detto che siete pericolosissimo e che rappresentate una seria minaccia per i suoi progetti. Aveva ordinato, a loro e a me, di uccidervi a prima vista.
  
  Con aria naturale, quasi distratta, Nick posò la mano su uno dei suoi ginocchi tondi. Era un gesto privo d’importanza, amichevole nell’intenzione. Ma percepì un lieve tremore e capì che quella donna era sensibile in tutte le parti del corpo.
  
  Ovunque la si toccasse, lei era subito pronta ad infiammarsi. Naturale, se era ninfomane. Però, data quella caratteristica, era pure una donna assai difficile da soddisfare. Nick provò un brevissimo impulso di compassione per lei, ma poi lo respinse subito. Non doveva dimenticare chi era. Né doveva dimenticare quegli occhi d’assassina dietro la maschera demoniaca. Adesso era sicuro che il Diavolo era lei.
  
  Lady Hardesty aveva chiuso gli occhi quando Nick le aveva sfiorato il ginocchio.
  
  Li tenne chiusi per un momento, e lui le domandò:
  
  — Parlate sempre di loro. Ma si può sapere chi sono?
  
  Se fosse riuscito a estorcerle qualche informazione prima che la battaglia amorosa avesse inizio, tanto meglio. Qualunque particolare, anche minimo, gli sarebbe stato utile. Sempre che vivesse abbastanza da servirsene.
  
  Lei lo stupì con la sua pronta risposta.
  
  — Pendragon ha dei seguaci in tutto il mondo. Anche a Washington, naturalmente.
  
  E ha fatto sorvegliare in modo speciale voi e la vostra organizzazione. Sapeva che il primo ministro avrebbe chiesto aiuto a voi, una volta ricevuto il suo ultimatum. E ha indovinato, come sempre. Non appena abbiamo saputo che eravate scomparso dalla circolazione, non abbiamo faticato troppo a immaginare che sareste saltato fuori in Inghilterra, o in Scozia. Ecco perché mio marito mi ha mandato a quella riunione di Barrogill Moor. Ero una specie di esca, e voi avreste dovuto venirmi dietro.
  
  — Vedo.
  
  Lei lo fissò ancora, e qualcosa le brillò negli occhi, una sorta di fiammella cupa.
  
  Nick si permise di attardarsi un altro poco con la mano sul ginocchio, e le sue dita salirono caute verso la coscia vellutata. Lady Hardesty sospirò e si rovesciò all’indietro, appoggiandosi con il dorso allo schienale. Nick provò una sensazione di trionfo. Quella donna era come una tossicomane bisognosa di droga! La teneva sotto controllo adesso, o quasi. Bastava che giocasse bene le sue carte. Denunciò il desiderio che stava impossessandosi di lei mettendosi a parlare con una fretta un po’
  
  ansante, sempre a occhi chiusi con le lunghe ciglia che vibravano e le gettavano un’ombra scura sulle guance pallide.
  
  — Sì — disse con un sospiro. — Voi avete partecipato alla riunione, ma in modo diverso da come avevamo pensato. E non avete abboccato all’amo. Infatti non mi avete seguito. — Il suo profumo, un misto di essenze e di carne, gli solleticava le nari e gli turbava i sensi. Nick provò un desiderio violento, ma cercò di dominarlo con la forza di volontà. Ce la mise tutta per riuscire. Aveva tempo, il viaggio era ancora lunghetto… Gli venne in mente il canto della sirena sulla scogliera. La voce dolce di Gwen Leith. «Perché abbiamo ancora buone nuove da ascoltare, belle cose da guardare…»
  
  Avanzò con la mano un altro poco e le domandò:
  
  — Che ne avete fatto della ragazza?
  
  Era il primo esperimento, quello. Se la donna schizzava per aria inviperita e si scostava, voleva dire che Nick non esercitava su di lei un gran potere di attrazione.
  
  Ma la donna non si ritrasse. Sospirò e gli si avvicinò ancor di più, scivolando sul sedile.
  
  — È ancora viva — disse con voce velata. — Se non ci darà dei fastidi, forse se la caverà. Naturalmente l’hanno fatta parlare. Ecco perché abbiamo saputo che eravate diretto a Londra.
  
  Nick si sentì raggricciare tutti i nervi, immaginando quel che avevano dovuto fare a quella ragazza coraggiosa per estorcerle una tale informazione. Ma fece finta di niente e continuò ad armeggiare con la mano sulla coscia.
  
  — Vedo. Mi stavo appunto domandando come avevate fatto a trovarmi.
  
  — Be’, non era poi così difficile. Il tempo era troppo brutto per volare. E del resto dalle Terre Alte non ci sono aviolinee regolari. Questo pareva il treno più probabile, e inoltre uno dei nostri vi ha veduto prenderlo a Oban. Così l’abbiamo fatto fermare ad una piccola stazioncina. Il capostazione è uno dei nostri, e il controllore è stato comprato con una mancia generosa. Niente di più semplice, come vedete. E se il vostro scompartimento risulterà vuoto quando il treno arriverà a Londra, nessuno dirà nulla. Ohhhhh!!!
  
  Il mugolio venne quando le dita di Nick ebbero raggiunto una parte piuttosto alta della coscia della signora. Adesso Lady Hardesty si mise a tremare come un’epilettica, il collo inarcato all’indietro, gli occhi fissi al soffitto senza vederlo.
  
  Pareva che la vittima fosse lei, e Nick il torturatore. Il Numero Tre spostò la mano, ma lei gliel’afferrò con un singulto. Lui sogghignò. Adesso quella donna era in suo potere, finalmente. In seguito le cose sarebbero cambiate, ma adesso…
  
  — Cos’hanno fatto alla ragazza? — le domandò a voce bassa, priva di emozione.
  
  Pareva che le domandasse notizie del tempo. Anche la risposta di lei era priva di emozione.
  
  Anche lei sembrò parlare del tempo.
  
  — La tortura del serpente. È molto efficace, vi ho assistito anch’io. Credevo di sentirmi male, invece ho potuto resistere benissimo. L’hanno spogliata nuda e hanno liberato un serpente che ha cominciato a strisciarle addosso. Non era velenoso, ma lei non lo sapeva e non ha potuto resistere.
  
  Un agente dell’AXE deve sapersi comportare in maniera adeguata in qualunque circostanza. Nick in quel momento era un macigno di compostezza e di autocontrollo.
  
  Non mosse neppure un muscolo, e non mostrò la minima emozione.
  
  — Una faccenda sgradevole — commentò con voce asciutta. Ma aveva una voglia pazza di strangolarla.
  
  Lei non disse nulla, e Nick continuò, sempre con quel tono spassionato
  
  — Anche il fatto che abbiate bruciato vivo Jim Stokes, non è proprio gradevole..
  
  Non vi pare che i vostri abbiano la mano un po’ pesantuccia? Anche tra gli stessi Druidi c’è stato qualcuno che ha manifestato la propria disapprovazione e si è impaurito.
  
  — Sì — ammise lei. — È stato un errore, un errore marchiano. Mio marito andrà su tutte le furie quando lo saprà. Uno dei Centurioni ha avuto l’idea di drogare Stokes per farlo apparire morto. Sarebbe stato “sacrificato” sulla croce senza sentir nulla.
  
  Non avrebbe impressionato la nostra gente. Lo scopo infatti era quello di impressionare solo voi e spingervi a seguirmi. Invece la dose di anestetico è stata insufficiente, e quello si è svegliato proprio mentre bruciava. Un vero pasticcio, e Pendragon ne sarà furente. Non ha certo fatto una buona impressione quella faccenda.
  
  Dopo tutto non siamo dei barbari…
  
  No? Nick aveva le sue brave idee in proposito, ma non le manifestò. Se quelli non erano barbari, avrebbero funto egregiamente da sostituti fino a quando non fossero arrivati quelli veri!
  
  Lady Hardesty gli si accoccolò più vicina. Aprì gli occhi e lo fissò intensamente, poi sussurrò:
  
  — Ora basta parlare. Baciami.
  
  Aveva due labbra morbide e brucianti. Lo aggredì con violenza, mordendogli la bocca fino a farla sanguinare. Nick pensò: «Hawk non ci crederebbe mai, neanche se vivessi abbastanza da raccontarglielo!».
  
  Ora il respiro di Lady Hardesty s’era fatto ansante. Si alzò e si sfilò l’abito nero in un lampo. Sotto non aveva che un reggiseno. Si tolse anche quello e lo gettò in un angolo. Aveva dei seni piccoli e saldi, i capezzoli irrigiditi dal desiderio. Li avvicinò alla bocca di Nick e gli disse con voce supplichevole:
  
  — Baciami qui… Oh, baciami qui! — Poi soggiunse: — Spero che tu sia quello che cerco… Lo spero proprio, perché allora tutto si aggiusterà, tutto verrà risolto. Se sarai in grado di soddisfarmi, vuol dire che sei in gamba in tutto, Nick Carter! Sono anni che sento parlare di te e delle tue prodezze amatorie. Adesso sei qui. Non venirmi meno, perché se sei proprio quello che cerco… Mi avrai, poi ucciderai Pendragon per me! Ma prima prendimi!
  
  Nick lottò con se stesso per tenere il cervello chiaro e sgombro. Non era facile. Il sangue gli pulsava alle tempie. Si chinò a baciare quella carne bianca, e lei rabbrividì.
  
  Era un cavo elettrico infuocato, ricoperto di velluto. Lui continuò ad accarezzarla, con esasperante lentezza, fino a farla impazzire.
  
  — Oh, ti prego! — sibilò la donna. — Ti prego, Nick! Ho avuto tanti uomini, ma nessuno ha saputo darmi la felicità che cerco! A volte mi sembra d’impazzire!
  
  Si gettò in ginocchio davanti a lui, la bocca contratta in uno spasimo tormentoso.
  
  — Ti supplico, dammi quello che voglio! Diventerò la tua schiava!
  
  Con dita tremanti cercò di strappargli l’abito di dosso, singhiozzando.
  
  Ormai il Numero Tre aveva resistito abbastanza. La violentò con la forza di un gorilla; senza la minima tenerezza, senza la minima pietà. Si scordò per un momento della missione, di Hawk, di Pendragon e del mondo intero. Tutto scomparve in una nebbia rossa di passione animale. Lei era una belva e lui era un bruto. Lei si abbandonò con una serie di grida di piacere e di dolore, gli disse mille cose che lui non udì nemmeno. Si limitò ad amarla duramente, con rabbia, col desiderio di farla a pezzi. Lei rispose con crescente frenesia. Gli diede un morso, e lui rispose con un ceffone. Lei rise soddisfatta e lo morse ancora. La prendeva con odio, un odio cieco, con l’intento di farle male. E lei rideva e piangeva nello stesso tempo, e continuava a morderlo. E lui a picchiarla.
  
  Nick però ad un certo punto si dominò e mise freno a quella furia che lo avrebbe condotto troppo presto alla conclusione. Gli esercizi yoga lo avevano allenato anche a condizionare gli amplessi a comando. Adesso gli occorreva tutta la sua esperienza.
  
  L’allenamento avrebbe servito a dominare la belva.
  
  E infine capì di aver vinto. Era riuscito a soddisfare quella ninfomane insaziabile.
  
  Ma la reazione di lei gli buttò all’aria tutto, cacciandolo nei guai.
  
  La Lady infatti strillò. Cadde in convulsione, gettò un lungo grido, un mugolio animale. Per Nick quello fu il grido più penetrante che avesse mai udito in vita sua, in circostanze analoghe.
  
  Nick le tappò la bocca con una mano per farla smettere, ma lei gliela morse e continuò a mugolare.
  
  «Mio Dio, la sentiranno anche nel primo vagone…» si disse lui con un certo sgomento. Ma non era il macchinista che lo preoccupava.
  
  Un secondo dopo la porta fu schiantata dai Centurioni di Pendragon, che fino a quel momento avevano atteso con pazienza nel corridoio. Piombarono nello scompartimento come un sol uomo. A Nick passò per la mente la visione fugace di quella coppia di Druidi sul “moor”, e si disse che c’erano sempre delle coincidenze colme di ironia. Fece appena in tempo a pensarlo, poi qualcosa di duro gli si abbatté sul cranio, e lui sprofondò nell’oblio più nero. Una frazione di secondo prima di affogare si disse che Pendragon adesso lo avrebbe odiato ancor di più. Adesso avrebbe ammazzato anche sua moglie, non solo lui. D’altra parte questa era stata sempre la sua intenzione, no?
  
  Nick Carter riprese i sensi bruscamente. Capì subito dove si trovava e cos’era successo. Era solo, e giaceva sul pavimento del vagone a faccia in giù. Il treno continuava a filare veloce, sferragliando come aveva fatto prima. Per quanto Nick fosse solo, la porta era stata richiusa, e dietro il vetro smerigliato si vedeva la famosa ombra di guardia. La serratura doveva essere rotta, ma ciò non lo avvantaggiava per niente.
  
  Si rizzò a sedere e si grattò la testa. Non era rimasta che una cosa a suo credito: se non altro era ancora vivo. Si alzò con sforzo. Gli doleva il capo in maniera tremenda.
  
  Notò che lo avevano ripulito per bene. Le armi erano sparite, logico. Niente Wilhelmina e niente Hugo. Già, miracolo che gliele avessero lasciate tenere così a lungo. Certo Lady Hardesty li aveva persuasi a lasciar fare a lei, che avrebbe saputo manovrarlo a dovere. Madama era piuttosto sicura di sé, infatti…
  
  Il treno continuò a procedere nella notte. Nick accese una Players. Meno male che non gli avevano portato via né sigarette né accendino, bontà loro. Perciò quel mortale aggeggio avrebbe finito col rendersi utile, prima dell’arrivo a Londra. Come previsto.
  
  Si avvicinò alla porta e tentò la maniglia. Il chiavistello era rotto, sì, ma quelli si erano arrangiati a sistemarvi una chiusura di fortuna da fuori. Infatti l’uscio non si spostava di un millimetro.
  
  Il suo tentativo però non passò inosservato. La porta infatti venne subito aperta dall’esterno e Nick si trovò a fissare l’occhio nero e maligno di un’automatica. Il
  
  “gillie” era lo stesso che era stato fuori di guardia prima. Agito l’arma e latrò:
  
  — Indietro, e non cercate di far scherzi, se non volete che insudici questo bel tappeto con il vostro cervello.
  
  Nick arretrò.
  
  — Scusate, vecchio mio. Pensavo di andare nella carrozza ristorante a mangiare un boccone.
  
  L’uomo abbozzò un sorriso malvagio.
  
  — Ci penseremo noi a sistemare i vostri appetiti, non dubitate. Ora state indietro e tenete la bocca chiusa.
  
  Riaccostò il battente, e Nick notò che legava dall’altra parte la maniglia con una cordicella o qualcosa di simile.
  
  La sola traccia che Lady Hardesty aveva lasciato nello scompartimento era il suo lieve profumo e una valigetta da notte dimenticata sulla reticella. Se n’erano scordati quando l’avevano trascinata via. Nick la tirò giù e si affrettò ad aprirla. Se ci fosse stata un’arma…
  
  Non c’erano armi. Solo un costume e una maschera diabolica. Nick sospirò. Aveva indovinato, dunque. Era stata Lady Hardesty ad impersonare il Diavolo. Andò a sollevare un poco il vetro del finestrino. Neanche da quella parte c’era speranza, con il treno che filava a quel modo. Pure lui non si sentiva ancora battuto. Non l’avevano fatto fuori subito, ed era stato un errore, un errore che per qualcuno sarebbe risultato fatale. Per qualcuno, o magari per tutti quanti. Sempre che riuscisse a sfruttare quell’errore a proprio vantaggio.
  
  Il treno filava tra le alture, adesso. Nick fissò l’oscurità ostile. Riusciva a vedere ben poco. Si mise a far progetti. Sarebbero venuti lì, naturale. Certo preferivano lavorare in quello scompartimento vuoto, così non si sarebbero fatti notare da nessuno. Un omicidio non è cosa da fare alla luce del sole, no? Anche se il personale del treno stava dalla loro parte, non era certo entusiasta di lasciarsi coinvolgere in un delitto e farsi accusare di complicità.
  
  Tornò ad accomodarsi sul sedile, accese un’altra sigaretta e aspettò. Adesso aveva tutto chiaro in mente. Che venissero, che venissero pure al più presto.
  
  Arrivarono cinque minuti dopo. Erano in tre, tutti e tre grandi e grossi, con l’epidermide del volto cotta dal sole e dalle intemperie e i muscoloni che tendevano le maniche. Entrarono e si richiusero educatamente la porta alle spalle. Uno di loro, evidentemente il capo e portavoce del gruppetto, si appoggiò con il dorso alla porta e gli rivolse la parola. Prima diede un’occhiata all’orologio da polso, poi borbottò qualcosa in un gergo della Scozia settentrionale, che Nick non capì. Rimase immobile perché non intendeva provocare qualche gesto inconsulto prima del tempo. Né voleva che quelli lo legassero o imbavagliassero. In tal modo gli avrebbero scombinato tutti i piani.
  
  — Avete cinque minuti esatti — gli disse l’uomo sulla porta. — Spiacenti, signore, non abbiamo nulla contro di voi, personalmente. Dobbiamo soltanto compiere il nostro dovere. Siete una spina nel fianco del nostro Laird e dovete scomparire.
  
  Semplice, no?
  
  Nick fece un cenno d’assenso con il capo, senza perdere la calma.
  
  — Dispiace anche a me. Salutatemi il Laird e ringraziatelo a nome mio per la sua ospitalità. È stata davvero squisita, come si addice a un gran signore.
  
  Lo fissarono tutti e tre. Uno osservò:
  
  — Fa il galletto! Che coraggio! Peccato che non siate con noi, invece di esserci contro. Un tipo coraggioso ci farebbe comodo.
  
  Nick gli fece un sorrisetto.
  
  — Adesso sarebbe troppo tardi? Se voleste accompagnarmi dal vostro padrone…
  
  Risero tutti e tre alla misera facezia. Il capoccia guardò un’altra volta l’orologio.
  
  — Tre minuti, adesso.
  
  Nick si finse interessato.
  
  — Cosa accadrà fra tre minuti? — (Come se non lo sapesse!) L’uomo gli fece un largo sorriso.
  
  — Stiamo per arrivare su un bel ponte, che fa proprio al caso nostro. È sospeso a una sessantina di metri dal letto del fiume.
  
  — Sì, una sessantina di metri — confermò un altro. — E non c’è molta acqua nel fiume, temo… In questo periodo dell’anno è quasi sempre asciutto.
  
  Il terzo uomo scosse il capo come se deplorasse sinceramente la cosa.
  
  — Son quasi tutti sassi, vedete? E voi ci sbatterete la testa quando precipiterete giù. Non credo che il tuffo sarà molto piacevole per voi…
  
  Nick lo guardò freddamente, stringendo un poco le pupille.
  
  — Intendereste buttarmi giù vivo? E se io non collaborassi? Sì, lo so che siete in tre, ma non sono poi così facile da manovrare neanch’io, sapete? Non avete paura che mi trascini dietro qualcuno di voi nel volo?
  
  L’uomo sulla porta agitò la pistola che aveva in mano.
  
  — Spero che non ci darete dei fastidi, “lad”. È vero che dobbiamo fare un lavoretto pulito e non siamo autorizzati a legarvi né a sforacchiarvi con le pallottole. Il Laird preferisce che tutto abbia l’aria di un incidente. Ma se ci fossimo costretti… Oh, allora abbiamo il permesso di sparare!…
  
  Il Numero Tre chinò il capo, rassegnato.
  
  — Vedo che non ho speranza. Be’, quando mancherà un minuto fatemelo sapere, così fumerò una sigaretta. È l’usanza, no? L’ultima sigaretta del condannato a morte.
  
  I tre ne convennero, e il capoccia disse:
  
  — Sì, ne avete il diritto. Ormai non manca molto.
  
  Nick si alzò piano, senza far gesti sospetti.
  
  — Dov’è Lady Hardesty? — domandò.
  
  Uno dei tre ridacchiò.
  
  — È sana e salva nel vagone accanto. Fuori dai pasticci, con Robbie che le fa la guardia. Con Robbie non c’è niente da fare, non riuscirà ad incantarlo…
  
  Il capoccia guardò Nick con una sorta di riluttante ammirazione.
  
  — Pare che voi siate riuscito a darle quel che cercava. È un vero peccato che dobbiate morire anche per questo. Dopo quella prodezza il padrone non vi lascerebbe certo in vita.
  
  — Oh, no di sicuro — disse un altro. — La signora si è sempre presa i suoi svaghi, ma non è mai stata soddisfatta come con voi, a quanto ci risulta. Facevate proprio al caso suo, e certo vi rimpiangerà. Ma non tarderà a cercarsene un altro, o parecchi altri.
  
  Il capo guardò ancora l’orologio e borbottò:
  
  — Stavolta il padrone le taglierà la gola, per quel che ha fatto. Tradirlo con un nemico… Ma questo non ci riguarda. Accendete pure la vostra ultima sigaretta, “lad”.
  
  Stiamo arrivando al ponte.
  
  Nick si tolse di tasca il pacchetto e l’accendino e fece un breve passo avanti, verso il centro dello scompartimento. Stavano tutti e tre molto all’erta, e lo fissavano con occhi duri. Nick mise la piccola vite in posizione di sparo, con un gesto naturalissimo che non destò il minimo sospetto negli uomini che lo stavano osservando. Purché quell’affare non facesse cilecca! Non aveva avuto ancora l’occasione di sperimentarlo, se non durante le prove a Washington.
  
  Si infilò la sigaretta in bocca e finse di provare l’accendino, che non si accese.
  
  Nick imprecò sotto i denti e fece un altro passetto in direzione di quello che stava accanto alla porta. Sorrise senza allegria.
  
  — È proprio il colmo! La mia ultima sigaretta, e l’accendino non funziona!
  
  Fortunato, eh? Mi dareste un fiammifero?
  
  Istintivamente l’altro gli si avvicinò infilandosi una mano in tasca, e la sua Colt si abbassò di qualche millimetro. Uno dei suoi compagni borbottò:
  
  — Ormai non c’è più tempo, Tom! Il ponte sta arrivando, e dobbiamo fare alla svelta!
  
  Si avvicinarono a Nick in due. Avevano intascato le pistole e si accingevano ad agguantare l’americano per buttarlo giù dal finestrino. Il capo disse:
  
  — Mi dispiace, “lad”, non c’è…
  
  Nick portò l’accendino all’altezza del viso dell’uomo.
  
  — Dispiace anche a me — sibilò, girando la rotella.
  
  Il napalm è una cosa tremenda. Un getto di inferno liquido colpì la faccia del malcapitato. Il tempo di gettare un ruggito di dolore, e già la sua epidermide era bruciata sino all’osso!
  
  L’uomo cadde e si portò le mani al viso, e Nick fece un rapidissimo balzo indietro.
  
  Aspettava l’attacco che sarebbe venuto; vi si era preparato con uno dei suoi colpi proibiti di judo.
  
  Si girò su se stesso con il gomito in fuori e colpì sotto il mento uno dei due superstiti, facendolo barcollare all’indietro. Avendo guadagnato così una frazione di secondo, Nick rivolse la sua attenzione all’ultimo, che stava già per impugnare la pistola che aveva riposto poco prima.
  
  Tutti i gesti del Numero Tre erano una sinfonia di brutalità calcolata al millesimo.
  
  Scatenò tutte le forze che possedeva e le accoppiò all’astuzia. Quell’exploit era il risultato di mesi e anni di addestramento rigorosissimo. Riuscì a manovrare quell’omaccione come se fosse stato un neonato inerme. Un colpo fulmineo in gola e un altro nel petto, e un karatè omicida alla nuca. Quando l’energumeno si abbatté, Nick capì che aveva il collo spezzato e non gli avrebbe più dato noia.
  
  Si volse per affrontare l’altro, che stava riprendendo le forze ma non aveva ancora recuperato le facoltà mentali. Se avesse sparato si sarebbe salvato subito. Ma non ci pensò, e balzò, addosso a Nick con un ringhio rabbioso.
  
  Erano davanti al finestrino, adesso. Nick si accucciò, si girò su se stesso e il suo avversario gli finì sulla spalla. Vi fu un tintinnio di vetri infranti, e lo scozzese volò fuori, nella notte buia. Proprio in quel momento il treno fischiò, soffocando le grida dell’uomo che precipitava. Nick si guardò attorno. Quello dalla faccia bruciata aveva perso sensi ed era irriconoscibile. L’altro era morto.
  
  “Sterminio” li oltrepassò e uscì nel corridoio. Girò a destra, in direzione della macchina. Voleva trovare Lady Hardesty e riportarla sulla sua vettura. E se Robbie voleva impedirglielo, tanto peggio per lui! Ma forse non avrebbe osato. Forse c’erano dei passeggeri nell’altro scompartimento, e quello non poteva commettere imprudenze.
  
  Ma Nick intendeva riportare indietro Lady Hardesty. Voleva parlare con lei e far progetti. Attraverso quella donna lui poteva raggiungere Pendragon. Non aveva altro mezzo. Inoltre quella donna aveva una gran voglia di liberarsi del marito, bontà sua, e Nick era dispostissimo ad accontentarla, al momento opportuno. Di lei si sarebbe occupato in seguito.
  
  Arrivò in ritardo di pochi secondi. Quando giunse nei pressi del soffietto che separava i due vagoni, vide il quarto giannizzero, Robbie, che si rizzava sulla piattaforma di ferro dell’altra carrozza. Aveva staccato l’ultimo vagone dal resto del treno! Evidentemente i suoi tre aggressori avevano i loro motivi per tenere separata quell’ultima carrozza. Forse volevano evitare eventuali passeggeri o tener lontani gli inservienti.
  
  Nick guardò lo spazio che lo divideva dall’altro scompartimento e capì che non sarebbe riuscito a raggiungerlo con un balzo. C’era un vuoto di oltre tre metri, e per quanto lui fosse un ottimo acrobata non ce l’avrebbe più fatta, neanche con un salto mortale. Se fosse caduto, sarebbe finito sotto le ruote del vagone su cui si trovava adesso, che ancora procedeva, trascinato dalla forza di gravità.
  
  Nick stette là a guardare il treno che si allontanava verso Londra, e Robbie alzò la mano in un ironico gesto di saluto. La vettura era ben illuminata, e Nick non faticò a vedere quel che accadde in seguito. Robbie, e alle sue spalle Lady Hardesty, si stagliavano nella luce come figure di cartone nero. La scena fu brevissima quanto violenta.
  
  Robbie, intento ad agitare la mano in direzione di Nick, non si era accorto che Madama lo aveva raggiunto. Con uno scatto fulmineo la donna gli si avventò contro e lo gettò giù dalla piattaforma. Nick scorse a malapena l’espressione di terrore sul volto dell’uomo che precipitava. Subito venne investito dall’ultimo vagone che ancora procedeva, e fece appena in tempo a gettare un urlo di raccapriccio. Nick provò una vaga sensazione di nausea alla bocca dello stomaco. Ma che cara bambolina quella donna!
  
  Adesso lei gli stava facendo ciao ciao con la mano, e lui agitò il braccio senza sorridere, pensando: «Oh, ti acciufferò una volta o l’altra».
  
  Lady Hardesty gli mandò un bacio, e Nick fece un inchino ironico. Poi la donna aprì la borsa che teneva a tracolla e ne tolse un oggetto scintillante. Nick si diede del cretino per essere stato così lento a capire. Non gli era venuto in mente che lui pure era un ottimo bersaglio, in quel punto!
  
  — Banngg! Banngg!
  
  I proiettili passarono a un centimetro dalla sua testa e rimbalzarono contro la parete del piccolo vestibolo. La pistola cantò di nuovo.
  
  Nick con una bestemmia si tuffò nel corridoio, sbattendosi la porta alle spalle.
  
  Fortuna che adesso la sua carrozza stava rallentando, così l’altra sarebbe scomparsa presto.
  
  Proprio una brava figliola, quella, niente da dire! Chiaro che non intendeva lasciarsi alle spalle nessun testimonio vivo. Così avrebbe potuto raccontare a Pendragon tutte le bugie che voleva, e nessuno sarebbe stato in grado di smentirla!
  
  Veramente astuta. Si era scrollata di dosso tutti, ed ora si sentiva libera.
  
  Nick tornò nel suo scompartimento. Ormai la vettura stava per fermarsi, e lui pensò che sarebbe stato meglio scomparire. Là dentro c’era un puzzo tremendo di carne bruciata. Il poveraccio però era ancora vivo, respirava a fatica e si lamentava in modo pietoso.
  
  A Nick non era mai piaciuto infliggere delle sofferenze inutili alle persone.
  
  Raccolse dal pavimento la Colt e sparò un colpo in mezzo agli occhi dell’uomo.
  
  Dopo gli frugò in tasca; ritrovò la sua Luger, la controllò. Hugo, lo stiletto, era invece in tasca all’uomo dal collo spezzato. Nick se lo fece scivolare di nuovo nel fodero di camoscio che aveva sotto la manica. Controllò pure il contenuto del portafogli che gli avevano portato via. Tutto in ordine. Si mise il cappello. Aveva fretta, una gran fretta, ma non sapeva spiegarsene il perché. Provava un desiderio urgentissimo di uscire da quel vagone.
  
  Ora la vettura improvvisamente si rimise in moto, ma all’indietro. Doveva esserci un lieve pendio del terreno. Nick andò a guardare a sinistra, all’altra estremità, ma c’era troppo buio e non riuscì a vedere nulla. Per questo esitò a gettarsi giù. Non sapeva dove sarebbe andato a cadere, e gli dispiaceva finire con la testa su qualche masso.
  
  Poi vide che non poteva più aspettare. Laggiù erano apparsi gli occhi luminosi di un locomotore che stava avanzando. Un altro treno, dunque. Un treno ignaro che lo avrebbe investito.
  
  Nick si buttò giù. Si abbatté su qualcosa di duro, prese una storta, cadde e rotolò.
  
  Sentì che l’abito gli si stracciava addosso. Cercò di proteggersi alla meglio con le braccia il viso e la testa, mentre continuava a rotolare. Pregò tutti i Santi del Paradiso, tutti gli dèi dell’Olimpo, l’Angelo Custode e i suoi numi tutelari. Se si fosse spezzato l’osso del collo in quella caduta, addio missione!
  
  Finì col fermarsi sul letto roccioso di un ruscello, o qualcosa di simile. Provò a tastarsi un po’ dappertutto. Pareva che non ci fosse nulla di rotto. Qualche ammaccatura, ma si sentiva ancora intero. Alzò il capo per sbirciare in su, verso le rotaie. Il vagone non era più visibile. Arretrando doveva aver girato alla curva. Nick rimase in ascolto tutt’orecchi, con un’espressione molto tesa. Pensò che quella missione andava facendosi sempre più sanguinosa. I cadaveri si stavano letteralmente ammonticchiando! Adesso, tra un secondo o due, ci sarebbero state forse delle altre vittime. E stavolta si trattava di qualche macchinista innocente.
  
  Il Numero Tre sospirò ed attese. Non poteva far nulla per avvertire o aiutare quella gente. Se la doveva filare inosservato. La missione innanzi tutto. Se non riusciva a fermare Pendragon in tempo, tra breve la maggior parte dell’umanità sarebbe stata cadavere. Ci sarebbero stati tanti di quei morti che nessuno avrebbe potuto contarli.
  
  Non poteva far nulla. Non…
  
  Ecco! Il frastuono del cozzo si irradiò tra le colline circostanti; pareva che delle mani gigantesche avessero suonato degli enormi tamburi di lamiera. Il suono fu lungo e lacerante. Una colonna di fuoco rossa e blu schizzò verso l’alto, illuminando il paesaggio nel raggio di un chilometro almeno.
  
  Nick controllò le sue armi e approfittò di quell’illuminazione gratuita per farsi strada tra i sassi. Bisognava far presto, presto! Ian Travers stava impazientemente aspettandolo a Londra, e il tempo volava.
  
  Per il momento Pendragon aveva ancora in mano la carta vincente.
  
  8
  
  Il crepuscolo invernale era caduto presto sul cuore di Londra. I globi luminosi che avrebbero dovuto rischiarare l’Embankment parevano sfocati e distanti, come palloncini di carta, ed erano avvolti in un alone di caligine che saliva dal fiume e preannunciava quella nebbia famosa che ben presto avrebbe invaso l’intera città. Il traffico sulle sponde del Tamigi aveva già cominciato a rallentare, ostacolato dalla foschia, e nell’acqua le imbarcazioni cominciavano a lanciare dei fischi per individuarsi l’una con l’altra in quell’oscurità crescente.
  
  Passò un uomo alto che zoppicava un poco. Svoltò dallo Strand in Lancaster Place, oltrepassò il grosso edificio di Somerset House e lanciò un’occhiata alla facciata e alla lampada azzurra di quel famosissimo palazzo della polizia londinese che guardava sul Tamigi. Scotland Yard! Fece un sorrisetto. Non desiderava minimamente scontrarsi con qualche “bobby” britannico, conciato com’era. Aveva per fortuna il portafogli rigonfio di banconote, ma il suo abbigliamento non era dei più eleganti, e a guardarlo aveva tutta l’aria di un tipo sospetto.
  
  Arrivò al ponte di Waterloo e si fermò per accendersi una sigaretta, con l’accendino nella posizione dovuta. Guardò con desiderio una panchina. Un po’ di riposo gli avrebbe fatto molto bene. Era stanco morto, e aveva fame e sete. La passeggiata era stata lunga e faticosa, perché aveva evitato i treni e le autostrade principali.
  
  Il Numero Tre oltrepassò la panchina. Niente riposo, per un povero agente dell’AXE in missione cruciale. Mancavano solo quattro giorni allo scadere dell’ultimatum di Pendragon. L’espressione dell’uomo si indurì sotto la crosta di sporcizia e la lanugine della barba. Fino adesso non aveva fatto che girare in tondo, maledizione! Non aveva combinato nulla. Si trovava lontano dall’isola di Blackscape e da Pendragon come all’inizio dell’avventura. La sola speranza che gli restava era che almeno Ian Travers fosse riuscito ad escogitare qualcosa di fattibile.
  
  La sua meta era l’obelisco di Cleopatra. Là avrebbe dovuto trovarsi uno di quei pittori girovaghi che dipingono sui marciapiedi. Così perlomeno avevano detto quelle famose istruzioni in codice, sempre che fossero ancora valide. Il Numero Tre affrettò il passo, cercando di non pensare a Gwen Leith e a quel che le avevano fatto con il serpente. Non c’era tempo per la pietà; non c’era tempo per nulla, salvo che per uccidere.
  
  Ormai era un po’ tardi e troppo buio perché un artista lavorasse ancora all’aperto, schizzando figure con i gessetti colorati per i passanti curiosi che si fermavano a guardare e gettavano qualche scellino sul cemento. A quest’ora era più prevedibile che il pittore estemporaneo avesse piantato tutto per andare a ristorarsi in qualche pub vicino. Ma lui aveva ricevuto degli ordini espliciti e doveva obbedire.
  
  Nick arrivò all’obelisco. Il pittore c’era, e lavorava ancora sotto un lampione stradale. Era un poveraccio privo di gambe, con il torso infilato in una sorta di cassetta munita di rotelle. Disegnava qualcosa sul selciato, e un gruppetto di persone lo stava guardando con una certa curiosità.
  
  Il Numero Tre si unì agli spettatori e si fermò anche lui ad osservare l’artista. Il mutilato lavorava con destrezza. Stava disegnando il volto di una bella ragazza. Nick si guardò in giro. Non c’erano donne in quel gruppo, quindi il pittore non lavorava su commissione, ma si sbizzarriva a suo piacere con uno schizzo di fantasia.
  
  — Scommetto che non siete capace di fare il ritratto di mia moglie — disse Nick con una voce aspra.
  
  L’uomo non lo degnò neppure di un’occhiata e continuò a lavorare. Poco dopo borbottò
  
  — E io scommetto che ne sarei capace, invece. Basta che mi diciate che faccia ha…
  
  — Oh, non è difficile da descrivere. Ha una grinta che ricorda un’ascia. Basta che disegniate un’ascia e ci mettiate un paio di orecchie, e sarà perfettamente somigliante!
  
  Uno degli spettatori rise.
  
  — Allora è facile — disse l’artista. Prese uno straccio e cancellò la testa della fanciulla, poi cominciò a tracciare il profilo d’un’ascia. — Però questi arnesi sono un po’ costosi. Quanto siete disposto a darmi?
  
  — Un paio di scellini. La mia donna non li vale nemmeno.
  
  L’uomo rise.
  
  — Affare fatto. Qua i soldi. — E si mise a disegnare in fretta il viso tagliente di una donna dall’espressione maligna sui contorni dell’ascia.
  
  Nick gli diede il denaro, e l’artista allungò la mano per afferrare la moneta. Nick sentì nel palmo il minuscolo rotolino di carta di riso, lo tenne in pugno e dopo un momento si allontanò, non senza essersi complimentato con l’abilità del pittore. Più avanti si fermò ad accendere una sigaretta sotto un lampione. Nessuno faceva caso a lui. Forse tutte quelle cautele erano un’inutile perdita di tempo, ma con un tipo come Pendragon non ci si poteva permettere di correre più rischi del necessario. Lo aveva già imparato a sue spese. La sigaretta non si accese bene e lui insisté un poco con la fiammella; intanto diede una sbirciatina al messaggio.
  
  «Al “Drum and Monkey” in Bridle Lane, Soho. Abbordate Pamela al bar. Non c’è tempo da perdere.»
  
  Nick fece una pallottolina con il foglietto e la gettò nel Tamigi. Soho. Il Quartier Latino, il Greenwich Village di Londra. Al diavolo tutto quanto, ma a piedi non ci sarebbe andato.
  
  Tornò sullo Strand e la forza dell’abitudine gli fece trascurare i primi due tassì.
  
  Fece un cenno al terzo che gli passò davanti, diede l’indirizzo al conducente, poi si abbandonò con immenso sollievo su quel sedile di cuoio morbido che odorava di pulito. I tassì londinesi, a dispetto di quella loro aria anacronistica, sono i più comodi del mondo! Sospirò. Era quasi sicuro che neanche stanotte sarebbe riuscito a dormire.
  
  Cercò di rilassarsi sprofondando in un breve stato di trance dello yoga. Non osò abbandonarvisi del tutto però. Una decina di minuti di esercizi yoga avrebbero fatto miracoli, ma purtroppo quello non era né il momento né il posto adatto.
  
  Si domandò chi fosse Pamela, e trovandosi sul suolo inglese ricordò un frammento di Shakespeare: «Chi è Silvia? Che cosa è?».
  
  Chi era Pamela?
  
  Saltò fuori che si trattava di una grassa prostituta biondastra. Sedeva al bar del
  
  “Drum and Monkey”, un pub equivoco in un quartiere altrettanto equivoco, frequentato da donne di malaffare e dai loro “protettori”.
  
  Nick si abbandonò su uno sgabello e ordinò una pinta di birra amara. Aveva l’aria di esser buona, perlomeno, e gli avrebbe levato la sete, tanto per cominciare. Mentre la barista manovrava la spina, Nick le domandò di Pamela. Prima che la donna potesse rispondergli, Nick sentì una mano che gli toccava la spalla e percepì la zaffata mortale di un profumo pestifero. Si girò sullo sgabello.
  
  — Sono io Pamela, amore. Ti aspettavo. È tardi, tesoruccio. Pianta la tua birra e vieni con me. Ho una bella stanza comoda qua sopra, sai.
  
  Nick si guardò bene dal piantare in asso quell’ottima bevanda. Aveva la gola di pergamena. Bevve con voluttà e lanciò un’occhiata alla donna. Si augurò fervidamente di non aver sbagliato locale. Gli sarebbe proprio ripugnato finire a letto con quella tizia. Anche se ne avesse avuto voglia e tempo, quella femmina era un orrore. Grassa, trasandata, dipinta in modo eccessivo e sudicia da far schifo. I capelli stopposi, increspati dalla permanente e tinti male, parevano un covone di fieno.
  
  Ma la donna sembrava piuttosto impaziente. Ancora una volta gli strinse la spalla.
  
  — Andiamo, amore. Adesso hai bevuto, no? Ricordati quel che ti dico sempre: «…
  
  ci sono sempre delle belle notizie da ascoltare, e belle cose da vedere…».
  
  Doveva aver imparato le parole a memoria perché le recitò come un pappagallo, fissando Nick con i suoi occhi iniettati di sangue, in attesa della sua risposta.
  
  — Lo so — disse lui con voce stanca — prima che andiamo in Paradiso attraverso Kensal Green…
  
  Si alzò a fatica dallo sgabello (ci avrebbe fatto volentieri una dormitina?) e la seguì in un corridoio che odorava di disinfettante. Nessuno aveva badato a loro.
  
  Nick osservò il grosso sedere della femmina che sculettava su per la scala davanti a lui. Ansava forte, la cicciona.
  
  — Non è un palazzo, eh? — gli disse con voce allegra. — E dobbiamo farci quattro piani a piedi.
  
  Lo guidò sino a una porta situata sotto un lucernario sudicio. Bussò, e la voce di Ian Travers disse:
  
  — Avanti.
  
  La cicciona diede un’amichevole manata sulla spalla di Nick e disse:
  
  — Il mio compito termina qui. Addio, amore!
  
  Nick scivolò nella stanzetta e Travers alzò gli occhi a guardarlo e si grattò il cranio calvo.
  
  — Mio Dio, sembrate appena uscito da una macina! Avete un aspetto orribile. Lo utilizzeremo. Vi libererete anche di quell’abito troppo costoso, della cravatta e della camicia, e sarete proprio adatto per la vostra parte. I pantaloni hanno sofferto abbastanza, stracciati e sudici come sono. Ho un altro paio di scarpe da farvi mettere.
  
  Nick si soffregò il mento con il dorso della mano e gli domandò: Nessuna speranza di farmi la barba?
  
  Travers andò a prendere in un angolo una grossa sacca di cuoio grasso e la posò sul tavolo.
  
  — Neanche per sogno! Quella barba è inestimabile. Anche la sporcizia, e dovrete conservarla. Ma di questo ne parleremo dopo. Non abbiamo tempo da perdere, vedete? Intanto che tiro fuori la roba che occorre, voi raccontatemi le vostre avventure. E siate breve, per favore.
  
  Nick gli disse tutto quel che era accaduto da quando aveva fatto quel fortunoso sbarco dal Cynara. Travers lo ascoltò sino alla fine senza mai interromperlo. Quando Nick ebbe terminato, l’uomo del Servizio Speciale versò un po’ di whisky in un bicchierino e glielo offrì. La bottiglia era uscita dalla sacca di cuoio grasso insieme a diversi altri articoli. Travers indicò una. sedia all’ospite e anche lui tornò a sedere. Si concesse un goccio di scotch e alzò il bicchiere in un gesto di brindisi.
  
  — A Jim Stokes — disse. — Era il nostro migliore agente. Grazie per averlo finito, Carter. Saperlo arso vivo mi sarebbe stato insopportabile.
  
  Si passò una mano sulla fronte con un gesto stanco e Nick intuì che doveva essere sfinito pure lui.
  
  Travers posò il bicchiere sul tavolo con un tonfo.
  
  
  
  
  
  — Be’, tutto questo ormai appartiene al passato. Ora dobbiamo parlare di lavoro.
  
  Vi ho fatto sapere in codice che avevo trovato un ingresso posteriore per la tana del topo. Credo che forse riusciremo ancora a farcela. Cerchiamo di farvi entrare nell’isola di Blackscape, Nick. L’uccisione di Pendragon può essere rimandata, per ora. La cosa più urgente è buttare all’aria quel maledetto complesso missilistico.
  
  Perciò ascoltatemi bene. — Diede un’occhiata all’orologio. — Operiamo su un margine strettissimo di tempo. Tra un paio d’ore dovrete essere sulla strada della prigione. Vi porteranno a Dartmoor, nel sud dell’Inghilterra. E avrete per compagno di viaggio un certo Alfie McTurk. Questo prigioniero è uno degli energumeni di Pendragon. Lui li chiama “Centurioni”.
  
  Nick assentì con una smorfia.
  
  — Lo so, ne ho appena ammazzato tre. Al quarto ha pensato Madama Pendragon.
  
  Travers sorbì il suo scotch e fissò per un attimo il soffitto.
  
  — Già… peccato che i contatti con Lady Hardesty siano stati interrotti così…
  
  Quella donna avrebbe potuto condurvi fino al marito…
  
  — Ne dubito. Il nostro eroe non ha la minima fiducia in sua moglie. Lei è sua prigioniera, più o meno. Perlomeno lo era, come vi ho spiegato. Adesso che è libera, Dio solo sa cosa intenda fare.
  
  Travers si accese una sigaretta, poi gettò il pacchetto a Nick.
  
  — Non resterà libera a lungo — disse. — Lui la acciufferà, prima o poi. Ha gente dappertutto, ormai. Schizzano fuori da ogni parte, quei maledetti, come scarafaggi.
  
  Scordiamoci della donna per il momento, e concentriamoci su Alfie McTurk, quel tipo che sarà vostro compagno di prigione. Mi auguro che sarà lui ad introdurvi nell’isola di Blackscape.
  
  Nick terminò il whisky e guardò la bottiglia con cupidigia, ma poi decise di rinunciare. Non si sarebbe ubriacato se ne avesse bevuto un altro goccio, perché lui non si ubriacava mai. Ma gli avrebbe fatto venir sonno, e Dio sapeva quanto sonno avesse già. Sospirò e si accese una sigaretta.
  
  — Va bene, parlatemi di Alfie McTurk.
  
  Ian Travers parlò per una mezz’oretta. Il Numero Tre lo ascoltò attentamente, facendogli qualche domanda di tanto in tanto. Infine fece una faccia abbastanza soddisfatta.
  
  — Sì, credo che possa funzionane — disse.
  
  Travers si passò una mano sugli occhi arrossati e gonfi di sonno.
  
  — Deve funzionare per forza — disse con voce quieta. — È la nostra sola possibilità, l’unico asso che teniamo ancora nella manica. Per adesso Pendragon ha tutte le briscole in mano. La sua rete spionistica funziona egregiamente. Maledetto lui, sembra che sappia quel che intendiamo fare quando ancora lo stiamo pensando!
  
  — Indicò con un gesto circolare del braccio la squallida stanzetta. — Ecco perché sono stato obbligato a fare questa stupida manovra da romanzo spionistico. Non osavo neppure farvi venire a Scotland Yard, perché lui sarebbe venuto a saperlo entro un’ora!
  
  Nick assentì.
  
  — Infatti sapeva che ero partito da Washington.
  
  Travers ne convenne con una smorfia irritata.
  
  — Lo so, l’avevo sospettato anche allora, ma era inutile parlarvene. Oh, a proposito, non vi ho ancora detto che uno dei suoi uomini stamane mi ha telefonato allo Yard per comunicarmi che si sono impossessati di Gwen Leith. Il messaggio di Pendragon, trasmesso da uno dei suoi Centurioni, diceva che la ragazza veniva tenuta in ostaggio come garanzia della nostra buona condotta. Il che significa la vostra buona condotta. Se fate un altro tentativo di insinuarvi nella loro organizzazione, la uccideranno. E non certo in modo rapido e dolce, come ha tenuto a spiegarmi quell’uomo.
  
  Nick lo fissò. Travers sospirò, si strinse nelle spalle e disse:
  
  — È un vero peccato. Era una brava figliola ed un’ottima agente. Mi rincrescerà moltissimo perderla.
  
  — Mi ha dato l’impressione di essere qualcosa di più che una semplice agente —
  
  disse Nick. — Scommetto che si trova molto in alto, nella graduatoria.
  
  Gli occhi blu-ghiaccio di Travers rimasero imperscrutabili. Nick capì che non aveva il diritto di fare certe domande e non insisté. Su certi argomenti Travers era chiuso come un’ostrica, proprio come il vecchio Hawk, e non diceva una parola più dell’indispensabile.
  
  Ora l’uomo spinse la sacca nella sua direzione e disse:
  
  — Avanti con i preparativi. Qui c’è un’altra giacca, un’altra camicia, e un paio di scarpe. Meglio che cominciate subito a cambiarvi. Dovete tornare giù nel bar fra un quarto d’ora, e lì comincerete la commedia. Litigherete con un poliziotto. Ricordatevi che dovete recitare molto bene per sembrare naturale. Può darsi che non sia indispensabile, ma non possiamo permetterci il minimo errore. Intanto cominciate ad immedesimarvi nella vostra parte. È quella di un irlandese rinnegato. E ricordate che siete uno di quei casi senza speranza, un recidivo, un superstite della vecchia Armata Repubblicana Irlandese. Per voi l’ARI non sbaglia mai, né potrà mai morire.
  
  Travers si interruppe per fissare Nick. Poi gli domandò in tono un po’ dubbioso:
  
  — Riuscirete ad imitare l’accento irlandese? Se non ce la fate non vale neanche la pena di tentare…
  
  Nick gli sorrise.
  
  — Non abbiate paura. Sono un figlio della verde Erinni — disse con pesante accento — e odio gli inglesi ancor più del peccato e del protestantesimo. E vorrei tanto far saltare in aria Buckingham Palace!
  
  Travers fece un breve cenno di approvazione.
  
  — Niente male, ma non cercate di strafare, mi raccomando. Alfie McTurk è uno stupidotto, ma gli avranno raccomandato di stare in guardia, perciò diffiderà di tutti.
  
  È preoccupato. Mettendosi nei pasticci con la nostra polizia si è cacciato in un guaio ancora peggiore con Pendragon e i Druidi. La loro disciplina è assai rigida, e McTurk è venuto meno ai regolamenti. Ma vi ho già parlato di questo.
  
  Intanto Nick aveva cominciato a togliersi l’abito del maggiore Camberwell, la camicia e la cravatta. Si infilò il camiciotto a righe grigie e azzurre, e al posto della cravatta si annodò al collo un fazzoletto non troppo pulito. In testa si infilò il berretto di tela alquanto bisunto. Travers lo osservò con approvazione.
  
  — Sì, andate benissimo. Mi raccomando, non lavatevi e non fatevi la barba, a meno che non sia assolutamente indispensabile. Mi sembra un travestimento efficace.
  
  Per quanto ne sappiamo, Madama Hardesty è la sola persona vivente, nell’organizzazione dei Druidi, che vi ha visto in faccia. Non ci sono mica in giro delle vostre fotografie, per caso? — gli domandò con aria inquisitrice.
  
  Nick scosse il capo e sorrise.
  
  — Dovreste saperle queste cose, Sir! Quando sono entrato a far parte dell’AXE, hanno bruciato persino le mie foto di quando ero in fasce!
  
  — Lo so, ma ci sono quegli individui che vi prendono un’istantanea per la strada o in un locale notturno, a vostra insaputa… — disse Travers in tono asciutto. —
  
  Insomma, dobbiamo correre il rischio. E del resto siete abbastanza irriconoscibile, combinato a quel modo. Ed è così che dovrete recarvi a Blackscape. Se ci riuscirete, vi faranno indossare l’uniforme dei Druidi. A proposito, magari vi perquisiranno!
  
  Datemi le vostre armi. Vi sospetterebbero subito, se vi vedessero armato. È dura, lo so, ma indispensabile. Coraggio, datemi quello che avete.
  
  Nick mise la Luger sul tavolo e mormorò:
  
  — Addio, Wilhelmina, non tradirmi.
  
  Poi sfilò lo stiletto Hugo dal fodero di camoscio e lo buttò accanto alla pistola.
  
  Travers aveva ragione, tuttavia adesso lui si sentiva piuttosto nudo senza i suoi amici fedeli.
  
  — Non c’è altro?
  
  Nick mentì con disinvoltura.
  
  — No, non ho altro.
  
  Aveva ancora una dose di napalm nell’accendino, e intendeva tenersi almeno quello. Fratelli anglosassoni, mani tese attraverso l’Oceano e tutto quanto, ma a volte è necessario avere qualche segretuccio anche con i fratelli… L’accendino non lo avrebbe compromesso. In caso necessario poteva sempre dire che l’aveva rubato.
  
  Travers ripose le armi nella valigia e disse:
  
  — Mi auguro di tutto cuore di potervele restituire un giorno. Adesso levatevi le scarpe, e fate alla svelta.
  
  Nick si sfilò gli stivali da passeggio del Maggiore Camberwell, e Travers gli porse un paio di scarpacce nere, alquanto sformate.
  
  — Vedete, tutte e due hanno i tacchi svitabili.
  
  Girò infatti tutti e due i soprattacchi di gomma e mostrò le due cavità.
  
  — Filo e detonatori — disse. — Il filo è sottilissimo, e qua dentro ce ne stanno circa sei metri. — Poi sollevò la scarpa sinistra e la mostrò a Nick. — E qui ci sono le capsule. Non vi consiglio di fare qualche balzo troppo ardito sui tacchi. Fareste un volo senza ritorno!
  
  — Cercherò di rammentarmene.
  
  Travers rimise a posto i soprattacchi e Nick indicò la scarpa destra, ripetendo:
  
  — Filo e detonatori. — Poi mostrò la sinistra. — Capsule.
  
  — Bene, adesso mettetele ai piedi, e vi mostrerò la pièce de résistance.
  
  Si tolse di tasca una vecchia borsa da tabacco e una pipa assai consunta e puzzolente.
  
  — D’ora in poi sarete un fumatore di pipa — gli disse. — Liberatevi di tutte le sigarette che avete. Datemi anche il portafogli del Maggiore.
  
  Nick obbedì. Travers gli diede un altro portafogli, sottile e tutto graffiato.
  
  — Inutile che controlliate adesso. Il lavoro lo ha fatto un esperto, e dentro c’è tutto quel che vi occorre. Adesso, a proposito di questa borsa di tabacco…
  
  Tirò la chiusura lampo per aprirla, e ne uscì un gran puzzo di trinciato forte a buon mercato.
  
  — Osservate bene — disse Travers. — Se vi capitasse di dover ricorrere a questa roba dovrete essere molto svelto. — Infilò tre dita nella racchetta e tirò fuori una manciata di tabacco. Poi sollevò la borsa e ne mostrò il fondo a Nick. C’era della roba grigiastra che assomigliava alla creta che adoperano i bambini per modellare.
  
  — Plastico — disse Travers. — Ce n’è tanto da buttare per aria mezza Londra.
  
  Sapete usarlo, naturalmente.
  
  Il Numero Tre assentì. Lo sapeva e come! Aveva frequentato un corso speciale dell’AXE, per imparare a fabbricare bombe al plastico, e se ne ricordava benissimo, anche perché l’AXE aveva perduto un bravo agente che si era distratto un po’ nel manipolare quella roba.
  
  — Bene. Spero soltanto che riusciate ad usarlo in tempo.
  
  Travers rimise il tabacco nella borsa, e diede anche la pipa a Nick.
  
  — Credo che non ci sia altro. Adesso diamo un’occhiata alla carta geografica. Poi vi farò un ultimo esame rapido, dopo di che scenderete nel pub e vi farete arrestare.
  
  Ricordatevi che dovete apparire autentico. I miei poliziotti si aspettano un vero tipo di ribelle irlandese. Ho dato l’incarico di portarvi via a uomini particolarmente in gamba. Non riuscirete a danneggiarli coi vostri pugni, ve lo garantisco!
  
  — Né intendo farlo — lo rassicurò Nick. — Debbo proteggere anche me stesso, no? E non sono ammessi neanche i colpi proibiti, eh? Come il karatè, lo judo, il savatè?
  
  Travers fece una smorfia:
  
  — Cielo, no! Non siete che un pazzo ribelle irlandese. Al massimo potete menar le mani, ma non potete conoscere quei colpi da specialista! Ora vediamo un po’. Voglio darvi un’ultima occhiata, prima che ve ne andiate.
  
  Due minuti dopo l’uomo del Servizio Speciale fece un cenno soddisfatto.
  
  — Credo proprio che possiate andare. Coraggio dunque, e buono fortuna.
  
  Gli strinse la mano e lo accompagnò alla porta.
  
  Cinque minuti dopo Nick sedeva di nuovo sullo sgabello del “Drum and Monkey”
  
  e si faceva un’altra pinta di birra scura. Stava scambiando qualche parola con la barista; tanto per abituarsi all’accento irlandese, quando vide gli occhi della donna spalancarsi. Stava fissando qualcosa alle sue spalle. Poi si chinò per sussurrargli:
  
  — Piedipiatti, caro. Li sento dal puzzo. Attento a come parlate, adesso.
  
  Una manona si abbatté sulla spalla di Nick e lo costrinse a girarsi sullo sgabello.
  
  Un poliziotto enorme, in borghese, con una faccia di pietra, lo sbirciò bene.
  
  — Vi chiamate Mitchell? Sean Mitchell?
  
  Era quello dunque il suo nuovo nome! Nick lanciò al poliziotto un’occhiata arrogante e rispose:
  
  — Può darsi, ma a voi cosa ve ne frega?
  
  La mano gli strinse la spalla ancor più forte.
  
  — Magari niente, però dovete venire con noi. C’è qualcuno che vuol farvi qualche domandina.
  
  Nick si scrollò la mano di dosso e si alzò. Tutti lo stavano osservando, nel pub.
  
  — Non è ancora arrivato per Sean Mitchell il momento di andarsene in pace con dei maledetti piedipiatti inglesi!
  
  E mollò un pugno in faccia al poliziotto.
  
  9
  
  Il furgone lasciò Londra a mezzanotte e si avviò verso la cupa prigione di Dartmoor, nel Devonshire. La nebbia era salita, come previsto, rendendo il viaggio lento e noioso. Il veicolo arrancava come un cieco in quella fittissima “zuppa di piselli” giallognola. Soltanto dopo l’alba avrebbero lasciato la pianura per inerpicarsi lungo il “moor” in cui l’incidente si sarebbe verificato. Travers aveva scelto una località che si chiamava Two Bridges, a nord-est di Princeton e della prigione. In quel punto un autocarro sarebbe andato a cozzare contro il furgone. I due agenti e l’autista dovevano fingersi feriti e privi di sensi. Nick, avvero Sean Mitchell, e il suo compagno ammanettato Alfie McTurk, si sarebbero trovati a piede libero sul “moor”.
  
  E in fuga, naturalmente. Da quello scontro in poi, Nick doveva improvvisare alla meglio.
  
  Alfie McTurk era un Druido, un Centurione, uno dei duri di Pendragon. Era quindi presumibile che si mettesse subito in contatto con la sua organizzazione per domandare aiuto. Travers almeno lo sperava. Il punto debole del piano, infatti, era quello.
  
  Travers era preoccupato per una cosa sola, e l’aveva detto a Nick. Alfie McTurk si trovava nei pasticci da ambo le parti, con la polizia londinese e con i Druidi. Si era ubriacato e aveva organizzato un’operazioncella di furto per conto proprio. Lo avevano beccato e messo dentro. Da parte del Centurione quell’impresa significava una grave infrazione alla disciplina. E i Druidi che disobbedivano venivano puniti alla svelta e senza misericordia. Ora l’interrogativo era il seguente: si rendeva conto Alfie McTurk del pasticcio in cui s’era cacciato?
  
  — Ha il corpaccione di un bue — aveva spiegato Travers — ma ne ha pure il cervello. Tuttavia può darsi che si renda conto di essere maggiormente al sicuro lontano dai Druidi. E che di conseguenza non si metta in contatto con loro. Sta a voi guidarlo, Nick.
  
  Ora, mentre il furgone arrancava piano piano nella notte nebbiosa, Nick osservava senza parere l’omaccione che sedeva di fronte a lui. Finora avevano scambiato ben poche parole. Nick recitava la parte dell’uomo imbronciato e se ne stava zitto, intento a rodersi il fegato. McTurk per lo più fissava il pavimento con un gran cipiglio, e di tanto in tanto si torceva le mani. Aveva l’aspetto di un gorilla, grande, grosso, con delle spalle enormi e il collo corto e spesso. Aveva la fronte bassa e folti capelli scuri.
  
  E due occhietti piccoli e astuti, molto vicini uno all’altro. Era malvestito come Nick, ma ancora con la sua roba addosso. La divisa da carcerati gliel’avrebbero imposta a Dartmoor, non prima.
  
  Nick diede una sbirciatina alla rete metallica della porta sul retro del furgone. Non sarebbero arrivati a Dartmoor, naturalmente, ma Alfie McTurk non lo sapeva. La porta era chiusa con il suo bravo lucchetto, un lucchetto però che era stato limato per tre quarti.
  
  — Se le due portiere non si spalancano spontaneamente — gli aveva spiegato Travers — basterà un bello spintone, e vedrete che il lucchetto salterà.
  
  Nick si disse che era giunto il momento di fare qualche approccio. Era necessario guadagnarsi la fiducia di McTurk. Colse l’occasione quando il veicolo sobbalzò incontrando una buca. Tirò fuori una filza di bestemmie in irlandese e scalciò contro la parete del furgone, poi prese a pugni il divisorio che lo separava dagli agenti seduti davanti.
  
  — Perché non guardate dove andate, cretini! Volete farci rompere l’osso del collo, eh, maledetti bastardi d’inglesi? — sbraitò, sempre martellando di pugni il divisorio.
  
  McTurk lo osservò, e a Nick parve di scorgere una breve scintilla di ammirazione nei suoi occhietti porcini. Era ora! Quando li avevano cacciati nel furgone Nick aveva sostenuto una lotta disperata a pugni e a calci, ma McTurk non era parso impressionato dalla sua violenza. Adesso però cominciava a prenderlo in considerazione. Si sfilò un pacchetto di sigarette tutto cincischiato di tasca, ne accese una, poi ne offrì al compagno osservando:
  
  — Accipicchia, sei proprio un duro! Come ti chiami, galletto?
  
  Nick gli ributtò la scatola in malo modo. Si augurava di non esagerare, ma non doveva apparire troppo ansioso di fare amicizia.
  
  — Tientele, le tue maledette paglie, non so che farmene!
  
  L’altro raccolse il pacchetto caduto e glielo tese di nuovo. Adesso era lui che sembrava ansioso di chiacchierare. Sulla sua faccia da bruto comparve un’espressione che si sarebbe potuta definire amichevole.
  
  — Non è mica la maniera questa, collega! Dovremo stare insieme, no? Magari ci chiuderanno nella stessa cella, perciò tanto vale fare amicizia, dico io. E chissà, forse all’occorrenza ci potremo aiutare a vicenda. Non è mica detto che l’occasione non arrivi, sai? — soggiunse con una furbesca strizzatina d’occhi. — Ho qualche conoscenza, io, e non passerò certo sette anni in quella maledetta prigione! Come ti chiami?
  
  Nick continuò a guardarlo imbronciato, ma in cuor suo provò un certo sollievo. Era un accenno, solo un accenno, ma significava che Alfie aveva la speranza che i suoi compari lo salvassero e non si rendeva conto che avrebbero invece potuto accopparlo benissimo. Meno male! Allungò una mano e prese una sigaretta, ancora riluttante.
  
  — Mi chiamo Sean Mitchell, se proprio ti interessa — borbottò con malagrazia.
  
  Alfie chinò il capo.
  
  — E io mi chiamo Alfie McTurk. Mi hanno dato sette anni per furto. Ho cercato di svaligiare una gioielleria sullo Strand. E ce l’avrei fatta benissimo, maledizione, se non fossi stato ubriaco! Scalogna nera!
  
  Nick gli lanciò un’occhiata sprezzante.
  
  — Solo i cretini lavorano quando sono ubriachi! — sentenziò. — Ma del resto voi inglesi non siete neanche capaci di bere. Ci vuole un figlio dell’Irlanda per questo!
  
  McTurk non se la prese. Ormai era deciso a fare amicizia con quel ribelle che aveva l’aria di essere più duro di lui e che pareva dovesse esplodere da un momento all’altro di furia compressa. Il fatto era che Alfie, bullo soltanto in apparenza, in cuor suo era vigliacchetto, e specie in quel momento si sentiva molto solo e impaurito.
  
  Nick aveva già compreso con chi aveva a che fare, e lo lasciò cianciare a suo piacere.
  
  Si trattava per lo più di bravate, di inutili vanterie. Il Numero Tre lo ascoltava fumando e tra sé diceva che uno psichiatra qualsiasi avrebbe giudicato Alfie un tipo instabile, tutt’altro che sicuro di sé.
  
  Il viaggio pareva interminabile. Cominciò a piovere, e i due sentirono lo scroscio sul tetto della vettura. Cominciò a fare un gran freddo là dentro. Nick si tirò su il bavero della giacca e tornò ad immergersi nel suo broncio rabbioso. Era impaziente come un cavallo da corsa, elettrizzato dalla fretta di concludere, e non vedeva l’ora che si verificasse quel benedetto scontro per passare all’azione.
  
  Oltrepassarono Exeter, Moretonhampstead, Grimspound, Postbridge.
  
  Ora Nick stava tutt’orecchi, in attesa del segnale. Il conducente avrebbe dovuto suonare il clacson in un certo modo, arrivando a un chilometro circa ad est di Two Bridges. Nick sbirciò fuori dalla finestrella, e a una curva scorse un lieve grigiore livido ad oriente. Pioveva ancora, ma meno forte di prima.
  
  L’autista diede la breve segnalazione convenuta. Ancora un chilometro, dunque!
  
  Nick guardò McTurk. L’omaccione era ricaduto nel silenzio e s’era rimesso a fissare il suolo con aria cupa. Spaccone o no, stava cominciando a rendersi conto che era avviato verso Dartmoor, dove avrebbe dovuto scontare sette anni di lavori forzati.
  
  — Hai un’altra sigaretta? — gli domandò Nick. Era preparato all’urto della collisione che sarebbe arrivata da un momento all’altro. Travers gli aveva detto che sarebbe stata una faccenda molto, molto verosimile, quasi vera. («Vedrete – lo aveva avvertito con un sogghigno – se non finirete anche voi a gambe all’aria!») Alfie si frugò in tasca e tirò fuori il pacchetto cincischiato, poi lo appallottolò con rabbia e lo scaraventò contro la porta.
  
  — Finite, accidenti! Perché non tiri fuori le tue? Non sono mica un tabaccaio, dopo tut…
  
  Un lungo stridio di freni tormentati, poi uno scossone da terremoto. Per quanto Nick fosse pronto a ricevere il colpo e ad ammortizzarlo, piombò con un tuffo addosso ad Alfie. Il furgone finì in un fossatello e si rovesciò.
  
  Il Numero Tre notò che Alfie, era come istupidita. Lo afferrò per un braccio e lo spinse verso la porta posteriore.
  
  — Andiamo — gridò — orse abbiamo una speranza! Vale la pena di tentare.
  
  L’uscio d’acciaio teneva ancora. Nick gli mollò un calcio violento, ben diretto, e i due battenti si aprirono. Nick scivolò nel fossato trascinandosi dietro Alfie.
  
  Cominciava appena appena ad albeggiare, e s’era rimesso a piovere forte.
  
  Il furgone era rovesciato su un fianco nel fosso, con le ruote che giravano ancora a vuoto. Dall’altra parte si vedeva un autocarro con il muso affondato nell’acqua e i fari ancora accesi. Nessun segno di vita nei due veicoli. I poliziotti recitavano proprio bene la loro parte!
  
  Nick afferrò Alfie per un braccio. Non c’era tempo da perdere e non voleva che il suo compagno avesse l’opportunità di riflettere.
  
  — Corri! — sibilò. — Corri, maledizione! Forse possiamo nasconderci da qualche parte.
  
  A occidente vide qualche casetta sparsa e un campanile. Two Bridges. La carta geografica che Travers gli aveva mostrato gli balzò alla mente. Doveva dirigersi a nord, verso la parte più desolata delle colline.
  
  Nick attraversò la strada di corsa. Si lanciò un’occhiata alle spalle e vide che Alfie lo seguiva. Sogghignò soddisfatto e continuò la fuga con quanto fiato aveva in corpo.
  
  Il Numero Tre aveva un fisico allenatissimo, anche se in quel momento non era proprio in forma perfetta. Ad un certo punto fu costretto a rallentare un po’ per permettere all’ansante Alfie di raggiungerlo. Ma prima di fermarsi e di gettarsi tra l’erica corse per un quarto d’ora buono. Infine trovò una piccola altura che lo avrebbe protetto da chiunque cercasse di scorgerlo dalla strada, e vi si nascose dietro.
  
  Naturalmente nessuno li avrebbe cercati, ma Alfie non lo sapeva e bisognava recitare a tutto suo beneficio.
  
  McTurk era spossato. Si gettò sull’erica bagnata cercando di ritrovare il respiro, che gli uscì dalla gola con un suono singhiozzante. La pioggia era aumentata ancora, era come una maledetta rete grigiastra mista a nebbia. Nick aspettò che il compagno riprendesse fiato; poi si arrampicò sull’altura per guardare dall’altra parte. Recitava a meraviglia la parte dell’uomo braccato. Alfie McTurk rappresentava il suo biglietto d’ingresso nell’ambiente di Pendragon. Un biglietto un po’ strano, ma non c’era scelta. Né c’erano altri mezzi. Bastava un piccolo sbaglio da niente per buttare tutto all’aria. Senza contare che il tempo incalzava.
  
  Nick sbirciò di là dall’altura. Delle forme scure stavano muovendosi in una valletta lì sotto. Il Numero Tre si irrigidì per un attimo, poi comprese di che si trattava e si rilassò. Erano cavallini selvatici dei “moor”, anche loro creature solitarie e desolate sotto la pioggia, quanto lui ed Alfie. Rialzò gli occhi per scrutare l’orizzonte cupo.
  
  Gli parve di scorgere in distanza qualcosa di bianco. Una casa? Un cottage? Non ne era sicuro, ma valeva la pena di tentare. Tornò giù, e raggiunse Alfie, che ancora ansava. Gli allungò una pedata nelle costole senza tante cerimonie.
  
  — Hai intenzione di star qui tutto il. giorno? Su, bello, coraggio. A quest’ora avranno già sguinzagliato guardie e cani. Non possiamo fermarci ancora. Vieni, bisogna rimetterci a correre!
  
  Alfie si rialzò a fatica.
  
  — Non ho più fiato, amico, niente da fare. Ho una fitta qui che mi impedisce di correre. Potrei tentare di camminare, ma piano. Come vuoi che facciano a trovarci qua, tra pioggia e nebbia?
  
  — Figurati se non ci trovano; con la pratica che hanno del posto! — ritorse Nick con voce rabbiosa. — Siamo noi che non riusciremo a trovare una scappatoia tra queste dannatissime alture! Va bene, se non vuoi venire sta’ qui, ma io taglio la corda. Anzi, forse da solo me la caverò meglio, a pensarci bene. Sei un po’ troppo molle per farcela, vecchio mio.
  
  — No, ma cosa dici? — Alfie sì guardò attorno impaurito. — Non abbandonarmi, cercherò di farcela! Non piantarmi cui!
  
  — E allora andiamo. Mi è sembrato di vedere una casa a nord. Chissà che non troviamo un po’ d’aiuto, o che non riusciamo ad arrangiarci in qualche modo.
  
  Bisogna rischiare, comunque. Perciò deciditi: prendere o lasciare.
  
  Nick gli voltò le spalle e si diresse a passo svelto a nord. Alfie gli arrancò dietro sbuffando.
  
  — Dici che hai visto una casa? — gli domandò ad un certo punto.
  
  Nick fece un breve cenno d’assenso.
  
  — Almeno mi è parso di vederla. Adesso la nebbia l’ha nascosta, ma so che è in questa direzione.
  
  Un silenzio. Poi un’idea attraversò il cervello di Alfie, che domandò al compagno:
  
  — Pensi che ci sia un telefono in quella casa?
  
  — Non è probabile — rispose Nick. Ma era contento. Molto contento. Alfie stava proprio seguendo la sua linea di pensiero, come se fosse guidato telepaticamente.
  
  Voleva prendere dei contatti, domandare aiuto ai suoi amici! Nick cominciò ad augurarsi che in quella casa ci fosse un telefono davvero. Altrimenti avrebbe dovuto attenersi al piano e camminare a piedi sino al piccolo villaggio di Tavy Cleave, dove c’era una cabina pubblica. Circa venticinque chilometri. E come se non bastasse c’era pure la possibilità di smarrirsi nella nebbia e di fare qualche giro vizioso che li avrebbe riportati al punto di prima. Neanche con una bussola si riusciva ad orizzontarsi su una collina immersa nella nebbia. E del resto Nick non avrebbe usato la bussola neanche se l’avesse avuta, per non risvegliare i sospetti di quel bue di Alfie.
  
  Arrivarono finalmente in un punto dal quale si poteva scorgere la famosa casa che Nick aveva intravisto prima. Era un piccolo cottage bianco, e il Numero Tre notò subito, con stupore compiaciuto, un solitario filo telefonico che raggiungeva il tetto da nord. Il cavo correva tra un palo e l’altro, sospeso quel tanto che bastava perché i cavalli selvatici non potessero raggiungerlo e rovinarlo: Strano, pensò Nick. C’era il telefono ma l’elettricità mancava. Be’, i proprietari del cottage avevano certo le loro ragioni. Spinse giù Alfie, e lo costrinse a nascondersi dietro un cespuglio fradicio.
  
  — Non dobbiamo piombar là senza prima studiare bene la situazione. Potrebbe anche essere la casa di un secondino, per quanto ne sappiamo. E allora sarebbe armato.
  
  Alfie aveva visto anche lui il cavo telefonico, ed era eccitatissimo. Rispose con un grugnito trionfante
  
  — Sì, certo, se è in casa. Ma se è in casa, amico mio, armato o no, ti assicuro che lo costringo a prestarmi il suo apparecchio. Hai visto quel filo là? Sarà proprio lui ad aiutarci a metterci al sicuro.
  
  Nick si finse indifferente e sfinito. Per la seconda parte in verità aveva poco da fingere, perché non ne poteva proprio più e il suo sbadiglio era quanto mai autentico.
  
  — Certo — disse con una smorfia. — Il telefono ci servirà molto. Immagino che chiamerai Buckingham Palace e ordinerai alla Regina di mandarti un aereo privato.
  
  Non ti sembra di fare dei sogni da oppiato?
  
  Alfie lo guardò male.
  
  — Tu non sai un bel niente! Ti ho detto che ho degli amici, no? Se adesso te ne stai zitto e non mi molli, vedrai che ti tirerò fuori da questo pasticcio!
  
  — Va bene, sarò lieto di vedere come farai a…
  
  — Ssst! — Alfie gli afferrò una manica e gli indicò il cottage. — Guarda! Una donna! Una donna giovane…
  
  Nick Carter, alias Sean Mitchell, provò una stretta al cuore. A questo non aveva pensato. Non ci aveva pensato Travers. E come avrebbero potuto? Una giovane donna in un posto così isolato. Era un guaio, e lui lo intuì subito. Non c’era da equivocare sul tono di voce di quel gorilla. Eppure lui non poteva opporsi, doveva fingere di assecondarlo, non poteva permettersi di farlo inquietare. Non ancora perlomeno. Non fino a quando Alfie non aveva preso i suoi bravi contatti.
  
  L’omaccione si mise a correre giù per il pendio, sotto la pioggia, e Nick lo seguì.
  
  La donna li aveva visti, adesso, e se ne stava là fuori a guardarli, senza allarme apparente. Nick imprecò tra i denti. O era di un candore inverosimile, o era completamente scema!
  
  La ragazza doveva essere una via di mezzo tra le due cose. Fino all’ultimo momento non si rese conto del pericolo che quei due potevano rappresentare. Ma quando il sospetto le si insinuò nel cervello, si affrettò a mollare il catino di mangime per i polli che aveva in mano e a correre verso la porta di casa.
  
  Alfie la raggiunse con un balzo e l’afferrò per un braccio.
  
  — No, carina, non dovete aver paura di noi — le disse sghignazzando. — Non ancora, per lo meno. Siete sola? — Le torse il braccio e glielo girò dietro la schiena, come se quella fosse stata una bambola di stracci.
  
  Ma la donnina non mancava di coraggio. Si divincolò e cominciò a scalciare;
  
  — Lasciatemi! — sibilò, mollando una pedata nulle caviglie ad Alfie. — Adesso arriverà mio marito e vi ammazzerà come cani, ve lo garantisco io! — Parlava con un pesante accento del Devon. Era grassoccia e ben fatta, giovane e pulita. Aveva due bei seni robusti e sodi.
  
  Alfie ne imprigionò uno nella manaccia e lo strizzò forte. La giovane si mise a strillare, e lui le disse con un sorriso:
  
  — Vi ho fatto una domanda, carina. È in casa vostro marito? — E strizzò di nuovo il seno, poi lo torse sadicamente.
  
  La giovane strillò di nuovo.
  
  — No, no, basta, mi fate male! No, mio marito non è in casa, è alla prigione.
  
  Lavora là. Oh, vi prego, no, smettetela!
  
  Nick si decise. Alfie non era molto rapido come pensatore. Perciò toccava a lui intromettersi e vedere di mettersi alla svelta dalla parte della ragione.
  
  Con una spinta staccò la donna da Alfie e la mandò in casa. Il gorilla rimase là per un istante a guardarlo, sorpreso, e Nick gli disse:
  
  — Lasciala stare, per ora. — Poi gli strizzò l’occhio. — In seguito potremo divertirci un po’ con lei, ma adesso l’importante è metterci al sicuro. Perciò abbiamo bisogno di asciugarci, scaldarci, e vedere se qui c’è qualcosa da bere. E da fumare.
  
  Magari possiamo anche cercare un po’ di soldarelli, e dopo farai la tua telefonata alla Regina. Andiamo.
  
  Alfie gli lanciò un’occhiataccia.
  
  — E da quando sei diventato il padrone, galletto?
  
  Nick sorrise e gli diede una spintarella amichevole. Sperava di non essere costretto a litigare, perché in tal caso avrebbe dovuto piuttosto lasciarlo libero di fare quel che voleva con la donna. E questo non gli sarebbe piaciuto affatto.
  
  — Avanti, entriamo — disse con un altro sorrisetto. — Abbiamo un mucchio di tempo per la donna. È facile che stiamo qui per tutto il giorno, sai? Va’ a vedere se trovi un po’ di whisky, perché ho una sete che mi strozza.
  
  A sentir parlare di whisky Alfie si rischiarò e si avviò per il corridoio che portava in cucina. Nick gli gridò dietro:
  
  — Vedi anche di trovare delle bende o qualcosa di simile, perché sarà meglio che la leghiamo.
  
  Nick aveva acciuffato la ragazza, che se ne stava tutta tremante dietro una piccola arcata. La spinse entro un salottino pulitissimo, dove le sussurrò nell’orecchio:
  
  — Non fate chiasso, non parlate e non rivolgetegli alcuna domanda. Credo di poterlo manovrare, ma molto dipenderà da voi. Naturalmente dovremo legarvi e imbavagliarvi, ma se mi darete retta non vi succederà niente. Statevene soltanto quieta e cercate di non attirare la sua attenzione. D’accordo?
  
  I suoi occhi bruni erano colmi di terrore, ma la giovane donna assentì col capo e disse
  
  — Sì, farò quel che mi dite. Ma non permettetegli di saltarmi addosso. Non sopporto di essere toccata da quel bestione!
  
  In quel momento arrivò Alfie con un rotolo di corda per il bucato e una bottiglia di whisky.
  
  — Guarda un po’ cos’ho trovato! — gli disse tutto contento. Allungò la bottiglia a Nick e si avvicinò alla donna, che stava facendosi piccola piccola nel suo angolo. —
  
  Adesso a noi, bella signora! Il vecchio Alfie ti insegnerà qualcosa sui nodi. — Si volse e strizzò l’occhio a Nick: — Ho imparato quando facevo il boy-scout.
  
  Nick diede un’occhiata al livello del whisky nella bottiglia e capì che Alfie si era già servito abbondantemente. Gli venne un raggio di speranza. Forse era lì la risposta.
  
  Forse avrebbe potuto salvare quella poveraccia. Il grosso Alfie adorava l’alcool.
  
  Infatti lo avevano acciuffato appunto perché era sbronzo fradicio.
  
  Il gorilla ci mise il suo tempo a legare la donna, e Nick dovette star lì a guardare.
  
  Guardò lei, mettendosi un dito sulle labbra e scuotendo il capo nel vedere che la giovane continuava a divincolarsi e a squittire come un topolino terrorizzato al contatto di quelle mani sudice che la palpeggiavano dappertutto. Ad un certo punto lei aprì la bocca per urlare, e Nick avanzò d’un balzo e le cacciò il fazzoletto nella cavità orale, con una certa brutalità, visto che non poteva farne a meno.
  
  Terminato di imbavagliarla, Nick prese Alfie per un braccio.
  
  — Andiamo a rilassarci un po’ in compagnia della bottiglia, adesso. Poi cercheremo qualcosa da mangiare, perché sto morendo di fame. Inoltre sono fradicio.
  
  Ci asciugheremo e faremo i nostri progetti.
  
  Pilotò il riluttante energumeno fuori della stanza. Alfie continuava a voltarsi indietro e a leccarsi le labbra, ma non protestò.
  
  Nella cucinetta c’era una piccola stufa a petrolio. Ne accesero tutti i fornelli, e ben presto i loro indumenti zuppi si misero a fumare. Alfie cominciò a bere forte, e Nick finse di fare altrettanto. In realtà si era ubriacato una volta sola in vita sua, quand’era ancora molto giovane. Ma stavolta non si sentiva tanto sicuro di sé. Lo sfinimento fisico unito all’alcool era pericoloso. Ma non aveva che quel mezzo per tenere Alfie sotto controllo.
  
  Trovarono del pane, del formaggio e della carne fredda. Si misero a tavola e divorarono tutto. Nick cominciò a sentirsi meglio. Gli pareva di non mangiare da secoli. Anche Alfie per il momento parve soddisfatto. Si era sprofondato in quella che sembrava una profonda riflessione. A Nick pareva di sentire le rotelline rugginose di quel cervello che giravano con sforzo, cigolando. Il Centurione stava decidendosi a qualcosa.
  
  Immaginò di che si trattasse. Ingollò un altro sorso, poi si alzò e andò ad affacciarsi a una finestra. A nord del cottage, il “moor” si stendeva piatto e scuro sotto la pioggia instancabile. Era stato ripulito durante l’estate allo scopo di ricavarne un pascolo migliore per le pecore, e l’erica bruciata aveva lasciato delle enormi chiazze nere sul terreno. Un aereo, si disse Nick, avrebbe potuto atterrare lì con la massima facilità; un apparecchio piccolo, o un elicottero.
  
  Non era possibile che Alfie gli avesse letto nel pensiero. Fu per pura combinazione che gli domandò:
  
  — Hai mai sentito parlare dei Druidi, vecchio mio?
  
  Nick si volse senza fretta. Non era il caso di fare il finto tonto, ma non bisognava neanche mostrarsi troppo interessato. Alfie era un bestione, ma aveva la sua parte di furbizia animalesca.
  
  — Sì, mi pare di sì… — rispose. — Debbo aver letto qualcosa. Non è un gruppo di gente ostile al governo, o roba del genere?
  
  Alfie assentì. Bevve un’altra lunga sorsata a garganella.
  
  — Già, sono all’opposizione, e come! Al momento opportuno prenderanno le redini.
  
  Nick apparve scettico ma non troppo. Sorrise.
  
  — Ho sentito spesso questi discorsi, Alfie. Erano sempre dei gran paroloni, ma alla fine tutto è finito in niente. Anche in Irlanda c’è tanta gente dalla bocca larga.
  
  Cianciano, cianciano, ma alla fine c’è sempre qualcuno più forte di loro che gli ricuce le labbra.
  
  Alfie ingollò un pezzo di pane e formaggio, poi lo guardò con aria di sfida.
  
  — Ma stavolta ti assicuro che si tratta di una cosa molto seria. Lo so perché anch’io sono un Druido.
  
  Nick sogghignò e sputò sul pavimento.
  
  — Davvero? E io sono il dannatissimo Principe di Galles, sicuro. Continuiamo a bere e a far progetti, Alfie. Piantala con le fantasie!
  
  Alfie assunse un’aria offesa.
  
  — Fantasie? Ti farò vedere! Ti dico che sono un Druido. Anzi, qualcosa di più: sono un Centurione. Uno degli uomini-guida. Ho la mia banda di duri che esegue gli ordini. E adesso ti faccio una proposta: vuoi venire con me e arruolarti tra di noi? La paga è ottima, se sei capace di guadagnartela.
  
  Nick fu tanto furbo da cancellare l’espressione scettica dal viso per assumerne una un po’ più rispettosa.
  
  — Sai, vorrei proprio credere che dici la verità, Alfie! Ah, sarebbe…
  
  Alfie lo guardò con aria d’importanza.
  
  — Ti assicuro che non mento, amico. Certo che se vieni con me dovrai attenerti ai regolamenti, e dovrai sottostare ai miei ordini. Anzi, dovresti cominciare subito.
  
  Nick si finse debitamente impressionato, e rispose:
  
  — Obbedirò ai tuoi ordini se riuscirai a tirarmi fuori da questo maledetto “moor” e se mi prometterai di offrirmi l’occasione di dare una bella batosta a quei porci d’inglesi! Se si tratta di fregare gli inglesi, ti assicuro che accetterei ordini anche dal Diavolo in persona!
  
  A parlare del Diavolo gli venne in mente Lady Hardesty, e il suo spettacolo osceno lassù nelle Highlands. Chissà dov’era adesso la bella ninfomane?
  
  Alfie si alzò barcollando un poco e sollevò una mano.
  
  — Basterà una telefonata, galletto. Vedrai.
  
  Tanto per dare un’aria di autenticità al suo stato d’animo, Nick gli suggerì:
  
  — Sta’ attento, qui non siamo a Londra. La chiamata dovrà passare per forza attraverso qualche centralino di paese, e chissà quanti ficcanaso ascolteranno quel che dici.
  
  Ma Alfie era troppo ubriaco, ormai. Spazzò via con un gesto della mano quel consiglio e si allontanò. L’apparecchio si trovava su un tavolinetto dell’ingresso.
  
  Nick fece per seguire Alfie, ma lui lo fermò con un cenno imperioso.
  
  — Sta’ indietro, non sei autorizzato a sentire quel che dico. La mia conversazione dev’essere privata.
  
  Nick però si trattenne ad ascoltare dietro la porta socchiusa. Alfie fece la sua telefonata senza nemmeno girarsi una volta nella sua direzione, e quando tornò in cucina, Nick si era rimesso a tavola e stava bevendo, o meglio fingendo di bere. Alfie si abbatté sulla sedia e sbuffò.
  
  — Tutto a posto. L’aereo verrà verso il crepuscolo. Non dopo, perché deve vederci per atterrare.
  
  Nick lo guardò con sincera ammirazione.
  
  — Un aereo? Vuoi dire che mandano qui un apparecchio apposta per te, per noi?
  
  — Te l’avevo detto, no? — ribatté Alfie tutto tronfio, e riprese la bottiglia. —
  
  Verso il crepuscolo dovremo bruciare una croce di legno, così il pilota saprà dove trovarci. — Lanciò un’occhiata alla stufetta. — In casa ci dev’essere una bella provvista di petrolio, per quell’affare lì. Non sarà difficile. Fasceremo la croce con un po’ di stracci, roba che bruci alla svelta, poi la metteremo in mezzo al campo, e quando sentiremo l’aereo che si avvicina le daremo fuoco per fare la nostra.
  
  segnalazione. Te l’ho detto che era tutto a posto, no? Vedrai che con il vecchio Alfie sarai perfettamente al sicuro. Adesso sarà bene che mi faccia un pisolino perché comincia a saltarmi fuori la stanchezza. Tu non dormi?
  
  Nick cascava di sonno, ma fece un pesante cenno di diniego con il capo.
  
  — Vai pure. Io starò qui di guardia.
  
  Alfie andò in camera e si abbatté sul letto con un tonfo. Emise un grugnito soddisfatto e si stiracchiò voluttuosamente. Nick aspettò una decina di minuti, poi si alzò e si avviò in punta di piedi verso la porta della stanza. Vide che Alfie giaceva tutto vestito sulla coperta e russava forte, a bocca spalancata. Tornò in cucina senza far rumore, si rimise a sedere, e vedendo che la testa gli stava ciondolando in avanti si disse che non sarebbe stato male se si fosse permesso un sonnellino anche lui. Più tardi sarebbe andato a parlare con la giovane donna e avrebbe cercato di tranquillizzarla. Ma adesso stava proprio cascando di sonno, e…
  
  L’urlo di terrore gli penetrò dolorosamente a fondo nel cervello intorpidito. Si svegliò di colpo e capi subito che l’amico Alfie l’aveva preso per il bavero. Si precipitò nel salottino e lo trovò deserto. Allora si diresse verso la camera da letto, e ancora una volta la donna strillò.
  
  Alfie McTurk le stava saltando addosso, e lei agitava freneticamente le gambe grassocce, urlava e cercava di difendersi dall’assalto. Alfie prese la giovane per il collo e le si gettò addosso con un grugnito animalesco. Lei cercò di morderlo, e lui la prese a ceffoni, imprecando.
  
  Nick non si fermò a riflettere. Se l’avesse fatto, forse avrebbe permesso quella porcheria. La missione infatti doveva venire prima di tutto il resto. La violenza carnale non era poi gran che, quando c’erano in ballo milioni di vite umane. Ma non fu capace di pensarci su. Balzò in avanti, afferrò Alfie per il colletto e lo strappò via dalla donna, che adesso era stranamente quieta. Nick mollò un diretto alla mascella del bruto, poi gli diede una ginocchiata nell’inguine che lo fece ripiegare su se stesso, contorto dal dolore. Infine gli allungò un altro pugno micidiale che lo sbatté sul pavimento.
  
  Nick si voltò a guardare la donna. Era immobile, troppo immobile, e aveva gli occhi chiusi.
  
  Allora il Numero Tre capì, e gli si strinse il cuore per la rabbia, la compassione e il rimorso. Maledizione! Era morta! Alfie l’aveva ammazzata.
  
  Nick maledì se stesso, perché era stato il suo sonno a causare la morte di quella poveraccia. Si chinò su di lei e le sollevò una palpebra. La pupilla era vitrea, senza espressione.
  
  Nick l’accarezzò sul capo con dolcezza. Era come una bambola rotta. Alfie le aveva spezzato il collo.
  
  Aveva bisogno di un po’ di tempo, adesso, per riprendersi dalla furia e assumere un’espressione indifferente. Sollevò il lenzuolo per coprire il volto della donna. Bella sorpresa per suo marito, quando fosse rincasato! Poi si volse a guardare Alfie. Non c’era più!
  
  Nick andò in cucina. Lo trovò seduto al tavolo, intento a comprimersi l’inguine dolente. Lanciò un sorriso maligno al suo amico guastafeste e gli puntò contro una pistola.
  
  — Mi hai fatto molto male, sai? — disse, agitando l’arma perché Nick la vedesse bene. — Adesso siediti, galletto, prima che quest’affare esploda per conto suo. Meno male che l’ho trovata, mentre frugavo in cerca d’altro… Se no sarei nei pasticci, adesso! Ma dico, porca miseria, sei diventato matto? Mi stavo divertendo un po’ con la piccola signora, e tu…
  
  Nick non sedette. Sapeva già cosa doveva fare. Non c’erano alternative.
  
  — È morta, cretino! Le hai spezzato l’osso del collo. Sai cosa vuol dire? Per un delitto del genere c’è l’impiccagione, ed io non voglio entrarci per niente!
  
  Il volto di Alfie si fece pensoso.
  
  — Morta? Accidenti, questo cambia le cose… Non intendevo ucciderla, te lo assicuro. Volevo solo spassarmela un pochino… — Agitò ancora la pistola. — Siediti, ti ho detto! — Adesso aveva un’espressione assai sgradevole. Si rimise a pensare. E
  
  Nick capì benissimo che cosa stava pensando. Se si fosse seduto davanti a lui, addio!
  
  Alfie non era tipo da lasciare in vita il testimone di un assassinio.
  
  Se la cavò assai brillantemente. Intanto che Alfie cominciava a stringere il dito sul grilletto, Nick diede una pedata al tavolo; per di sotto, e lo sbatté contro il petto dell’uomo. La detonazione partì, ma il proiettile andò a colpire soltanto il soffitto.
  
  Alfie cadde all’indietro ma non mollò la pistola. Nick si tuffò alla lettera di là dal tavolo rovesciato, afferrò la bottiglia caduta e ne sbatté il collo contro il pavimento per spezzarlo ed avere un’arma anche lui a disposizione. Alfie sparò ancora, e stavolta la pallottola sfiorò il volto di Nick, che si affrettò a graffiare la faccia dell’energumeno con gli spunzoni taglienti della bottiglia rotta. Alfie urlò e lasciò andare la pistola per portarsi le mani al viso sanguinante.
  
  Nick lo prese per i capelli, gli rovesciò il capo all’indietro e si servì della bottiglia rotta per lacerargli la gola. Alfie era grosso, forte, guizzante, e resisteva come un toro sull’arena. Nick ci mise più tempo del solito a completare il lavoro, ma infine il bestione morì.
  
  Nick si alzò, gettò via la bottiglia insanguinata ed esaminò il carnaio.
  
  — Maledizione — disse al cadavere di Alfie. — Dannazione e morte, e accidenti a te! Cosa faccio adesso? Ho buttato all’aria tutto quanto per colpa tua, pezzo di cretino…
  
  Accese una sigaretta per calmarsi, e notò che gli tremavano le mani. Brutto segno, stava per lasciarsi dominare dai nervi! Non era facile che gli capitasse di avere una reazione del genere. Tornò in camera, osservò per un momento la donna morta che giaceva sotto il lenzuolo, e cercò di riflettere con un po’ di coerenza.
  
  Improvvisamente seppe quel che gli restava da fare. Travers gli aveva detto che Alfie si trovava nei pasticci con i Druidi per insubordinazione, e che forse i suoi stessi compagni lo avrebbero punito con la morte.
  
  Forse il cadavere di Alfie sarebbe stato una specie di passaporto per lui… Valeva la pena di tentare. L’aereo era in arrivo.
  
  Nick tornò in cucina, andò al lavandino per ripulirsi dal sangue, poi si affacciò alla finestra. La pioggia adesso era cessata. Bene, così avrebbe potuto dar fuoco alla croce.
  
  Si aggirò per il cottage in cerca del materiale adatto. C’era una provvista notevole di petrolio per la stufa e le lampade, in un ripostiglio. Al momento opportuno avrebbe depositato la croce in mezzo al campo e le avrebbe dato fuoco. Avrebbe trascinato fuori anche il cadavere di Alfie, per mostrarlo al pilota e a chiunque si trovasse con lui. Era assai probabile, se quelli intendevano giustiziarlo, che insieme al pilota arrivassero anche i giannizzeri di Pendragon. I Centurioni.
  
  Nick sogghignò. Aveva compiuto il loro lavoro, e forse gli sarebbero stati abbastanza riconoscenti da portarselo via, magari all’isola di Blackscape. O forse lo avrebbero accoppato senza tanti complimenti, lì sul posto. Era stato in compagnia di Alfie, e loro sapevano che Alfie era un chiacchierone.
  
  Nick si strinse nelle spalle. Aveva fatto quel che poteva. Tornò in camera da letto, si sdraiò al fianco della morta, dall’altra parte, e si accinse a dormire. Era indispensabile, e sapeva che si sarebbe svegliato in tempo. C’era sempre riuscito.
  
  10
  
  Mancavano meno di nove ore allo scadere dell’ultimatum di Pendragon!
  
  Nick Carter sedeva nella sua piccola cella e stava fumando. Letteralmente. Oltre che di rabbia, fumava pure la corta pipetta puzzolente che gli aveva dato Travers. Lo avevano perquisito con cura quand’era arrivato all’isola di Blackscape, ma si erano concentrati soprattutto sui suoi indumenti su quei recessi anatomici che avrebbero potuto nascondere qualcosa. Non si erano curati della borsa di tabacco, né delle sue scarpe scalcagnate. Il Numero Tre era ancora armato di tutto punto, ma il guaio era che non poteva avvicinarsi all’obiettivo da colpire!
  
  Guardò quel grosso cipollone di orologio (anche quello era un regalo di Travers) che all’occorrenza poteva trasformarsi in un utile mezzo di segnalazione-radio, e che in seguito gli sarebbe forse servito. Per adesso però si limitava a dirgli soltanto l’ora, e grazie al procedere inesorabile delle sfere Nick sapeva che mancavano ormai poche ore allo scadere dell’ultimatum di Pendragon. Bella soddisfazione! Più guardava l’orologio e più fremeva d’impazienza. Otto ore, cinquantasei minuti e quattordici secondi!
  
  E lui era lì, chiuso in cella e impotente come un neonato. Tanto valeva che fosse rimasto a Washington, o alla casa nera, o su quel “moor” del Devonshire.
  
  Arrivare sull’isola era stato ridicolmente facile. Fin troppo. L’apparecchio a quattro posti era atterrato al crepuscolo, guidato dalla croce fiammeggiante. Il cadavere di Alfie McTurk aveva servito da presentazione e da passaporto. Insieme al pilota erano arrivati due Centurioni, incaricati di giustiziare Alfie per insubordinazione. Per qualche secondo anche la vita di Nick era stata in bilico.
  
  Quegli uomini sapevano che non avrebbero potuto permettersi di lasciarselo alle spalle vivo. Ma infine Nick era riuscito a convincerli. Alfie era morto, e loro non avevano ordini da eseguire nei confronti del suo “compagno”. Facevano parte di una grossa organizzazione piena di regolamenti, e Nick immaginava che non avrebbero ucciso senza autorizzazione. E ne era ben felice.
  
  In seguito, sull’isola, si erano mostrati abbastanza amichevoli. Impersonali, ma amichevoli. Lo avevano interrogato e perquisito, gli avevano fatto riempire una dozzina di moduli vari, come se avesse chiesto lavoro alla fabbrica di scatolame del capoccia.
  
  Pareva che lo avessero accettato come autentico. Sean Mitchell, reduce dell’Armata Repubblicana Irlandese, nemico feroce del popolo e del governo britannici. Dinamitardo di professione. Al termine dell’intervista gli avevano detto che forse avrebbe ottenuto il privilegio di arruolarsi nei Druidi, dopo un ragionevole periodo di tirocinio durante il quale lo avrebbero messo alla prova. Dopo. Tutto dopo!
  
  Adesso avevano troppo da fare, erano occupati in una faccenda molto importante, e l’operazione di reclutamento era sospesa, almeno per ora. Così avevano deciso di metterlo in quarantena. Oh, lo avrebbero nutrito e gli avrebbero anche concesso di fare un po’ di moto, ma in conclusione doveva starsene in una cella che, manco a dirlo, era blindata!
  
  Era una cosa da ammattire. Essere così vicino alla meta e nello stesso tempo così lontano. Quando lo accompagnavano a fare la passeggiatina igienica lui aveva modo di aguzzare gli occhi senza parere, anche se c’erano sempre gli armigeri alle spalle.
  
  Aveva notato per esempio tre lunghe incrinature sulla superficie vulcanica della roccia scura. Sarebbero apparse naturali a un occhio meno esercitato del suo, ma era chiaro che quei crepacci erano stati aperti dalla mano dell’uomo e al momento opportuno avrebbero rivelato quel che c’era nascosto sotto, quando il muso del primo missile sarebbe spuntato fuori dal silos per andare a disseminare distruzione e morte nel mondo.
  
  Nick tornò a guardare l’orologio e bestemmiò tra i denti. Ne aveva perso del tempo, ad osservare, aspettare, pregare che capitasse l’occasione buona che non si era presentata. Ormai che poteva sperare più? Tra poco sarebbe stato troppo tardi…
  
  Quando usciva dalla cella lo tenevano d’occhio continuamente; e quand’era chiuso lì dentro non poteva far nulla. Perlomeno loro erano convinti che non potesse far nulla.
  
  Nick però sapeva che volendo avrebbe potuto uscire. Bastava un pizzico di plastico, e…
  
  Ma così facendo si sarebbe compromesso irrimediabilmente. Avrebbe dovuto uccidere, uccidere, uccidere senza mai fermarsi, fino a quando non fosse arrivato al silos per distruggere i missili. E naturalmente sarebbe saltato in aria anche lui con loro. Ormai il Numero Tre aveva ben poche speranze di uscire vivo da quell’isola.
  
  Ma non si sarebbe sacrificato volentieri, perché lui teneva molto alla vita, l’amava e sapeva goderla, al momento opportuno. Ma se proprio non c’era nient’altro da fare, si sarebbe rassegnato a crepare anche lui insieme a tutti quei poveri diavoli.
  
  C’era una sola cosa buona: durante la fine settimana la fabbrica restava chiusa; quel giorno, la maggior parte del personale aveva preso il “ferry” per recarsi sulla terraferma. Solo un gruppetto sparuto di persone era rimasto sull’isola. Almeno, nell’eventualità di qualcosa di drastico, ci avrebbero rimesso la pelle solo i Druidi militanti, quelli che sapevano ciò che facevano: gli scienziati e i tecnici.
  
  A mezzanotte meno un quarto Nick decise che era giunto il momento di aprirsi un varco con la violenza. Non poteva aspettare di più. Avrebbe preferito fare le cose tranquillamente, ma visto che era impossibile… doveva far saltare la porta. Ciò voleva dite far accorrere i guardiani, e magari scatenare un allarme generale. Ma bisognava correre il rischio.
  
  Stava svitando il tacco di una scarpa per prendere un detonatore, quando udì dei passi che avanzavano lungo il corridoio. Si affrettò a rimettere il tacco a posto. I passi si fermarono proprio davanti alla sua porta e ci fu un tintinnio di chiavi. Un tipo alto e barbuto entrò nella cella. Indossava un camice bianco e pulito (l’uniforme dei Druidi), con uno stemma sul petto raffigurante un drago rosso, e una stella d’argento al bavero, a indicare un rango elevato nella gerarchia. Alle spalle del barbuto c’era una sola guardia.
  
  Il nuovo arrivato aveva un viso largo, dai tratti slavi. Guardò fisso per un momento Nick con due piccoli occhietti azzurri, poi gli domandò:
  
  — Siete Sean Mitchell?
  
  — In persona — rispose Nick.
  
  Il barbuto fece un cenno d’assenso, poi gli comunicò con voce piatta:
  
  — Adesso voi venite con me.
  
  Si volse verso la porta, e il guardiano si fece in disparte per lasciar passare Nick, poi seguì i due lungo il corridoio. Ma con grande stupore di Nick non li seguì all’esterno, e si trattenne nell’edificio della prigione. Il Numero Tre si trovò solo con lo sconosciuto in mezzo al vento notturno. Si sentivano le ondate che schiaffeggiavano rabbiose la roccia nera dell’isola. Il vento era così forte che Nick seguì l’esempio del tizio che gli faceva strada e si aggrappava a una corda che fungeva da corrimano per non farsi rovesciare. Ad un certo punto l’uomo gli disse:
  
  — Niente paura, non sono armato. Seguitemi e comportatevi bene. È nel vostro interesse, signor Nicholas Carter.
  
  Dunque avevano scoperto chi era! Perlomeno costui lo sapeva, e costui aveva l’aria di essere un pezzo grosso… Nick lo seguì, piuttosto sconcertato, e continuò a guardare lo squallido panorama che lo circondava. Blackscape era davvero un posto malinconico e poco accogliente, ma si adattava in modo perfetto agli intenti di Pendragon. Dalla parte del filo spinato attraversato dalla corrente che separava l’edificio della fabbrica dal resto dell’isola, notò qualche luce accesa nello stabilimento. Ma non si udiva il suono delle macchine in moto, perché nessuno ci stava lavorando. Al di qua del filo c’erano alcune costruzioni più piccole: gli uffici amministrativi, la sala mensa, la prigione, qualche alloggio per il personale direttivo.
  
  In uno di quei piccoli edifici di cemento ci doveva essere quell’entrata segreta che conduceva al complesso missilistico. Questo si trovava di sotto, scavato nella roccia, da quel che aveva potuto immaginare durante le sue passeggiatine igieniche. Lo avrebbe scoperto dopo, se… Adesso come adesso non c’era di che rallegrarsi molto.
  
  Quel tizio lo aveva chiamato Carter, infatti. Come poteva bluffare, ormai? Non c’era tempo. C’era soltanto il tempo di agire. Si domandò se era il caso di far fuori subito il barbuto e poi abbandonarsi all’improvvisazione. Sarebbe stato abbastanza facile saltargli addosso, visto che non c’era nessuno che lo vedeva. Prendendolo alle spalle e abbattendolo con un colpo di karatè alla nuca…
  
  Decise di rinunciarvi. Voleva stare al gioco e vedere gli eventuali sviluppi. Tra l’altro l’uomo era disarmato, e a lui occorreva un’arma. Meglio aspettare, vedere cosa stava succedendo.
  
  Si domandò se quell’uomo intendeva fargli traversare tutta l’isola. Non si fermava mai, infatti, e si allontanava sempre più dall’abitato. La pelle del viso gli bruciava per il vento e gli pareva di averla tutta tagliuzzata. Ad un certo punto si calarono in una profonda depressione nella roccia, e Nick scorse la sagoma di una piccola costruzione che non aveva mai visto prima, appunto perché era annidata in quella specie di avvallamento. Non vi brillava neanche una luce.
  
  Il barbuto si fermò appunto davanti alla porta d’acciaio di quella casetta e gli disse:
  
  — Siamo arrivati, signor Carter. Farete bene a prepararvi a una sorpresa.
  
  Il suo tono era abbastanza amichevole. Parlava un inglese un po’ troppo perfetto, con un lievissimo accento russo. Senza dubbio era uno di quegli scienziati atomici che Pendragon aveva rapito e che aveva debitamente sottoposto al lavaggio del cervello.
  
  L’uomo non aprì subito la porta, ma fissò l’isola cupa con un’espressione che si avvicinava molto alla reverenza. Poi disse con una specie di sgomento:
  
  — Voi non sapete quanto è costato tutto questo, signor Carter.
  
  Sembrava un’osservazione incongrua, in quel momento. Nick si strinse nelle spalle e rispose:
  
  — Infatti non ne ho la minima idea.
  
  L’uomo ridacchiò.
  
  — Sarà magari una cosa sciocca, ma mi fa sempre impressione il pensiero di quel che si riesce a fare con il denaro. In Russia ero un ragazzo molto povero, sapete?
  
  Tutta questa attrezzatura è costata tre miliardi, signor Carter. — Fece un gesto circolare con il braccio e precisò con enfasi: — Tre miliardi di dollari, capite? Non è una cosa che fa girar la testa?
  
  In quel momento Nick avrebbe potuto farlo fuori benissimo, perché l’uomo non stava in guardia, e pareva si ritenesse al sicuro. Ma ancora una volta il Numero Tre ci pensò su e ci rinunciò. Forse sarebbe stato un errore, chissà. C’era qualcosa che bolliva in pentola. Meglio aspettare e vedere. Ma non per molto. Il tempo passava troppo in fretta, maledizione, e non si poteva continuare a ciondolare.
  
  Osservò:
  
  — Tre miliardi non sono molto, se si considera quel che vale il mondo.
  
  Il russo ridacchiò.
  
  — Già, immagino di sì. Be’ adesso entriamo e passiamo agli affari, signor Carter.
  
  C’è una porzione di questo mondo che vi sta aspettando.
  
  Infilò una chiave nella toppa e gli fece strada all’interno. Era piacevole non sentire più quel ventaccio tagliente. Nick percepì subito l’odore del lusso. Non aveva ancora visto nulla, ma là dentro c’era un’inequivocabile aria di ricchezza. Il folto tappeto che sentì sotto i piedi quasi quasi gli fece perdere l’equilibrio, dopo l’asprezza di quel suolo roccioso su cui aveva camminato sino a quel momento. Sinora a Blackscape aveva veduto soltanto quella squallida efficienza utilitaria, ma qui l’aria era profumata.
  
  Il Druido dalla stella d’argento lo guidò lungo un corridoio e lo introdusse in un atrio vagamente illuminato da una luce arancione. Anche qui il tappeto era spesso.
  
  Arrivarono davanti a una porta di legno lucido, e il Druido bussò leggermente.
  
  Dall’interno una voce femminile rispose
  
  — Avanti.
  
  Nick riconobbe subito quella voce. Dunque si trovava sull’isola anche lei, la bella!
  
  Lady Hardesty stava in piedi in quel salotto lussuoso, e sorbiva una bibita ambrata in un bicchiere di cristallo finissimo. La luce era morbida e indiretta. Nick si disse che non aveva mai visto una donna più bella e più pericolosa di quella. Lei gli sorrise, mettendo in mostra dei denti candidi e perfetti.
  
  — Così ci incontriamo di nuovo, signor Carter! Ne sono molto contenta.
  
  Rise e gli indicò il divano pieno di cuscini.
  
  — Sapete, sono pure contenta di avervi mancato, quel giorno sul treno. Meglio che non vi abbia ucciso, infatti, perché adesso ho bisogno di voi.
  
  Il Numero Tre si accomodò sul divano pensando: «Io invece farei tanto volentieri a meno di te, bella mia. Ho bisogno di te quanto ho bisogno di un buco in testa!».
  
  Il suo cervello però si era già messo a lavorare in fretta. Non aveva tempo di mostrarsi curioso, perciò decise di bandire la curiosità dalla mente. Comunque lei aveva affermato di aver bisogno di lui. Poteva essere una via d’uscita anche quella.
  
  Meglio stare a vedere ancora un po’.
  
  Madama guardò i due uomini e domandò:
  
  — Non vi siete presentati?
  
  Il Druido la fissò con un’espressione che spiegò molte cose a Nick. Quel tipo era cotto. Innamorato cotto di quella donna. Era suo mani e piedi, come un intossicato è schiavo della droga. Le cose cominciavano a chiarirsi un pochino.
  
  Usando tutta la sua forza di volontà per staccare gli occhi di dosso alla sua bella, l’uomo si presentò
  
  — Sono Sergej Konstantinoff, signor Carter, il comandante in capo dell’isola.
  
  Il numero Tre si inchinò brevemente. Con la coda dell’occhio notò il sorrisetto di madama Hardesty. Lei sapeva bene chi comandava davvero, sull’isola. Almeno per il momento.
  
  — Sergej è il mio carceriere — gli spiegò in tono scherzoso. Infilò una mano sotto il braccio del comandante e lo sospinse verso la porta, non dimenticando di strusciarglisi addosso. Sulla soglia l’uomo la prese tra le braccia e la strinse per un attimo. Lei gli baciò una guancia e gli tirò la barba affettuosamente.
  
  — Adesso vai, caro. Torna tra un’ora, e forse avremo delle buone notizie. Mi raccomando, chiuditi la porta alle spalle.
  
  Konstantinoff lanciò a Nick un’occhiata espressiva e sollevò la chiave.
  
  — Non c’è che questa, signor Carter — gli disse. — Non dimenticatelo, e arrivederci. Ci ritroveremo più tardi.
  
  Diede un lieve bacio sulle labbra a Lady Hardesty e uscì. Nick sentì il chiavistello che veniva chiuso dall’altra parte.
  
  Lady Hardesty si volse verso di lui e si ripulì le labbra con il dorso della mano.
  
  Aveva sul volto un’espressione di disgusto.
  
  — Puah, quell’individuo è come un orso incivile. Non è in gamba come un orso, però, se capisci quel che intendo. — Si avvicinò a Nick sorridente, umettandosi le labbra con la lingua rossa. — Sai, Nick, tu sei meglio di tutti gli altri orsi. Sempre se capisci quel che intendo.
  
  Dunque voleva riprendere la battaglia del sesso, si disse il Numero Tre. Non aveva che quell’arma, la pupa. Be’, sempre meglio che niente. Almeno lo sperava.
  
  Lady Hardesty scivolò a sedere accanto a lui, e gli sfiorò una guancia con le labbra
  
  — Hai un aspetto migliore dell’ultima volta che ti ho visto, mio caro. Non che l’aspetto esteriore abbia una grande importanza. Era la tua prestazione che mi interessava. Debbo dire che è stata magnifica. Ma di questo parleremo dopo. Adesso dobbiamo limitarci agli affari. Sto per farti una bella proposta, Nick.
  
  Il Numero Tre sorrise e decise di improvvisare, come già si era proposto prima, e poi di continuare a suonare a orecchio. Aveva ancora poche ore di grazia.
  
  Disse con una certa brutalità:
  
  — Ti costerà parecchio, bella mia. Le mie prodezze in qualità di stallone sono quotate piuttosto forte, sai? Sei in grado di pagarti delle prestazioni così dispendiose?
  
  E si scostò un pochino dalla donna.
  
  Lady Hardesty indossava un paio di pantaloni attillatissimi e un camiciotto di seta che aveva un drago rampante ricamato sulla schiena. I capezzoli quasi foravano il tessuto leggero, tanto erano tesi e rigidi. Si vedeva che non portava il reggiseno. I lucenti capelli neri erano annodati in quello chignon falsamente severo, e la sua pelle era pallida e cremosa come il petalo di una camelia, senza trucco di sorta, salvo un velo di rossetto sulle labbra. La bocca era più sensuale che mai, e quell’insieme di sobrietà e di sesso aveva un effetto davvero conturbante. Ancora una volta, come già in treno, Nick la paragonò ad una maestra di scuola depravata.
  
  Lei gli mise una mano sulla coscia e strizzò.
  
  — Mi posso permettere il lusso di ingaggiarti, Nick. Infatti sto per proporti il dominio di una metà del mondo. Ti sembra un compenso sufficiente? Ti interessa?
  
  — Sono un realista — rispose Nick — e per il momento mi accontenterò. — Si tolse di tasca il cipollone e guardò l’ora. — Però mi sa che tra duecentosettanta minuti esatti di mondo non ce ne resterà più molto. Farai meglio a parlare in fretta, dolcezza. Cosa vuoi? Che cos’hai in mente?
  
  Lady Hardesty si alzò per preparare un paio di drink, e mise delle sigarette sul tavolino davanti al divano.
  
  — Abbiamo tutto il tempo che ci occorre — disse, sedendo di nuovo accanto a lui.
  
  — Tu non andrai da nessuna parte, carissimo Nick. C’è solo quella porta, ed è chiusa.
  
  All’interno ha un rivestimento d’acciaio, perciò non sperare di riuscire ad aprirla.
  
  Non ci sono finestre, perché abbiamo l’aria condizionata che viene dal soffitto. E da quelle fessure non puoi passare di certo. Devi credermi se ti assicuro che la sola via d’uscita è attraverso quella porta inaccessibile. Soltanto Sergej ne ha la chiave. Lo so bene perché sono prigioniera anch’io! Mio marito mi ha rinchiuso qui per tenermi al sicuro fino a quando non avrà… be’, sai bene cosa intende fare, no? E dopo mi farà uccidere, naturalmente. Lui perlomeno ne è convinto. Ecco perché voglio farlo fuori per prima.
  
  Nick non aveva toccato la sua bibita, né intendeva farlo. Quella donna era un fior di carogna, e non avrebbe esitato a narcotizzarlo per tenerlo quieto fino a quando non fosse stato troppo tardi. Posò il bicchiere sul tavolo, e lei non fece commenti, ma sorbì un sorsetto del proprio sherry, fissandolo con gli occhioni neri e appassionati.
  
  Nick prese una sigaretta dalla scatola di onice. Da un pezzo ormai stava fumando quella pipetta puzzolente, e cominciava a non poterne più. Tirò fuori il famoso accendino che nessuno gli aveva portato via. C’era ancora una dose di napalm, in quell’aggeggio dall’aspetto innocente. Ma preferiva tenerlo per un’occasione disperata.
  
  Si rimise l’accendino in tasca e aspirò con voluttà il fumo della sigaretta, che trovò gradevolissimo.
  
  — Sarò ben lieto di uccidere Pendragon per te — disse in tono leggero. — Dov’è?
  
  Però prima dovrei buttar per aria i suoi missili.
  
  La pupa bruna sorrise.
  
  — No, carino, non distruggerai quei missili. Voglio che partano secondo i piani prestabiliti. Vedi, intendo che ne venga incolpato mio marito. Ma non appena li avremo lanciati, Pendragon deve morire. E dopo sarò io ad assumere il comando. Ti assicuro che saprò fare anche meglio di lui. E saprò manovrare benissimo tutti i pezzi grossi che si è comprato nei vari ambienti governativi di tanti paesi. Li manovrerò molto meglio di lui, non dubitare!
  
  Nick le lanciò un’occhiata di apprezzamento.
  
  — Lo credo bene. Hai qualcosa che ti rende un pochino diversa da tuo marito, infatti.
  
  Gli fece una boccaccia e tirò fuori la lingua come una scolaretta dispettosa.
  
  — Non sottovalutare il sesso, tesoro. Fa girare il mondo, non lo sapevi? E tutti i burattini di Pendragon sono dei vecchi! Per la maggior parte impotenti, ma ciò non impedisce loro di avere ancora qualche velleità. Me li sono rigirati tutti intorno al mio ditino. Vedessi come mi pregano in ginocchio per avere un’opportunità… A volte faccio fatica a non scoppiargli a ridere sul muso. Sono così ridicoli!
  
  Nick assentì.
  
  — Comincio a capire. Una sorta di rivoluzione di palazzo, eh? Tu permetterai a Pendragon di vincere la sua guerra, poi lo abbatterai e prenderai il suo posto. E questo Sergej è dalla tua parte, a quanto ho capito. L’hai stregato, e adesso lui si è rivoltato contro il padrone per amore. Immagino che lui sarà il tuo ragazzo numero due.
  
  Lady Hardesty scosse il capo.
  
  — No, sarà il numero Uno, per quanto ne sapranno gli altri. Mi occorre una figura rappresentativa. Il mondo non è ancora pronto per accettare la guida di una donna.
  
  Sono abbastanza intelligente da capirlo. Ma Sergej farà tutto quello che io gli dirò di fare. Mi appartiene anima e corpo. E le marionette, i cosiddetti capi politici, obbediranno a lui!
  
  Nick scosse la cenere della sigaretta.
  
  — Dunque vuoi mettere in atto i progetti di Pendragon. Intendi distruggere la Russia?
  
  — Certo. Credo ciecamente in questa parte del piano. I russi bisogna annientarli tutti — rispose lei.
  
  — Anche se loro risponderanno al fuoco? Anche se questo causerà la morte di milioni di innocenti?
  
  Lei spazzò via con un colpetto della mano un po’ di cenere dai pantaloni e accavallò le lunghe gambe.
  
  — Ma mio caro, cosa vuoi che me ne importi di questi milioni di innocenti? Non sono mica una piccola idiota sentimentale, grazie a Dio! — Si chinò a dargli una manatina sul ginocchio. — Comunque dopo raccoglieremo i pezzi e rimetteremo ancora insieme il mondo. Io e te, Nick. Non hai che da acconsentire, amor mio.
  
  — E far fuori Pendragon.
  
  — Certo, E far fuori Pendragon. Al momento esatto, un minuto dopo che i missili saranno partiti.
  
  — Va bene — disse Nick. — Lo farò. Dov’è Pendragon?
  
  Lady Hardesty gli si fece più vicina. Nick le mise una mano sulla coscia e la sentì rabbrividire.
  
  — Ti voglio — sussurrò. — Ti voglio con tutta me stessa. Sei l’unico che… ma non cercare di ingannarmi, Nick. Qui non ci sono armi di sorta, non puoi uscire da questo appartamento. Sergej ti ammazzerà, se lo chiamo in aiuto. È meglio che tu ti comporti lealmente, tesoro. Non farmi pentire di non averti ucciso!
  
  Nick le carezzò una guancia.
  
  — Non mi sono mai sentito tanto leale in vita mia. A proposito, come hai fatto a scoprire che mi trovavo sull’isola?
  
  Lei gli si accoccolò addosso. Nick le circondò le spalle con un braccio. Pareva così minuta, fragilina… Avrebbe potuto schiacciarla come un guscio d’uovo. E avrebbe rovinato tutto.
  
  — Ti ho osservato quando ti portavano a passeggio. Con un binocolo da campo.
  
  Tutti i giorni ti guardavo. Vedi, avevo la sensazione che saresti capitato sull’isola, prima o poi, che in un modo o nell’altro saresti riuscito ad infilarti quassù. Molte cose erano rimaste in sospeso, non è così? E tu non sei tipo da arrenderti. Oh, Nick, sapessi quanto ho pensato a te, da quel giorno! A quel che mi hai fatto sul treno… Sei stato splendido, sai? Non c’è altra parola per descriverti. Ecco perché ti voglio al mio fianco, e non come avversario. Insieme saremo imbattibili!
  
  Nick le baciò il lobo dell’orecchio.
  
  — E se tutti quanti dovessero capitolare? Se cedessero, Pendragon non lancerebbe i missili. In tal caso intendi ucciderlo ugualmente?
  
  Nick sapeva, perché gliel’aveva detto Travers, che i governanti intendevano capitolare all’ora X, se Nick non si faceva vivo. Avrebbero ceduto cinque minuti prima del lancio. E ancora i russi non sapevano nulla della spada di Damocle che avevano sul capo.
  
  La risposta di Lady Pendragon raggelò il midollo che Nick aveva nella spina dorsale. E sì che ne aveva parecchio!
  
  — Ma certo. E intendo pure lanciare i missili, anche se quelli cedono. Bisogna uccidere Pendragon ad ogni costo, anche per impedirgli di rinunciare al lancio. In fondo non ha una gran voglia di buttare per aria il mondo, sai? Ma io sì. E faremo sì che si pensi che i russi sono stati i primi e che noi abbiamo risposto immediatamente.
  
  No, i missili debbono partire secondo i piani prestabiliti. Ho bisogno del caos, del panico, del terrore, per affermare la mia posizione di comando.
  
  Nick cercò di nascondere quel che provava, il gelido disgusto che lo stava invadendo. Aveva commesso un errore. Si erano sbagliati tutti. Pendragon era forse un megalomane, ma era pure intelligente e seguiva una sua logica pazza. Non avrebbe distrutto il mondo se non fosse stato costretto a farlo per raggiungere i suoi fini. Lei invece voleva a tutti i costi seminare il caos e inondare la terra di sangue. Era lei la vera pazza, quella bella sgualdrina erotomane! Una pazza malvagia!
  
  Si chinò a mordicchiarle un seno per non farle vedere la sua espressione nauseata.
  
  Lei si inarcò tutta di piacere e chiuse gli occhi,
  
  — Dio… che bello! — mormorò. — Continua caro, non smettere…
  
  — Debbo ammazzare Pendragon — le sussurrò Nick su un seno, senza alzare il capo. — Si può sapere dove lo trovo?
  
  Lei glielo disse.
  
  Nick fischiettò tra i denti.
  
  — Mmm… in gamba. In gamba davvero. Ma Londra è lontanuccia non trovi? Non è meglio che parta subito? Mi ci vorrà magari un po’ per stanarlo, sai? — e continuò a baciarle il seno.
  
  Lady Hardesty rabbrividì, ma d’un tratto lo respinse con un gesto deciso. Si riabbottonò il camiciotto e si alzò.
  
  — Vieni — disse in tono di — comando. — Prima debbo mostrarti una cosa. È
  
  qualcosa che dovrai fare per dimostrarmi la tua lealtà. Quando l’avrai fatto, ti metterò sull’aereo per Londra, e andrai a uccidere mio marito.
  
  Lui la seguì, oltrepassò una grande camera da letto ed entrò in un’altra stanzetta più piccola in fondo al corridoio. Anche quella aveva una solida porta metallica. Lady Hardesty gli disse con una smorfia ironica, mostrandogli il letto:
  
  — Una tua vecchia conoscenza, eh?
  
  Gwen Leith giaceva nuda sulla coperta, e una lampada violenta metteva in evidenza ogni particolare del suo corpo lungo e atletico da Walchiria. Le caviglie e i polsi della ragazza erano legati e fissati con delle corde alle quattro colonnette del letto. Pareva una crocifissione, se non fosse stato per le gambe divaricate.
  
  Udendoli entrare Gwen aprì gli occhi e fissò Nick. Sbatté le palpebre per lo stupore, e nei suoi occhi si accese una breve scintilla di speranza. Ma poi vide Lady Hardesty, e la speranza morì subito. Aprì la bocca per parlare ma non disse nulla.
  
  Richiuse gli occhi e se ne stette là nuda, muta e disperata.
  
  Lady Hardesty la guardò con un sorrisetto crudele sulla bocca scarlatta. Toccò il braccio di Nick.
  
  — Ci ha detto tutto quel che sapeva, ne sono sicura. Perciò penso che sia venuto il momento di abbreviare la sua agonia, caro Nick. Fatelo voi. Siate tanto gentile da toglierla per sempre da questa situazione penosa. Farete un favore a lei, e nello stesso tempo mi darete una prova della vostra devozione.
  
  — Certo — rispose Nick, e avanzò d’un passo verso il letto. — Dato che non ci sono armi, dovrò strangolarla, che ne dite? — Notò che Gwen apriva un pochino gli occhi e rabbrividiva per tutto il corpo rigoglioso. Aveva una caviglia fasciata strettamente, notò lui, ma per il resto non aveva segni di percosse sulla persona.
  
  — No, non strangolatela — disse la donna. — Guardate. — Puntò il dito verso un angolo della stanza, e Nick vide due cassette di legno dal coperchio di rete metallica.
  
  Qualcosa si stava agitando, là dentro. Si sentì molto a disagio e cercò di dominarsi a fatica.
  
  Lady Hardesty lo accompagnò sino alle cassette. Una di esse conteneva una matassa di serpenti che continuavano a contorcersi uno attorno all’altro.
  
  — Questi sono innocui — gli spiegò lei. — Dovrete usare quest’altro, vedete?
  
  Portate la cassetta vicino a lei, poi l’aprite e le rovesciate addosso l’animaletto. Ma state attento perché è mortale.
  
  Il cobra nella cassetta si irrigidì e cominciò a rizzarsi. Sibilò in direzione di Nick quando si vide osservato.
  
  Nick cercò di guadagnar tempo. Doveva escogitare qualcosa alla svelta.
  
  — Ma perché dobbiamo essere tanto teatrali? — domandò. — Non è meglio strangolarla e farla finita una volta per tutte?
  
  Qualcosa si agitò negli occhi neri di Lady Hardesty, e per un attimo la donna gli rammentò il cobra.
  
  — Perché io preferisco così — disse lei con voce dolce, leccandosi le labbra.
  
  Nick guardò ancora il serpente senza la minima simpatia. Non si sapeva proprio chi scegliere, tra il rettile e la donna… Raccolse la cassetta e la portò sino al bordo del letto.
  
  — E va bene, farò quel che volete. È meglio che stiate accanto alla porta, però; dovremo scappare alla svelta.
  
  Gwen Leith aprì gli occhi e lo fissò. Nick non aveva mai visto tanto terrore in due pupille.
  
  — Oh no! — sussurrò la ragazza. — Per amor di Dio, ammazzatemi in un altro modo, ma non così!
  
  Nick esitò. Alle sue spalle lavo ce di Madama vibrò come una frustata.
  
  — Avanti! Stiamo perdendo tempo!
  
  Doveva agire in fretta e con astuzia. Non aveva molte possibilità, ma valeva la pena di tentare. Mise una mano attorno alla gola Bela ragazza e cominciò a premere.
  
  — Via, lasciatemela strangolare — disse. — Non posso soffrire i serpenti!
  
  — Fate quel che vi ho detto! — ribatté lei gelida, con un tono da far rabbrividire.
  
  Intanto le dita di Nick avevano trovato il punto che cercavano, proprio dietro l’orecchio della ragazza. C’era un nervo lì che con una leggera pressione… Ma doveva stare attento. Se avesse schiacciato troppo forte l’avrebbe uccisa.
  
  Diede una strizzatina e sentì sotto le dita un leggero crac. Fatto. Adesso Gwen aveva perso i sensi!
  
  Nick sollevò la cassetta e ne aprì il chiavistello. Il cobra cadde sul ventre nudo di Gwen, e Nick corse alla porta. Diede una spinta a Lady Hardesty per farla uscire.
  
  — Andiamo, svelta! Vi assicuro che non ho alcuna voglia di star qui a guardare.
  
  Lei aprì la porta e fece una piccola smorfia.
  
  — Ma mio caro, allora sei un bluff e nient’altro! Parevi un duro, invece… Sono un po’ delusa, a dire il vero. Dopo quel che ho sentito sul tuo conto… Mi hanno detto che eri l’essere più coriaceo della terra!
  
  Il Numero Tre sorrise. Le fece il suo sorriso più accattivante. Pareva un ragazzino pronto a domandar scusa per una piccola marachella. Hawk una volta aveva osservato che quando Nick aveva quell’espressione, c’era senz’altro un assassinio in vista. Chi lo conosceva scappava sempre, quando lui cominciava a sorridere così.
  
  — Non mi piace ammazzare le donne — le disse. — Questa è la sola debolezza che ho. Mi sembra… mi sembra un tale spreco!
  
  Stavano passando nella camera da letto padronale; adesso, e lui continuò:
  
  — Sono un po’ scosso, tesoro. È meglio che tu mi aiuti a dimenticare. Che ne dici?
  
  Per un attimo lei esitò. Guardò l’orologetto che aveva al polso.
  
  — Non abbiamo molto tempo, caro. Sergej non ci metterà molto a tornare, ormai, e tu devi prendere l’aereo per Londra. Non so… oh, io vorrei, ma…
  
  — Una cosina rapida — le sussurrò Nick — Via, tesoro! Sarà un antipasto di quel che verrà dopo quando saremo i padroni del mondo.
  
  — Va bene — sospirò lei e mentre si avvicinava al letto si tolse i pantaloni. — Hai vinto. Ma dobbiamo far presto davvero.
  
  Nick aveva bisogno di una bottiglia di whisky o di una cosa qualsiasi. Non aveva droghe per addormentarla, è l’alcool doveva bastare. Vide con sollievo che c’era un piccolo bar sotto alcuni scaffali di libri e vi si avviò.
  
  — Spogliati e va’ a letto — le disse. — Ho bisogno di bere qualcosa per levarmi dalla bocca quel gusto di cobra. Brr, che bestiaccia schifosa!
  
  Quando tornò accanto al letto lei era pronta e lo aspettava, nuda e ansiosa. Nick si tolse il camice bianco che gli avevano dato al suo arrivo nell’isola, e lei guardò il suo corpo magnifico con espressione famelica.
  
  — Presto — mugolò. — Presto, presto!
  
  Nick la guardò. Era, o perlomeno sembrava uguale a tutte le prostitute pazze di questo mondo.
  
  — Vengo — rispose allegramente, e si avvicinò senza mollare la bottiglia del whisky. Ne bevve una sorsata a garganella, poi sedette accanto a lei.
  
  — Baciami! — gli ordinò la donna.
  
  — Tieni cara, bevi un po’ anche tu.
  
  L’afferrò per il collo per impedirle di gridare e strinse fino a quando lei spalancò la bocca in cerca di respiro. Le cacciò in gola il collo della bottiglia e la tenne ferma mentre il liquore le scivolava giù per l’esofago.
  
  11
  
  Lady Hardesty lottò come un’ossessa, ma lui la tenne in suo potere con la massima facilità, come se fosse stata un pupazzo di cenci. Le afferrò e le strinse il naso con due dita, e lei rimase a bocca aperta come un pesce. Lui le si sedette addosso e continuò a versarle il whisky in gola.
  
  — Bevi, maledetta sgualdrina, la devi ingoiare tutta, questa bottiglia!
  
  Lei si divincolò, cercò perfino di vomitare, di morderlo, di liberarsi in qualche modo. Ma lui continuò inesorabile a tenerle quel collo di bottiglia infilato nella bocca. Continuò a versare sino a quando non ebbe vuotato tutto il whisky.
  
  Sapeva benissimo che se le avesse permesso di restare in sentore per un attimo lei avrebbe buttato fuori tutto. Sarebbero bastati pochi minuti perché l’alcool agisse, ubriacandola completamente. Perciò Nick chiuse il pugno e la colpì duramente alla mascella, proprio per farle perdere i sensi. Lei si abbandonò all’indietro sul guanciale, gli occhi vitrei, i capelli in disordine, le membra ancora un po’ frementi.
  
  Nick riprese in mano la bottiglia vuota, tenendola per il collo come una clava, e corse nudo fino alla stanzetta in cui aveva lasciato Gwen Leith. Tra un momento avrebbe saputo se il suo piano disperato aveva avuto successo o no. Sapeva che i serpenti difficilmente attaccano le persone svenute, immobili, perciò le aveva fatto perdere i sensi con la pressione jitsu. Purché non fosse rinvenuta troppo presto e non si fosse mossa… E purché il cobra si attenesse alle regole e sapesse anche lui che non stava bene colpire la gente addormentata!
  
  Quante incognite, maledizione!
  
  Aprì la porta con cautela, piano piano, e sbirciò dentro. Gwen Leith era ancora nel mondo dei sogni, e il cobra era arrotolato sul suo pancino.
  
  Accidenti a lui. Se lei si fosse svegliata adesso, sarebbe caduta in preda ad una crisi isterica, si sarebbe divincolata, e allora addio!
  
  Nick avanzò nella stanza. Subito il cobra alzò la testa piatta, triangolare, e cominciò a ciondolare a destra e a sinistra. Nick avanzò ancora nella sua direzione, la bottiglia protesa.
  
  — Ssssss… Ssssss…
  
  Il sibilo aumentò d’intensità e parve riempire la stanza. Il serpente fissò Nick con i suoi gelidi occhi senza palpebre. Nick fece un altro passo avanti. Gwen Leith cominciò ad agitarsi.
  
  Accidenti, proprio adesso doveva svegliarsi! Nick agitò la bottiglia davanti al cobra, il più vicino possibile.
  
  Il rettile scattò. Era come un lampo che si snodasse con mortale rapidità. Nick fu più svelto solo di una frazione di secondo. Si fece in disparte, e il serpente si lasciò cadere sul pavimento con un tonfo, poi ricominciò ad arrotolarsi. Nick non perse tempo e gli abbatté la bottiglia sulla testa piatta, una volta, due volte, tre volte, con odio, spiaccicandogliela.
  
  Quando fu sicuro che il cobra era morto, lo respinse con una pedata nell’angolo della stanza. Pareva un freddo rotolo di corda contro il suo piede nudo. Poi Nick guardò la ragazza, vide che aveva ripreso a respirare normalmente, pur agitandosi e mugolando nel sonno.
  
  Adesso doveva lasciarla lì. Non stava male, e nessuno le avrebbe più fatto nulla. Se l’avesse liberata ora, se la sarebbe trovata tra i piedi, mentre aveva bisogno di tenersi le mani libere per quel che doveva fare.
  
  Il tempo passava così in fretta che Nick rabbrividiva solo a pensarci.
  
  Tornò nella camera grande. Lady Hardesty era ancora abbandonata sulla schiena e respirava pesantemente, immersa in un sonno profondo. Un rivoletto ambrato le scivolava giù dalla bocca aperta.
  
  Nick si affrettò ad organizzare la messa in scena. Raccolse il proprio camice e lo mise a cavalcioni della spalliera di una sedia. Sulla stessa sedia posò, ben in ordine, i pantaloni e il camiciotto di Madama. Poi controllò la borsa del tabacco e l’accendino.
  
  Tutto a posto. Le scarpe stavano accanto al bar, dove se le era sfilate.
  
  Il Numero Tre andò a coricarsi sul letto, accanto alla donna svenuta. Lui era nudo, lei era nuda. Così doveva essere. A quella vista Sergej Konstantinoff sarebbe rimasto di sasso. E Nick aveva proprio bisogno di coglierlo alla sprovvista, approfittando del suo indignato stupore.
  
  Il letto e la stanza puzzavano di whisky. Nick chiuse gli occhi e aspettò. Perché non arrivava, quel bastardo? Sollevò il braccio inerte di Lady Hardesty e guardò il suo orologino da polso. Ormai l’ora convenuta era trascorsa, e Sergej doveva venire.
  
  Finalmente udì la chiave che girava nella serratura. Chiuse gli occhi e si finse addormentato. «Vieni carino» gli disse in cuor suo. «Vieni a prenderti la tua parte!
  
  Ma fa’ presto. Guarda un po’ la tua bella. Non ti resta molto tempo per ammirarla, sai?»
  
  Sentì che il russo era entrato nel salotto, richiudendosi la porta alle spalle. Una pausa di silenzio, poi l’uomo chiamò con voce incerta:
  
  — Lady Hardesty… Signor Carter…
  
  Silenzio ancora. Nick udiva il respiro di Sergej. La porta della stanza da letto era spalancata.
  
  — Lady Hardesty? C’è qualcosa che non va?
  
  Dei passi avanzarono lungo il corridoio e si avvicinarono alla camera.
  
  — Lady Hardesty…
  
  Sergej era sulla porta adesso, e sbirciava dentro. Nick sentì che tratteneva il respiro, indignato. Lanciò un’imprecazione in russo e avanzò nella stanza; avvicinandosi al letto. Si chinò a fissare quei due corpi nudi con scandalizzata incredulità.
  
  Nick aprì un occhio e fece un sorrisetto ebete all’uomo.
  
  — Oh, salve! Non… non fffate caso a noi… Ci siamo presi una sbronzetta, ecco… E
  
  allora.. perché non vi spogliate anche voi per unirvi alla festa? T…tutti sono bbenvenuti, sapete? Mi rrrincresce, ma credo che non ci sia più niente da bere. Io sciono…
  
  Sergej sputò sul tappeto. Con un’espressione di enorme disgusto sulla faccia barbuta si chinò per svegliare Lady Hardesty con uno scrollone.
  
  — Siete due maiali, due porci! Lady Hardesty, svegliatevi!
  
  Non ancora.
  
  Nick si mise a ridacchiare.
  
  — Cosa c’è, vecchio? Non sssapevate che era una maniaca sessssuale? Nooo? Be’, adesso lo sssapete! E ci pppotete credere, Frrratello! Avete appuntato sulla giu…giumenta sbbbagliata, amico! Avreste dddovuto rimanere fedele al vecchio P…
  
  pendragon…
  
  — Zitto! — Sergej mollò un ceffone in faccia a Nick. — Zitto, maiale!
  
  Il Numero Tre schizzò su con la stessa efficienza mortale del cobra, e trovò subito il bersaglio che cercava: la gola di Sergej che si intravedeva dietro la barba. Lo afferrò per il collo e lo tirò giù, sul letto. Per un momento rimasero là abbracciati come due disgustosi invertiti. Il russo si mise a scalciare per far leva e rizzarsi di nuovo in piedi, per liberarsi da quelle zampe d’acciaio che lo strangolavano. Poi vi rinunciò e afferrò un polso di Nick nel tentativo di allentare quella stretta mortale.
  
  Macché, era come cercare di svellere le sbarre di una prigione.
  
  Gli occhi di Sergej adesso erano disperati e supplichevoli. Cercò di ficcare le dita in quelli di Nick, ma Sterminio gli mollò una testata sulla mascella. Adesso Sergej aveva la lingua fuori e la faccia violetta. Cercò di graffiare ancora gli occhi di Nick, ma l’altro abbassò il capo e glielo ficcò nello stomaco, senza mai allentare la sua stretta tremenda. I piedi del russo ciondolarono un po’ a vuoto, poi si fermarono.
  
  Quando Nick vide che quel volto era diventato una maschera brutta dagli occhi spenti, mollò la presa. Lasciò scivolare Sergej sul pavimento.
  
  Testimone inconscia del delitto, Lady Hardesty continuò a russare.
  
  Nick si alzò e fece qualche flessione. Si sentiva un po’ intorpidito. Poi si chinò sul russo e gli sfilò il camice di dosso. Se lo mise lui e constatò che gli andava abbastanza bene.
  
  Andò a prendere dalla tasca del camice che indossava prima l’accendino per trasferirlo nel nuovo indumento munito di drago e stella. Intascò anche la borsa del tabacco e la pipetta. Poi si rimise le scarpe dai preziosi tacchi scalcagnati e tornò nella stanzetta per dedicarsi a Gwen. Erano le due del mattino. Mancavano poco meno di tre ore.
  
  La ragazza era sveglia quando Nick entrò. Lo fissò, e la sua bocca larga e generosa gettò uno strillo:
  
  — Mio Dio, Nick, no!
  
  Era sull’orlo del collasso e lui lo sapeva. Bisognava evitarlo ad ogni costo. Aveva bisogno di lei, e la voleva sveglia al massimo. Tanto per incuriosirla e riscuoterla da quello stato di tensione, cominciò a ridere e a far lo stupido. Poi le titillò il ventre con le dita per farle il solletico.
  
  — Eccola qui, la mia fiera bellezza! Adesso vi tengo in mio potere. Volevate che non vi toccassi, eh? Ma adesso… — ricominciò a farle il solletico, e lei si contorse.
  
  — Basta, Nick! Ma voi… non siete…?
  
  — Non sono che, bellezza?
  
  Lei lo fissò con occhi ancora pieni di dubbio e di incerto timore.
  
  — Non siete… dalla loro parte? — gli domandò infine, osservando il drago rosso e la stella d’argento.
  
  Nick sogghignò e cominciò a slegare i lacci che la tenevano imprigionata al letto.
  
  — Amore, credevo che non ti decidessi mai a domandarmelo, come disse la ragazza al fidanzato che le proponeva il matrimonio. No, carina, non sono con loro, ma con voi. Governeremo il mondo, tesoro, perciò affrettatevi a scendere da questo letto. — Tolse l’ultimo legaccio con uno strattone. — E fate alla svelta, prima che mi dimentichi del mio dovere e salti su a farvi compagnia!
  
  Gwen si ricordò d’essere nuda e arrossì fin nelle lentiggini che le adornavano il nasetto all’insù.
  
  — Mio Dio, andate fuori! Sono nuda!
  
  Nick la tirò giù dal letto.
  
  — Non c’è tempo per il pudore, piccola. Volete star qui con quell’affare? — le indicò il cobra morto nell’angolo con la mano. Nell’altra cassetta i serpenti si agitavano e sibilavano inquieti.
  
  Gwen si lasciò sfuggire un grido e fissò quella roba orrenda con espressione terrorizzata.
  
  — Oh, Gesù! Gesù, Gesù…
  
  Nick le mollò un ceffone. Forte. Sulla guancia della ragazza rimase il segno delle dita; poi le diede uno spintone e la costrinse a uscire dalla stanza.
  
  — Via! Nell’altra camera c’è un camice, e potrete coprirvi. Andiamo, non c’è tempo da perdere.
  
  Le diede uno sculaccione amichevole, e anche sulla natica restarono i segni delle sue dita.
  
  — Dobbiamo fare un mucchio di cose — le spiegò. — Un mucchio. Guai a voi se mi venite meno adesso. Cercate di reggere, per carità, fino a quando avremo risolto questo maledetto inghippo, e dopo vi permetterò di avere tutte le dannatissime crisi isteriche che vorrete.
  
  Gwen era un po’ troppo sviluppata per poter indossare la roba di Lady Hardesty.
  
  Bisognava rassegnarsi a gelare. Infilò soltanto il camice abbandonato da Nick. Non fece commenti su quella donna nuda che russava, né sul morto che giaceva sul tappeto.
  
  Sedette su una poltrona e domandò a Nick:
  
  — Adesso che si fa? Ho l’impressione che ci sia rimasto ben poco tempo…
  
  — A chi lo dite! — Nick aveva trovato in un cassetto un paio di forbici e s’era messo a tagliare la barba di Sergej con mosse rapide e sicure. — Guardatevi in giro e vedete un po’ se trovate della colla da qualche parte. Debbo appiccicarmi su una barba, sia pure provvisoria, ma bisogna che mi scambino per costui…
  
  Alcuni minuti dopo Gwen tornò con un barattolo di colla e indicò Lady Hardesty con il mento.
  
  — Tiene un album di ritagli, pensate un po’… ce li incolla su con questa pastetta.
  
  C’è un mucchio di sue foto di quando faceva l’attrice, e…
  
  — Chi se ne frega! — Nick le strappò di mano il barattolo. — Tutti abbiamo le nostre vanità, sapete? E lei ne ha tanta, tantissima, più di tutte le donne del mondo. —
  
  Cominciò ad impastarsi la barba sul mento davanti allo specchio, ciuffetto per ciuffetto. — Ditemi un po’, da quando siete qui non avete appreso nulla che possa servirci? O siete stata sempre legata su quel letto?
  
  — Non sempre. Mi hanno addormentato con qualche droga, là a Barrogill Moor, e mi hanno portata qui. Il mio piede non era rotto, avevo solo una distorsione alla caviglia, e me l’hanno sistemata, come vedete. In principio sono stati abbastanza gentili. Poi è arrivata lei. Allora le cose sono cambiate.
  
  Nick continuò ad appiccicarsi i peli della barba, con un successo assai poco brillante. Ma non importava, non era indispensabile che si trattasse di un lavoro perfetto. Bastava che riuscisse ad ingannare una guardia a distanza per qualche secondo.
  
  — Allora è stata lei a ordinare la tortura dei serpenti per voi — disse. — E non avete potuto sopportarla. Perciò avete parlato.
  
  Vi fu un lungo silenzio. Lui finì di impastarsi la barba, poi si volse. Gwen era immobile nella poltrona e fissava Lady Hardesty.
  
  — Sì — disse senza guardare Nick in faccia. — Ho parlato. Ho detto che eravate in viaggio per Londra. Non potevo sopportare quella… quella cosa! I serpenti mi fanno impazzire! Quando me ne sono sentito uno tra le gambe, che strisciava su…
  
  Si prese il capo tra le mani e cominciò a singhiozzare.
  
  Nick le diede una pacca sulla spalla.
  
  — Non c’è tempo per le lacrime, adesso. Piantatela, accidenti, e non fate tante storie! Io non ce l’ho con voi. Al vostro posto forse avrei fatto altrettanto, e avrei berciato a gran voce. Adesso ditemi se avete appreso qualcosa nei riguardi di questo posto.
  
  Gwen rialzò il capo e si asciugò gli occhi;
  
  — Scusatemi, adesso va meglio. Sì, ho appreso parecchie cose su questo posto. Ho osservato molto, quando mi è stato passibile, e ho immaginato il resto. Ho una certa pratica di queste faccende e ho usato occhi e cervello. Dopo che mi hanno torturato la prima volta, mi hanno mandato in prigione. Mi permettevano di fare qualche passeggiata, però. È stato allora che ho visto e capito assai più cose di quanto loro non credessero. Se avete della carta e una matita vi faccio uno schizzo.
  
  Nick andò a cercare nel piccolo scrittoio, la guardò di sopra la spalla e disse:
  
  — Sapevo che eravate qualcosa di più di un’agente ordinaria, Ma Travers non mi ha detto nulla.
  
  — Sì, ho il grado di Colonnello del “M5-A”, un dipartimento speciale nel Dipartimento Speciale. La “A” sta per atomico. Sono un’esperta nella controffensiva dei missili. Ecco perché mi hanno assegnato a voi. Pensavano che vi sarei stata utile se fossimo riusciti a venir qui a Blackscape.
  
  Nick le tese penna e matita e sorrise.
  
  — Benissimo, Colonnello. Adesso cercate di rendervi utile. E vediamo di far presto. Disegnate e parlate, se è possibile, intanto che io mi do da fare.
  
  Andò ad aprire un armadio e vi frugò dentro. Tutti e due avevano bisogno di qualche indumento pesante, e non solo per proteggersi contro il freddo. Sarebbe stato opportuno travestirsi in qualche modo.
  
  — Ho visitato alcune delle vostre basi missilistiche degli Stati Uniti — continuò Gwen. — A un dipresso questa è molto simile. Pendragon si serve di razzi un po’
  
  antiquati, in verità. Credo siano i vostri “Titan I”, o qualcosa di simile. Ne ha ancora tre, ognuno nel proprio silos. I silos sono coperti da una sorta. di botola che va su e giù, invece di scivolare da una parte come le aperture dei modelli più recenti.
  
  — Ho visto i crepacci nella roccia — disse Nick. Aveva trovato un paio di.
  
  montgomery nell’armadio e li gettò sul letto con un grugnito di soddisfazione. —
  
  Ecco, con questi non geleremo, e i cappucci ci maschereranno abbastanza la faccia.
  
  Avanti, figliola. Quanto è profondo il complesso. e soprattutto come faremo ad introdurci?
  
  Lei si era messa bocconi sul pavimento, non lontano dal cadavere del russo, e disegnava su un foglio di carta.
  
  — Credo che i silos siano ad una profondità di 45 o 50 metri. Forse anche di più. Il centro di controllo e di comunicazione deve trovarsi in un locale separato, a mezza strada di profondità, e collegato ai silos da tiri passaggio. Ci dev’essere pure una via d’uscita d’emergenza da qualche parte, in caso di fuoco o di esplosione.
  
  Nick si chinò a guardare lo schizzo e fece un sorriso feroce.
  
  — Oh, fuoco ed esplosioni ne avremo a volontà, non dubitate. Ma dobbiamo arrivare là. Parlatemi di quella via d’uscita di emergenza. Mi interessa moltissimo. Va in su o in giù?
  
  — Forse in su, purtroppo. Ci dovrebbero essere delle porte d’acciaio a chiusura ermetica… Vedo a cosa mirate, Nick, ma temo che quell’uscita non vada bene per noi.
  
  — Certo che non possiamo tornare in su. Non ne abbiamo alcun motivo, perdiana, a meno che non ci piacciano le pallottole di questa gente. Sempre che ci sia ancora qualcuno vivo, qui.
  
  Lanciò un’occhiata al corpo nudo e supino di Lady Hardesty, che continuava a russare sul letto. Le gettò addosso un lenzuolo.
  
  — Bisogna tirare a indovinare per forza. Questa è un’isola, dopo tutto. Un’isola rocciosa. Ci deve pur essere qualche grotta tra questi massi. Scommetto che esiste un’altra uscita di emergenza per i pezzi grossi soltanto, che conduce giù, sino al mare.
  
  — Auguriamoci che esista davvero — disse Gwen con un sorriso. Adesso si era ripresa completamente.
  
  Nick aveva ancora in mano le lunghe forbici. Le fissò, poi guardò Lady Hardesty.
  
  — Se fosse in grado di parlare con una certa coerenza, la costringerei io a dircelo
  
  — osservò con tono di rimpianto. — Ma temo di aver esagerato un po’ con il whisky che le ho fatto ingozzare. Be’, vedremo. Continuate.
  
  Aveva trovato in bagno un rotolino di nastro adesivo ed ora si mise ad avvolgere la base delle forbici per fare una sorta di elsa rudimentale. Non sarebbe stato il suo stiletto, ma bisognava accontentarsi. Le due lame erano piuttosto lunghe, aguzze e taglienti. Sempre meglio che nulla.
  
  — Nel complesso lavora sempre un gruppetto di sei-otto uomini — continuò Gwen. — Ho osservato il cambio della guardia un giorno. Lo fanno alle otto.
  
  — Nessuna idea dove se ne stanno? Voglio dire, è più probabile che siano al centro di controllo, o disseminati un po’ dappertutto?
  
  Lei corrugò la fronte. Ci pensò su un attimo, poi disse:
  
  — Se il lancio è così imminente, saranno tutti lì intorno. Diciamo un paio al centro di controllo e un paio per ogni missile.
  
  Nick si stava esercitando con il pugnale improvvisato. Ora le lame delle forbici stavano ben unite, perché il nastro adesivo teneva serrati i due anelli della base.
  
  L’arma non aveva la leggerezza equilibrata di Hugo, e al lancio non avrebbe servito gran che.
  
  Tornò ad inginocchiarsi accanto a Gwen per studiare lo schizzo un’altra volta.
  
  — I silos sono tutti collegati uno all’altro? In tal caso non possiamo bloccare gli uomini di qua o di là. Dovremo combatterli a uno a uno, maledizione!
  
  Lei assentì.
  
  — Lo so. I passaggi potrebbero venire bloccati, ma ciò impedirebbe alla prima esplosione di tirarsi dietro le altre. Mi sa che avremo appena il tempo di far saltare un razzo solo, prima… prima che ci capiti qualcosa.
  
  Nick si alzò. Accese una delle sigarette di Lady Hardesty e rimase là a fissare il disegno a distanza.
  
  — Avete perfettamente ragione, purtroppo. Avremo il tempo di distruggere al massimo uno dei razzi, e dopo, punto e basta. Sull’annientamento del primo, almeno, direi che possiamo contare. Ma bisogna distruggerli tutti. Be’, ci penseremo dopo.
  
  Siete sicura che se i passaggi non sono bloccati, l’esplosione di un razzo farà scoppiare anche gli altri?
  
  — Non posso esserne matematicamente sicura — sospirò lei. — Nessuno lo potrebbe. Ma è molto probabile, se i passaggi sono liberi.
  
  Nick disse:
  
  — Be’, cercheremo di credere che andrà così. Adesso passiamo alla parte peggiore. Le testate di questi razzi sono caricate a cinquanta megaton?
  
  Lei scosse il capo. C’era una espressione impaurita nei suoi occhi.
  
  — Questo non possiamo proprio saperlo prima. I missili sono pronti per il lancio, naturalmente. Perciò saranno carichi. Ma questo tipo è previsto per innescare la testata dopo il lancio. C’è una sorta di inseritore automatico. Ma può anche darsi che i tecnici di Pendragon abbiano fatto qualche modifica. Come si fa a saperlo?
  
  Nick Carter fischiettò.
  
  — Altro che roulette russa! Se sono innescati e scoppiano, molleranno… — si interruppe di colpo.
  
  Gwen capì.
  
  — Concludete pure, Nick. Si scateneranno centocinquanta megaton. Ed entro un raggio di duecento chilometri salterà per aria tutto.
  
  — Vi riferite alla circonferenza?
  
  Lei gli lanciò un sorriso malinconico.
  
  — Ho detto raggio, che significa davanti, di dietro, di sotto e di sopra. Brucerà tutto quanto, Nick. Immaginate quante vittime innocenti, bambini compresi?
  
  Nick le tese la mano e l’aiutò a rialzarsi.
  
  — Va bene, andiamo — disse con voce dura. — Ricordate che dovete obbedire ciecamente ai miei ordini. Se vi prendono, se vi sparano, se vi feriscono, io non potrò fermarmi per aiutarvi, e allora sarete sola. Intesi?
  
  — Intesi — rispose lei in tono assai grave. Poi gli si avvicinò di più. — Nick…
  
  — Sì? — lui stava infilandosi uno dei montgomery, e le diede l’altro. —
  
  Infilatevelo anche voi.
  
  Lei ignorò l’indumento.
  
  — Nick, vorrei che mi deste un bacio. Se quei missili sono armati e si verificherà l’esplosione, mandando a pezzi anche noi… Be’, l’occasione non mi capiterà più.
  
  Lui la prese tra le braccia. Le labbra di Gwen erano morbide, dolci, e molto molto fredde. Ma lui volle punzecchiarla un pochino ugualmente.
  
  — Mi pareva che mi aveste avvertito di non toccarvi, ed eravate molto decisa!
  
  Gwen non lo guardò.
  
  — Ne riparleremo se usciremo fuori da questo pasticcio.
  
  Nick le sorrise.
  
  — D’accordo. E adesso mettiamoci al lavoro, Colonnello. Mi è piaciuto baciarvi, e sa Dio se preferirei star qui e continuare, tanto per vedere dove potrei arrivare. Ma purtroppo c’è questa piccola faccenduola che ha la precedenza. Tre uccellacci da far fuori. Bisogna proprio che ci mettiamo in moto, bella mia.
  
  Le diede l’accendino e le spiegò come avrebbe dovuto usarlo in caso di bisogno.
  
  Lei impallidì ma fece un cenno d’assenso. Nick si infilò le forbici in tasca, insieme al grosso orologio che Travers gli aveva dato.
  
  Si avviarono verso la porta d’entrata, e Nick aprì con la chiave che aveva portato via a Konstantinoff. Poi la lasciò nella serratura.
  
  All’ultimo momento vide che Gwen tremava. Gli si aggrappò confessando:
  
  — Ho paura, una fifa maledetta… Come faremo, Nick? Come possiamo sperare di riuscire? Noi due soli? Dio mio, ho tanta paura…
  
  Nick la spinse gentilmente in corridoio.
  
  — Coraggio, cara. È umano aver paura, ma ci vuol coraggio lo stesso. Adesso andremo a nutrire gli uccellacci con un po’ di plastico, e vedremo se lo gradiscono.
  
  12
  
  Era buio pesto. Le stelle erano scomparse e aveva cominciato a piovere; scrosci capricciosi che la forza del vento rendeva ancora più furibondi. Ogni goccia d’acqua pesava quanto una pallottola di piombo.
  
  Scivolarono a capo chino verso la bassa costruzione di cemento dalla quale si accedeva al complesso missilistico. Nick si era impresso nella memoria lo schizzo che Gwen aveva fatto. Se quel disegno a capoccia si avvicinava abbastanza alla realtà, non sarebbe stato tanto difficile introdurvisi, sempre che riuscissero ad eliminare le prime guardie.
  
  Le sentinelle erano sempre a due a due, e armate. Prevedibile che avessero l’ordine di sparare prima e far domande dopo. Sparare e uccidere alla prima avvisaglia di pericolo!
  
  Ma bisognava cercare di ingannarle, e Nick contava molto sulla protezione di quei mantelli. Tutti e due si erano calati il cappuccio in testa, annodandosene i lacci sotto il mento, coprendo anche buona parte del viso. In una notte simile sarebbe parso naturalissimo. Nick si augurava di venir scambiato per il russo, e Gwen avrebbe dovuto passare per Lady Hardesty. Un po’ di barba gli sporgeva dal, cappuccio, e inoltre si era preso la briga di appuntarsi sul bavero del cappotto la stella d’argento, tanto per aggiungere un certo valore psicologico alla mascherata. I Druidi erano un’organizzazione quasi militare, perciò dovevano essere assai disciplinati.
  
  Erano molto vicino, adesso. Nick strinse convulsamente le forbici che aveva in tasca. Con quelle poteva sistemare un uomo solo, però. Gwen doveva arrangiarsi ad affrontare l’altro. Purché i nervi non le facessero cilecca! Ormai ne aveva passate tante, poveraccia.
  
  Davanti alla pesante porta d’acciaio, Nick sussurrò:
  
  — È qui. Come va?
  
  Lei rispose con una vocina remota, che pareva una debole eco:
  
  — Sto bene.
  
  — Andiamo, allora.
  
  Nick spinse uno dei battenti che si aprì e si trovò in un atrio vivamente illuminato, senza mobili, con le piastrelle bianche alle pareti. Soltanto un tavolo in un angolo, e dietro quel tavolo sedeva un Druido nella sua uniforme bianca, con le insegne di caporale sul braccio. Accanto a lui un altro guardiano stava in piedi, col mitra a tracolla. Un altro mitra era sul tavolo del caporale seduto.
  
  Nick borbottò qualcosa in russo, per corroborare la finzione, e sibilò alla sua compagna:
  
  — Occupatevi di quello seduto.
  
  Lei, rabbrividendo e stringendosi il cappuccio contro il viso, fece un cenno impercettibile di assenso.
  
  Il caporale tese un grosso registro nella loro direzione.
  
  — Buon giorno, signore. Volete firmare?
  
  — Da — rispose Nick, e si diresse verso il tavolo, facendosi poi in disparte per permettere a Gwen di precederlo. Poi si volse all’uomo in piedi.
  
  — Che nottataccia, eh? Fa un freddo…
  
  Il Druido infatti aveva indosso un mantello simile al suo. Se voleva ammazzarlo alla svelta doveva strangolarlo, perché le forbici non gli avrebbero servito molto, con quella stoffa così spessa da bucare.
  
  — Oh sì — rispose l’uomo. — Il vento è peg… — Nick balzò con lo scatto silenzioso di una tigre. Il malcapitato spalancò gli occhi e fece per gridare, cercò di agguantare l’arma che aveva a tracolla. Mentre tirava fuori le forbici, udì il clic dell’accendino alle sue spalle, e gli pervenne l’urlo di dolore del guardiano seduto al tavolo.
  
  Nick abbassò l’arma del suo uomo con un colpo secco della mano, poi lo inchiodò contro la parete e con un gesto fulmineo gli conficcò le forbici in gola. Il sangue zampillò come acqua di fonte, il poveraccio strabuzzò gli occhi e mollò il mitra per cercare di togliersi quelle lame dalla gola. Nick fu più svelto di lui. Gli sfilò le forbici dalla carne e ricominciò a pugnalarlo con forza. Poi afferrò la sua arma e spinse l’uomo, ormai morente, in un angolo.
  
  L’anticamera era piena di fumo acre, e c’era un gran puzzo di carne bruciata.
  
  Gwen, con le mani che si reggevano al bordo del tavolo, si mise a vomitare. Il Druido seduto aveva la faccia carbonizzata, e l’accendino era caduto sul pavimento.
  
  Nick diede uno spintone a Gwen per sollecitarla a infilarsi nell’altra porta.
  
  — Presto, andiamo!
  
  Lei assentì e si lanciò. Nick la seguì, poi notò con la coda dell’occhio un movimento alle sue spalle. Il guardiano dalla faccia bruciata stava annaspando ciecamente con le mani, ma non senza scopo. C’era qualcosa di deliberatamente deciso in quella mossa. Nick tornò indietro impugnando le forbici, ma arrivò troppo tardi. Quando giunse accanto all’uomo. vide il bottoncino e dovette constatare con rabbia che il Druido lo aveva già pigiato.
  
  Da qualche parte si udì una specie di gong metallico che diffondeva le sue vibrazioni. Nick lanciò una bestemmia e corse di nuovo dietro a Gwen, controllando il mitra. L’allarme era stato gettato, purtroppo. Adesso tutto dipendeva dalla velocità.
  
  Gwen lo stava aspettando accanto alla porta che conduceva ad una scala a chiocciola metallica che si inseriva nel cuore della roccia. Nick sibilò:
  
  — Corriamo!
  
  Balzò giù per i gradini di ferro e attraversò un breve corridoio scavato nella pietra.
  
  In fondo a quel corridoio una massiccia porta di ferro stava cominciando a chiudersi.
  
  Lentamente ma inesorabilmente. Nick si precipitò. Doveva passare di là prima che si chiudesse del tutto. Se ce la faceva anche Gwen, tanto meglio, altrimenti, pazienza!
  
  Si tuffò nell’apertura, che andava facendosi sempre più stretta. Gwen era ancora dall’altra parte, e adesso la feritoia non era più larga di una ventina di centimetri.
  
  Allungò un braccio, afferrò la ragazza per il mantello e tirò con tutte le sue forze.
  
  Appena appena in tempo. La porta si richiuse alle loro spalle con una lieve vibrazione metallica.
  
  Nick avrebbe voluto bloccare il meccanismo di quella porta, ma adesso non aveva tempo. Doveva raggiungere gli addetti ai lavori prima che tutti i passaggi fossero chiusi.
  
  Altre scale di ferro lo condussero ancora più giù, sempre seguito da Gwen. Non si vedeva nessuno in giro, per ora. Scesero per quattro rampe e raggiunsero un altro corridoio trasversale. A sinistra un passaggio girava in dolce salita, e si vedevano delle luci in fondo. A destra c’era il tubo di lancio. Il missile era là dentro, con il corpo sudaticcio dipinto di rosso vivo.
  
  Nick si fermò un attimo a fissarlo. Gwen ansava al suo fianco.
  
  — Non capisco — borbottò lui. Dove diavolo sono gli uomini? Mi sembra impossibile che non siano ancora venuti a intercettarci…
  
  Gwen puntò il dito.
  
  — Eccone uno, Nick! Là in fondo, venite!
  
  Si mise a correre, e lui la seguì.
  
  — Cosa dobbiamo fare adesso?
  
  Lei si volse a spiegargli, senza rallentare:
  
  — Adesso credo di aver capito; quando hanno sentito l’allarme sono tutti corsi verso l’uscita di emergenza, e uno è rimasto, indietro per azionare le chiusure automatiche. Dobbiamo fermarlo prima che blocchi tutto!
  
  Nick la oltrepassò con un balzo, poi gli vennero in mente i detonatori che aveva nei tacchi e si augurò che non esplodessero. Prima bisognava distruggere quei dannati missili, non poteva morire prima!
  
  In fondo al corridoio una figura in bianco stava manipolando qualcosa in una cassetta metallica fissata alla parete. Davanti a lui una scaletta portava su sino a un foro nel soffitto.
  
  Nick gridò:
  
  — Fermo, e mani in alto!
  
  Il druido lanciò ai due un’occhiata impaurita. Poi si diresse verso la scala a pioli che portava alla botola, ma Nick fece partire una sventagliata di colpi e l’uomo si abbatté sul pavimento. Raggiunse il primo gradino soltanto con le mani.
  
  Gwen oltrepassò Nick e raggiunse l’armadietto metallico alla parete, ne aprì lo sportello di vetro e cominciò a toccare alcuni interruttori. Nick la osservò con crescente impazienza. Un attimo dopo lei si volse a guardarlo e disse:
  
  — Ecco, adesso siamo a posto. Ho sbloccato i passaggi.
  
  — Allora si è aperta anche la grossa porta di ferro?
  
  Lei assentì.
  
  — Certo. Qualcuno arriverà a cercarci, non appena avranno capito cosa sta succedendo quaggiù, e si saranno resi conto che non si tratta di incidenti come incendi o esplosioni.
  
  Nick puntò il dito verso l’armadietto metallico.
  
  — E non potete chiudere quella porta, da qui?
  
  — No, da questo punto non è possibile.
  
  — Andiamo.
  
  Tornò sui suoi passi di corsa, e quando arrivò all’entrata della camera di controllo le disse
  
  — Entrate lì e aspettatemi. — Le gettò il mitra. — Sapete adoperarlo?
  
  Lei disse di sì.
  
  — Bene, se arriva qualcuno sparate.
  
  — Non verranno ancora. Basta un uomo per azionare le chiusure automatiche, perciò adesso non ci dovrebbe essere più nessuno.
  
  Nick non la udì nemmeno. Stava correndo e rifaceva tutto il percorso di prima.
  
  Quella porta doveva essere bloccata in qualche modo, così avrebbero potuto lavorare in pace, lui e Gwen, senza che nessuno venisse a sorprenderli. Forse si stavano scavando la fossa con le proprie mani, ma bisognava tentare.
  
  Continuò a correre a perdifiato. Se qualcuno avesse trovato le due guardie uccise, lassù, avrebbero capito che si trattava di sabotaggio e sarebbero arrivati con mitra e granate per snidarli. La porta doveva star chiusa!
  
  Finalmente ci arrivò. Erano due battenti di acciaio che pesavano almeno quindici tonnellate ciascuno. Erano ancora accostati. Nick esplorò la parete e trovò una grossa ruota, una specie di volante con una maniglia di legno nel mezzo. Controllo manuale.
  
  In quel modo ci sarebbero volute delle ore per aprire la porta, comunque anche quella era una misura di sicurezza. Però a lui non serviva in quel momento.
  
  Sotto la ruota c’era la scatoletta degli interruttori. L’aprì e vide un bottoncino nero e uno rosso. Pigiò quello rosso e la porta cominciò ad aprirsi. Pigiò quello nero e i battenti si fermarono un istante, poi si richiusero. Bene, ora sapeva tutto. Se quella scatola saltava in aria, la porta restava bloccata.
  
  Svitò i tacchi, poi frugò nella borsa del tabacco e ne tolse un pezzettino di plastico, reggendolo con cautela. I suoi istruttori gli avevano garantito che quella roba non sarebbe esplosa senza il detonatore, tuttavia Nick continuò a maneggiarla con prudenza. Mise una pallina di plastico nella scatoletta, strappò un pezzetto di filo dal rotolino che s’era tolto dal tacco e vi fissò un detonatore, poi mise a posto il marcatempo. Infine si mise di nuovo a correre come una lepre. Era già sceso di nuovo sino alla terza rampa quando udì l’esplosione. Adesso era sigillato là dentro con la sua collega Gwen. «Uniti nella buona e nella cattiva sorte», come due sposini…
  
  Ora potevano continuare a lavorare tranquilli, e avrebbero anche cercato l’altra uscita di emergenza che speravano esistesse.
  
  Gwen lo aspettava nella camera di controllo. Era sfinita, e aveva due borse profonde sotto gli occhi. Il mitra le ciondolava in mano, come se si fosse dimenticata di averlo.
  
  Nick se lo riprese, le diede una pacca sulla spalla e azzardò un sorrisetto non troppo riuscito.
  
  — Ricordate la vecchia storia dell’uomo che ogni sera chiudeva bene a chiave tutte le porte di casa sua, e ci metteva pure dei catenacci e lucchetti per sentirvisi al sicuro?
  
  — No, non l’ho mai sentita. Ma non mi sembra proprio il momento, questo, di…
  
  — Oh, abbiamo tempo, adesso. È questo il punto. Comunque quel tale una sera si tappa dentro come al solito, chiude i suoi cento chiavistelli, e sta per andare a letto quando sente qualcuno che ride. Allora si domanda perplesso: «Ma com’è possibile?
  
  Sono chiuso dentro!». Allora la voce, con una risata sinistra e minacciosa, risponde:
  
  «Certo, siamo chiusi dentro tutti e due!».
  
  Gwen non rise. Nick capì che c’era qualcosa che non andava e le domandò:
  
  — Cos’è successo?
  
  — Venite a vedere. Ho dato un’occhiata al pannello di comando. Il bottone di lancio… è finto, non funziona, non è collegato!
  
  — Ma che diavolo dite?
  
  La seguì sino al pannello pieno di interruttori, bottoni, strumenti e grafici. Guardò il tutto con la sgradevole sensazione di affogare. Cosa c’era di storto, adesso?
  
  Gwen gli mostrò due fili staccati che aveva in mano. Gli indicò col dito un groviglio di transistor, condensatori, circuiti stampati, e balbettò con voce spenta:
  
  — Ha il controllo a distanza, radio-comandato! Sarà Pendragon stesso a lanciare i missili…
  
  Ma certo, maledizione, si disse Nick. Ma certo, razza di cretino! Si maledì con fervore e corse in direzione del tubo di lancia. Ma certa, Pendragon in persona si sarebbe preso la soddisfazione di premere il suo bottoncino. E chi altro? Dal suo nascondiglio tranquillo e sicuro di Londra, lui osservava e aspettava. Non appena il Big Ben avesse annunciato con il suo dolce carillon che erano le cinque, lui avrebbe dato il via ai suoi uccellarci. A meno che non lo avessero avvertito… Ma certo che l’avevano avvertito! Lassù avrebbero fatto di tutto per mettersi in contatto con Pendragon, adesso, via radio, a mezzo onde corte, e gli avrebbero raccontato quel che stava per accadere. E Pendragon non avrebbe aspettato le cinque. Non avrebbe aspettato neanche un minuto, non appena fosse stato al corrente e avesse capito… I missili potevano partire da un momento all’altro, adesso.
  
  Anche Gwen aveva compreso, e non avevano bisogno di scambiarsi molte parole, ormai. Corsero giù fino in fondo e raggiunsero la base del tubo di lancio. Il mostro era lì che aspettava paziente, freddo, lustro, ferale, circondato da una dozzina di cordoni ombelicali che lo avevano nutrito. Nick fissò quell’uccellaccio e per un attimo si sentì in preda alla paura.
  
  Poi si riscosse. Non era ancora sconfitto, non era ancora morto. Bisognava agire in fretta.
  
  Gwen svitò una lamiera alla base del missile. Nick prese un po’ di plastico dalla borsa del tabacco, tutto quel che gli era rimasto, e lo appiattì, dandogli una forma oblunga. Gwen gli sussurrò:
  
  — Vedete qui? Questo attrezzo serve per far abortire i lanci. Lo chiamano “camera d’aborto”, infatti. Lo usano quando i razzi prendono una direzione sbagliata, per distruggerli durante il percorso. È proprio un peccato che non conosciamo la esatta lunghezza d’onda… Avremmo potuto fare tutto quanto a mezzo radio, e ci saremmo risparmiati tanta fatica.
  
  Nick la spinse da parte e disse:
  
  — Sistemerò il marcatempo sui quindici minuti. Intanto cercate una via d’uscita per allontanarvi da qui al massimo. Se non ce la facciamo, siamo fritti tutti e due.
  
  Salteremo in aria insieme al resto.
  
  Si chinò, per applicare il plastico e notò con una certa soddisfazione che le mani non gli tremavano.
  
  Gli ci vollero quattro minuti per sistemare tutto, compreso il filo, il detonatore e il marcatempo. Quando il ticchettio incominciò, lui si alzò e chiamò la ragazza:
  
  — Gwen?
  
  — Sono qui. Forse ho trovato qualcosa, venite!
  
  Lui aggirò la base del missile, attento a non incespicare in quel groviglio di fili che gli ricordavano i serpenti in casa di Lady Hardesty. Gwen stava fissando un foro nella parete metallica del tubo di lancio. Nick cominciò ad avere un filino di speranza.
  
  — Pensate che sia un’uscita di emergenza?
  
  Lei lo guardò con la fronte corrugata e scosse il capo.
  
  — Non lo so, non credo. Mi pare che sia una conduttura per l’aria. Se porta soltanto ad una specie di condizionatore, ci dovrebbe essere una valvola da qualche parte. Le chiudono tutte prima di un lancio.
  
  Il Numero Tre fissò quel foro nero e misterioso e le domandò:
  
  — Se la valvola è chiusa siamo fregati. È questo che intendete? Non c’è modo di uscirne?
  
  Gwen scosse il capo.
  
  — No. E se poi andiamo a finire in un condizionatore… Comunque il fuoco avvolgerà tutto quanto il tubo, e…
  
  — Ammetto che le prospettive non sono brillanti, ma visto che non abbiamo altro… coraggio, infilatevi là dentro, e io vi seguirò. E se conoscete qualche preghiera, questo è il momento di raccomandare la nostra anima a Dio.
  
  Gwen si sfilò il cappotto, poi si tuffò con la testa nel buco. Lui osservò quel bel sederino sodo che scompariva, poi gettò via il mantello anche lui, Ma era quasi impossibile che le sue spalle larghe potessero infilarsi in quell’apertura. Vide una latta di grasso per macchine sul pavimento, e si tolse tutta la roba che aveva addosso all’infuori delle mutande. Tenne l’orologio e se lo infilò nell’elastico degli slip. Poi si unse tutto di grasso. Quella roba puzzava maledettamente, ma grazie ad essa riuscì ad infilarsi nel buco, sia pure a fatica. Ad un certo punto il tubo faceva una curva. C’era buio pesto. Nick chiamò la ragazza e la sua voce rimbombò contro la parete metallica.
  
  D’un tratto udì la voce di Gwen, strana e soffocata, che lo chiamava dal basso.
  
  — Non ci sono valvole, Nick. Forse si tratta davvero di un’uscita di emergenza o qualcosa di simile. Io continuo a scendere, adesso, e credo che arriverò al mare. Mi sembra di sentire il rumore delle onde.
  
  — Tacete e proseguite — le gridò Nick. — I minuti passano, e dobbiamo metterci in salvo se è possibile!
  
  Procedette anche lui, sempre in discesa, girò a un’altra curva, grattandosi via un po’ di grasso e un po’ di pelle, poi la vide. Adesso l’oscurità era meno profonda. Lei lo chiamò ancora.
  
  — Nick, porta in una galleria! Oh, forse ce la facciamo, dopo tutto!
  
  Il Numero Tre grugnì qualcosa e continuò a scivolare giù con sforzo.
  
  Evidentemente la ragazza stava dimenticando un piccolo particolare, quello della fiammata che tra poco avrebbe percorso anche il tubo.
  
  Ma giunse anche lui in fondo e si trovò ad atterrare sano e salvo in una stretta galleria scavata nella roccia. Gwen stava già correndo verso un quadrato di luce che si scorgeva all’estremità. Nick la seguì. Di colpo Gwen si arrestò e poi si volse nella sua direzione. Gli sussurrò:
  
  — Nick, c’è qualcuno là. È una donna, credo. L’ho vista arrivare da un’altra galleria.
  
  Lady Hardesty, c’era da scommetterci! Si era ripresa presto, maledizione, era riuscita a spazzar via i fumi del whisky, aveva capito quel che era successo e aveva trovato la maniera di raggiungerlo da un’altra parte. E adesso eccola lì.
  
  — Banngg!
  
  Aveva pure una pistola! Le pallottole cominciarono ad echeggiare, rimbalzando sulle pareti della galleria. Nick afferrò Gwen e le passò davanti per coprirla con la sua persona. Poi le disse:
  
  — Cercate di aggirarla. Se mi becca, saltatele addosso, poi continuate la marcia senza fermarvi.
  
  Corse avanti come un toro infuriato che sta per caricare. La donna non poteva avere molti proiettili in canna ormai, dato che ne aveva già sprecato qualcuno. E nelle sue condizioni non aveva certo una mira troppo precisa. Comunque lui non aveva altra soluzione che andarle incontro e rischiare un po’ di piombo. Tutto era meglio della minaccia che incombeva, una minaccia che diventava più grave ogni secondo. Il fuoco e il fumo non avrebbero risparmiato nessuno. Senza contare il pericolo di quei centocinquanta megaton di morte all’idrogeno!
  
  La galleria si allargò d’un tratto in una caverna abbastanza spaziosa, illuminata debolmente da una lampada giallognola che pendeva dal soffitto. I pezzi grossi si erano organizzati bene la fuga, in caso di insuccesso! Nick ebbe soltanto il tempo di notare la bocca della caverna, l’acqua che gorgogliava lì accanto, una piccala darsena e un fuoribordo…
  
  — Banngg!
  
  Una pallottola rimbalzò sulla parete e ronzò come una grossa ape incollerita. Lady Hardesty si era nascosta dietro un mucchio di sassi all’entrata della grotta, e lo prendeva di mira con una Colt. Nick fece un balzo, e la caricò.
  
  Un’altra pallottola partì dalla pistola e lo colpì a una spalla. La violenza dell’impatto gli fece perdere l’equilibrio. Piroettò su se stesso, poi cadde. Vide Gwen che lo oltrepassava con una smorfia feroce sul volto.
  
  Nick non sentiva dolore. Era per rialzarsi, ma si accorse che le forze lo avevano abbandonato. E un po’ anche la volontà. Si sentiva esausto e indifferente. Se Gwen riusciva a cavarsela con quella donnaccia, tanto meglio per lei. Doveva avere una voglia matta di farla a pezzi, dopo quel che aveva passato nelle sue mani!
  
  Lady Hardesty si fece incontro alla ragazza con un ruggito di rabbia, la faccia pallida tutta contorta dalla paura, dalla collera e dalla disperazione. Si scontrarono e rotolarono per terra come due belve in lotta per la preda. Continuarono per un po’ a picchiarsi come indemoniate, a graffiarsi, a strapparsi i capelli.
  
  Per un po’ Nick le osservò spassionatamente. Era sfinito e si sentiva stranamente tranquillo. Gli sembrava preferibile che fossero gli altri ad azzuffarsi, per una volta tanto.
  
  Ma ad un certo punto si rialzò con un sospiro. Lady Hardesty vinceva, accidenti a lei! Era riuscita a sopraffare Gwen, le stava sopra con le ginocchia e cercava di strangolarla. Pareva proprio una strega malefica con quei capelli in disordine, gli abiti strappati, i seni in mostra. E c’era una espressione di sadico trionfo sul suo viso.
  
  Nick trovò a tastoni un sasso aguzzo, si coricò di nuovo per terra e strisciò fino alla coppia. Mise il sasso nella mano convulsa di Gwen, poi si tirò indietro di qualche passo.
  
  La ragazza si affrettò a sollevare il braccio e a colpire la sua avversaria sulla fronte.
  
  Il sangue cominciò a colare, coprendo il volto di Lady Hardesty di una brutta maschera rossa. Gwen colpì ancora, e ancora, e ancora. Lady Hardesty mollò la presa e cadde su un fianco. Gwen rotolò su se stessa, poi andò lei a inginocchiarsi sullo stomaco dell’avversaria. Sollevò un’altra volta il sasso, con un’espressione terribile sul viso. Una donna fuori di sé non è un bello spettacolo. Gwen ricominciò a colpire, una volta, due volte, tre volte…
  
  Nick le si avvicinò e cercò di tirarla via.
  
  — Basta! Ormai è morta da un pezzo!
  
  Gwen lasciò cadere il sasso e guardò il cadavere dalla testa maciullata. Poi guardò Nick con occhi del tutto inespressivi.
  
  — Io… io… — cominciò a balbettare.
  
  In quel momento parve che il mondo si sfasciasse. Nick afferrò la ragazza per mano e la trascinò nella piccola darsena, nell’acqua che si chiuse su di loro per proteggerli.
  
  La grotta si mise a tremare. Il suolo cominciò a ondeggiare e a ballare. Un grosso pezzo di roccia si staccò dal soffitto a volta della galleria e cadendo si frantumò in mille pezzi. Un enorme boato si diffuse per la caverna; un altro pezzo di roccia si staccò dalla volta e andò a seppellire il cadavere di Lady Hardesty. Il boato aumentò ancora. Pareva che un milione di giganti fossero impazziti nel cuore della terra, che il pianeta intero volesse esplodere. Invece ci fu soltanto una grossa lingua di fuoco che percorse con rabbia la galleria. Veniva dal tubo di lancio.
  
  Gwen si aggrappò a Nick e gli tuffò la faccia nel petto puzzolente di grasso.
  
  — Oh Dio… — balbettò. — Oh Dio, oh, Dio…
  
  Poi tutto finì com’era cominciato, e loro due si ritrovarono ancora vivi. Segno che le testate non erano cariche.
  
  Nick accettò il miracolo senza far domande, come sempre, grato soltanto che fosse andata così. Ben presto la grotta si riempì di fumo. Il Numero Tre diede una sculacciatina alla ragazza e le disse:
  
  — Presto, prendiamo il fuoribordo e tagliamo la corda!
  
  Dieci minuti dopo erano già a un paio di chilometri dalla sponda, e fissavano l’isola nera, e quel fumo ancora più nero che l’avviluppava.
  
  — Niente fungo, visto? — osservò Nick. — Meno male che siamo scappati da sotto, però. La maggior parte dell’isola è andata distrutta, ma le testate non erano cariche. Per fortuna.
  
  Gwen non disse nulla. Lo fissava come allocchita. Infine osservò con una strana voce:
  
  — Sapeste come siete ridicolo così conciato… in mutande, tutto sporco di grasso, sanguinante, con quella barba finta e con… siete impagabile, ecco — terminò in tono del tutto inespressivo.
  
  — Quanto a questo, non posso affermare che siate molto bellina neanche voi, a guardarvi… — ribatté lui, e si sfilò dalla cintura elastica degli shorts il cipollone di Travers. Ne aprì la cassa e sistemò una levetta, poi lo mostrò alla ragazza e le spiegò:
  
  — Adesso questo aggeggio si mette a fare bip-bip come un marziano. Un sommergibile inglese sta riposando sul sedere da alcuni giorni, ormai, qua sotto. Ci aspetta, e quando sentirà il segnale… Tra poco verranno i nostri alla riscossa, perciò vi conviene sfogarvi prima.
  
  — Cosa?
  
  — Siete sull’orlo di una crisi isterica, lo vedo benissimo. Lasciatevi andare.
  
  Lo era davvero, e si lasciò andare davvero. Nick attese con pazienza che si fosse sfogata per bene. Ma quando il sommergibile scuro cominciò ad affiorare piano piano, come una balena che zampillava acqua e vapore, lei si era già ripresa.
  
  — Siete un uomo molto comprensivo — gli disse asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. — Grazie a Dio è finita, adesso…
  
  — Per voi — precisò Nick Carter con voce dolce. — Per voi, Gwen. Ma non per me. Io ho ancora una faccenduola assai importante da sistemare. E intendo sistemarla a modo mio. Non mi piacciono le cose incomplete.
  
  13
  
  Ian Travers aveva protestato vivacemente. poi si era mostrato persuasivo, infine furibondo. Gli aveva fatto delle promesse, poi delle minacce. E ad un certo punto si era deciso a telefonare a Hawk. Il Numero Tre, nell’ufficio di Scotland Yard di Travers, aveva ascoltato il colloquio dei due da una derivazione. Hawk era stato breve e asciutto. Visto che il disastro non era più impellente, le due nazioni cugine potevano ricominciare a beccarsi.
  
  Hawk aveva detto secco secco:
  
  — Ha portato a termine la vostra missione, no? — E Nick aveva sogghignato. Il vecchio prendeva le parti del suo ragazzo Numero Uno! — Adesso lasciate che la concluda a modo suo.
  
  Travers si riempì la pipa e si rivolse a Nick:
  
  — Ho intenzione di far impiccare quel bastardo, capite? Non dovete privarmi di questa soddisfazione!
  
  — Vedremo. Può darsi che ci sia costretto — rispose lui, e se ne andò. Aveva il braccio al collo, sorretto da un foulard di seta nera.
  
  Ci mise mezz’ora a seminare l’ombra che Travers gli aveva messo alle calcagna.
  
  Prese a nolo da Rootes una due-posti rossa e si diresse verso l’Embankment di Chelsea. Al ponte di Albert voltò a sinistra e si avviò verso Richmond.
  
  Pendragon, ovvero Cecil Graves Lord Hardesty, si nascondeva nel complesso di edifici della Magna Film, che era di sua proprietà. Erano più di cinque anni che là non veniva girata una pellicola. La pressione del druidismo ad un certo punto si era fatta così forte che il “Laird” non aveva più avuto tempo di occuparsi d’altro. Anzi, aveva addirittura piantato a metà un film su Re Artù.
  
  Lady Hardesty aveva spiegato brevemente a Nick la faccenda, là nell’isola di Blackscape. Molto brevemente perché aveva una gran fretta di andare a letto con lui.
  
  Ma ora Nick ripensò alle sue parole mentre guidava la macchinetta in mezzo al traffico di Richmond.
  
  — Mio marito è pazzo da legare — gli aveva detto la bella — e crede proprio di essere una specie di Re Artù. È da lì che ha tratto il suo pseudonimo, infatti. I vecchi capi celti portavano il titolo di Pendragon. Pen nella lingua celtica significa Capo, e il Drago figurava sempre sulle loro bandiere di guerra. Erano dei condottieri assoluti.
  
  Dittatori. E anche mio marito vuol diventare un dittatore. Però pretende di avere degli intenti diversi: dice che lui sarà un dittatore “buono”, un despota benevolo! — e aveva fatto una piccola smorfia sprezzante.
  
  Nick era piuttosto pensoso quando uscì da Richmond. Conosceva abbastanza la storia da sapere che Uther Pendragon era stato il padre di Re Artù, diversamente dalla leggenda celtica. Lord Hardesty aveva modellato la sua personalità su quella di un brav’uomo e di un ottimo re, vissuti troppi secoli prima. Nick sospirò. I quattrini gli avevano dato alla testa, senza dubbio. Se Cecil Graves Hardesty non fosse stato l’uomo più ricco del mondo, non sarebbe successo tutto quel che era successo. E in caso di follia lo avrebbero rinchiuso in qualche istituto psichiatrico a concludere la sua esistenza, per impedirgli di nuocere. Ma i quattrini, i milioni, i miliardi… Si possono fare tante cose con i maledetti quattrini.
  
  Stava calando il crepuscolo quando arrivò agli studios, cintati da una muraglia. Il tempo si era fatto migliore, meno freddo, e a occidente si vedeva qualche bagliore rossastro nel cielo. Il complesso si trovava nei dintorni di un paesetto grigio e deserto, almeno all’apparenza. Nick nascose la macchina dietro un folto d’alberi e aggirò a piedi il muro di cinta. Ci doveva essere almeno un guardiano, perciò bisognava evitare il cancello d’entrata.
  
  Si era portato una corda e un grosso uncino. Non ci mise molto ad arrampicarsi sino alla sommità del muro e a calarsi dall’altra parte. Si guardò in giro. Il crepuscolo si infittiva rapidamente, ma era ancora possibile distinguere le sagome che lo circondavano. Adesso per esempio vide che si trovava in una strada di una vecchia città del West americano. Procedette cauto, senza far rumore, passò davanti alle facciate di cartapesta, al finto saloon che portava l’insegna della Giarrettiera Dorata, alla bottega del fabbro, allo spaccio di alimentari. Nick sorrise guardando quei fondali privi di interno, e si disse che molta gente era così: tutta facciata, e niente dentro.
  
  Oltrepassò una frontiera immaginaria e si trovò in un altro paese: l’Africa. Adesso era nella Casbah. Stradine strette e sassose, un minareto, le bancarelle dei venditori arabi.
  
  Ancora non si vedeva alcun guardiano, ammesso che ce ne fossero. Sfiorò una fortezza della Legione Straniera sperduta in un deserto di sabbia, procedette, e infine scorse una luce in cima al torrione di un castello. Ecco Camelot, finalmente, il sacrario di Re Artù. Chissà se c’era anche la tavola rotonda, con i relativi Cavalieri?
  
  No, più probabile che a quella tavola il moderno Artù sedesse da solo, arrovellandosi sui suoi sogni infranti ed escogitando qualche piano di vendetta. Chissà se Pendragon sapeva che era stato Nick Carter a sconfiggerlo. Forse sì. Per quanto fosse un pazzoide, quell’individuo non era certo stupido. Magari lo stava proprio aspettando.
  
  Travers gli aveva restituito le sue armi, e Sterminio le controllò. La Luger gli dava una sensazione confortante, e anche Io stiletto ben nascosto nella manica. Nick fece una smorfia. Il proiettile che Lady Hardesty gli aveva infilato nella spalla non aveva colpito l’osso, per fortuna, ma gli aveva portato via un bel pezzo di carne. Meno male che era il braccio sinistro. Comunque sentiva un dolore sordo e continuo, e più che il dolore gli dava fastidio quell’irrigidimento che gli impediva di muoversi con la solita destrezza. Sfilò la Luger dal fodero e la mise nel fazzoletto che gli teneva il braccio al collo. Tanto per essere pronto ad afferrarla. Poi si esercitò due o tre volte a far scivolare Hugo dalla custodia scamosciata, e infine partì per Camelot.
  
  Il Castello di Re Artù non era di cartapesta. Lord Hardesty lo aveva fatto costruire di pietra vera, per amore di autenticità. Aveva prodotto e diretto il film lui stesso, sino al momento in cui aveva deciso di interromperlo.
  
  Nick passò su un ponte levatoio abbassato. Il fosso era quasi colmo. «Proprio tutto autentico, lì» si disse con un sogghigno. Perfino la morte.
  
  Raggiunse un cortile interno e salì una lunga rampa di scale che conducevano agli spalti. Torrette, torracchioni, mure merlate. C’era ancora quel lume che brillava lassù, nella torre più alta, quella che dominava l’intero castello. Si era alzata una brezza leggera, e Nick udì all’improvviso il suono soffocato di un telo che sventolando andava ad urtare l’asta. Uno stendardo enorme infatti garriva al vento e lui gli diede un’occhiatina aiutandosi per un secondo con la torcia elettrica che aveva in tasca.
  
  Vide il drago d’oro in mezzo alla bandiera e fece una risatella acida. Quel tipo di megalomane denunciava la sua presenza al castello, con quel vessillo. Proprio come la Regina d’Inghilterra, che faceva mettere la bandiera sui pennoni del Castello di Windsor quando vi si recava… Eppure né Travers, né Scotland Yard, né la polizia locale avevano afferrato il senso di quel messaggio e credevano che Pendragon si nascondesse chissà dove. La vecchia storia della lettera rubata di Poe! Nascondere qualcosa proprio sotto gli occhi di chi la cerca, e loro non la troveranno.
  
  Penetrò nella torre più alta da un’arcata e salì per una scala a chiocciola. Infine arrivò in un vasto locale circolare. In mezzo c’era proprio una tavola rotonda, illuminata da una forte lampadina che pendeva dal soffitto. Davanti a quella tavola c’era un uomo su una poltrona a rotelle. Aveva i capelli lunghi, e bianchi come la neve. Alle sue spalle Nick notò un’anacronistica mensola moderna, munita di rice-trasmittente e adorna di una gran quantità di bottoni e interruttori d’ogni genere.
  
  Senza nemmeno alzare il capo, il vecchio disse:
  
  — Accomodatevi, signor Carter. Vi stavo aspettando.
  
  I sensibilissimi orecchi e occhi di Nick avevano lavorato senza sosta, lungo il percorso. Il Numero Tre sapeva che alle sue spalle non c’era niente di pericoloso. Di fronte forse, ma ancora ignorava l’entità di quel pericolo.
  
  Avanzò d’un passo, si avvicinò un poco alla tavola e si fermò. Diede un’occhiatina in alto. Nulla che lo minacciasse neanche dal soffitto. Continuò ad esplorare la stanza con gli occhi d’un furetto.
  
  Cecil Graves – alias Pendragon – abbozzò un lieve sorriso.
  
  — Non ci sono trabocchetti qui, state tranquillo. Né asce sospese, né botole misteriose sotto i vostri piedi, ve l’assicuro. Avete vinto voi, signor Carter, lo ammetto. Speravo proprio che veniste qui perché desideravo vedere in faccia l’uomo che è stato capace di sconfiggermi da solo.
  
  — Quanto a questo, sono stata aiutato, e molto. Però vi confesso che siete stato vicinissimo alla vittoria.
  
  Pendragon alzò una mano aristocratica e sottile.
  
  — Siete troppo modesto, signore. Ma immagino che non sarete venuto qui per uno scambio di cortesi convenevoli.
  
  Aveva un viso lungo e pallido, ben rasato, con due occhi dagli strani riflessi d’oro che scintillavano sotto quella luce violenta. Si raddrizzò un poco sulla. poltrona e si passò le dita tra i capelli d’argento. Poi gli domandò:
  
  — Perché siete venuto, signor Carter? Per infierire sul vinto e vantarvi del vostro trionfo?
  
  Nick scosse il capo.
  
  — Non godo mai del mio trionfo, Lord Hardesty. Sono venuto soltanto per terminare il mio lavoro. Debbo consegnarvi alla polizia.
  
  In quel momento infatti aveva deciso di fare a Travers quel regaluccio a cui teneva tanto.
  
  Il vecchio scosse il capo canuto.
  
  — Vi confesso che la cosa non mi piace, signor Carter. E fatemi la cortesia, finché siete qui, di chiamarmi Pendragon. Sarà una fissazione, ma poiché ho cercato di vivere come Pendragon, vorrei anche morire come tale. Vi dispiace accontentarmi?
  
  Sterminio assentì brevemente.
  
  — Va bene. Dunque, vogliamo andare, Pendragon?
  
  Il vecchio alzò ancora la mano.
  
  — No, credo di no. Vi assicuro che non mi piace espormi al ridicolo, non ho nessuna voglia di presentarmi in un’aula di tribunale per ascoltare la mia condanna a morte… — Fece una smorfia di disgusto. — Sarebbe una fine troppo umiliante e ingloriosa, e non potrei tollerarla.
  
  Nick si avvicinò di un passo.
  
  — Ma può anche darsi che non vi impicchino.
  
  Gli strani occhi dorati scintillarono.
  
  — No, forse no. Comunque neanche passare la vita in un manicomio criminale sarebbe soddisfacente. Anzi, sarebbe peggio che morire. Signor Carter, voi avete causato la mia rovina, la mia morte civile. Adesso credo che mi dobbiate qualcosa.
  
  Ben di rado Nick si lasciava prendere alla sprovvista, ma ora guardò il suo interlocutore con vero sbalordimento.
  
  — Io, vi dovrei qualcosa?
  
  Pendragon sorrise. Aveva una dentiera perfetta che gli doveva essere costata un patrimonio.
  
  — Sì, mi dovete una morte di mia scelta. È il minimo che possiate fare, no?
  
  Desidero che mi uccidiate qui, adesso. Oppure, e sarebbe ancora meglio, permettermi di togliermi la vita con le mie mani. — Alzò le braccia. — Sono disarmato, come vedete, perciò dipendo unicamente da voi. Vi prego, signor Carter, vi supplico.
  
  Datemi una pistola. Sono certo che ne avrete una. Una pistola con una sola pallottola in canna, e saprò io dove piazzare quella pallottola. Permettetemi di abbandonare questa vita con una parvenza di dignità, perlomeno.
  
  Nick prese tempo. Voleva pensarci su. Fece un altro passo avanti e sorrise a Pendragon. Sorrise solo con le labbra, perché i suoi occhi erano di ghiaccio.
  
  — Perdonate la mia curiosità — disse. — Qual era il bottone?
  
  Pendragon capì subito e gli mostrò un pulsante rosso, un po’ discosto dagli altri della mensola.
  
  — Era quello. E avrebbe lanciato i missili, se non fosse stato per voi.
  
  Nick lo osservò.
  
  — E intendevate proprio lanciarli?
  
  Vi fu un lungo silenzio. Pendragon si prese il mento tra le mani e fissò il suo nemico.
  
  — A dir la verità non lo so — ammise infine. — Forse sì e forse no. Non sono un uomo assetato di sangue. Ma penso che la Russia debba essere distrutta. E… be’, forse sì, li avrei lanciati, per il bene dell’umanità. Un mezzo terribile per uno scopo lodevole.
  
  La voce di Nick uscì sommessa, appena appena percettibile.
  
  — Lei li avrebbe lanciati in qualsiasi caso, senza il minimo scrupolo. Lei era molto, molto assetata di sangue!
  
  — Sì — sospirò Pendragon. — È stato il più grosso errore della mia vita, ma non ho mai avuto il coraggio di ucciderla. Era troppo bella. Era il mio tallone d’Achille.
  
  Le stesse parole di Ian Travers.
  
  Pendragon guardò Nick.
  
  — Mi aveva detto che eravate morto, sapete? Diceva che vi avevano ucciso in treno. Non le credevo mai, ma quella volta ci sono cascato, lo confesso. E ho abbassato un po’ la guardia, da allora. Uno sbaglio fatale, come ho visto in seguito.
  
  Non avrei dovuto prestarle fede.
  
  Nick sorrise senza allegria.
  
  — Tanto per parafrasare Mark Twain, le notizie della mia morte sono spesso esagerate.
  
  — Sì, capisco. — Pendragon tirò un sospirone. — Comunque tutto questo ormai non conta più. Allora, volete concedermi il privilegio di togliermi la vita? Vi prometto che farò presto e senza scalpore.
  
  Nick si decise. Si tolse la Luger dal fazzoletto, la scaricò, poi inserì una sola pallottola in canna.
  
  — Perché no? — disse — Forse avete ragione, dopotutto. Si risparmieranno un mucchio di complicazioni inutili, e si eviterà il clamore di un processo scandalistico.
  
  A me non importa affatto se morite in un modo piuttosto che in un altro, purché moriate una volta per tutte e non siate più in grado di nuocere. — Porse l’arma all’uomo, allungando il braccio attraverso la tavola rotonda. — Ecco. Ma cercate di far presto, perché stasera ho un impegno e non voglio mancare.
  
  Pendragon prese la Luger e la osservò. Era lustra per il continuo uso. Buona parte della brunitura era scomparsa, rivelando il biancore originale del metallo. Il vecchio continuò per un pezzo a fissarla affascinato, infine la alzò e la puntò al petto di Nick.
  
  — Mi avete un po’ deluso — disse. — Non credevo che foste anche voi un pazzo romantico come me! Oh, io mi ucciderò, non dubitate, troverò un altro modo, perché so che debbo farla finita, ormai che ho perso la faccia. Ma prima ammazzerò voi, signor Carter!
  
  Tirò il grilletto.
  
  La botta fece indietreggiare Nick di quattro passi. Sterminio barcollò, annaspò con le braccia, ma poi riprese l’equilibrio e si riavvicinò a passi lenti a Pendragon. Il vecchio lo fissò a bocca aperta, più stupito che spaventato.
  
  — Porto un’armatura. Dovendo venire a Camelot, era logico, no?
  
  E lanciò lo stiletto.
  
  14
  
  Su una delle punte più meridionali del Dorset, quando il tempo è bello il crepuscolo dura molto a lungo anche in novembre. È un paese tutto dune ondulate e morbide, e la nebbia è dolce, assai meno sgradevole che in città. Nei campi di mostarda gli uccelli riempiono l’aria di quel pigolio un po’ lamentoso che – secondo Hugh Walpole – accentra in sé tutto l’amore e il dolore del mondo.
  
  Nel paesino di Burton Bradstock, poco lontano da quel famoso Bridport da cui il giovane e sfortunato Carlo Stuart era fuggito per salvarsi la pelle, c’è un’antica trattoria con alloggio chiamata “The Dove”. Si trova a circa duecento metri dalla Manica. Un tempo era un luogo di convegno dei contrabbandieri, e i loro pronipoti di oggi, in maglione e brache sformate di fustagno, si riuniscono nella sala comune e discorrono con il loro accento dolce del Dorset. Un’insegna comunica ai passanti che è possibile dormire e mangiare, là dentro.
  
  La piccola due-posti si inerpicò per quel sentieruolo fangoso e si arrestò davanti alla trattoria. Nick diede un’occhiata all’insegna e disse alla sua compagna:
  
  — Cosa possiamo domandare di più? Qui c’è da mangiare, da dormire, e tutta la birra scura che vogliamo. Se ci fermassimo?
  
  Gwen Leith aveva il volto roseo. In parte si trattava del suo colorito naturale, dato che aveva passato tre giorni in clinica per riposarsi e rimettersi in sesto, ed ora era ridiventata la bella ragazzona sana di prima. Ma parte di quel rossore era dovuto alla sua naturale pudicizia. Senza guardare Nick negli occhi, rispose:
  
  — Sssì, credo di sì. Sembra molto carino.
  
  Nick Carter rise, e la sua fu una bella risata allegra. La missione era felicemente conclusa e lui si sentiva benissimo. Aveva ancora la spalla fasciata, ma la ferita si stava rimarginando in fretta. Era giunto il momento di lasciarsi andare. Era riuscito infatti ad estorcere due settimane di vacanza al riluttante Hawk.
  
  Ora scese dalla macchinetta e aprì la portiera alla ragazza. Gwen portava una gonna corta, e le sue ginocchia abbronzate balenarono sotto gli occhi di Nick, che disse con simulata solennità:
  
  — Non dimenticherò mai la prima volta che ho visto queste ginocchia. Mi hanno quasi fatto dimenticare la missione.
  
  — Nick! — lo rimproverò lei in tono semi-scherzoso. Ma le labbra le tremavano un po’. Si era messa un berrettino sui capelli rossi, ed ora il tessuto era cosparso di goccioline d’umidità che scintillavano come diamanti.
  
  — Chiedo scusa — disse Nick con un sorriso tutt’altro che pentito. Poi la prese tra le braccia e le baciò la punta del naso.
  
  — Oh, per favore!
  
  Gwen si divincolò, ma si vedeva benissimo che stentava a mantenersi seria.
  
  — Per favore che?
  
  — La gente ci guarda! Non vedete quei tipi là, che stanno strabuzzando gli occhi?
  
  — Sono invidiosi, è chiaro. Gelosi. — La prese sotto braccio e la trascinò verso il locale. — Vedremo dopo se sarà il caso di portar dentro anche il bagaglio o no.
  
  Andiamo a investigare prima questa faccenda del mangiare e del dormire. A dir la verità ora mi interessa più il letto del cibo.
  
  Gwen si fece ancora più rossa, ma lo seguì docile docile.
  
  Adesso erano finalmente soli nella stanzetta dal soffitto basso a cassettoni, e Nick cominciò a baciarla. Sedettero sul bordo del letto completamente vestiti. Nicholas Huntington Carter si stava comportando da gentiluomo; con un garbo che stupiva anche lui stesso.
  
  Le labbra di Gwen erano morbide, dolci e nient’affatto riluttanti. Da principio era parsa un po’ rigida e a disagio, ma ora il suo corpo arrendevole si abbandonava con gioia alla forte virilità di lui.
  
  Al termine di quel lungo bacio – bisognava staccarsi o soffocare – Nick esclamò:
  
  — Faccio progressi da gigante! Siamo soli e ti sto toccando. E tu non ti sei ancora messa a strillare né a fare balzi sino al soffitto.
  
  Lei gli affondò il viso nel petto.
  
  — Stavo appunto per parlartene.
  
  Nick accese una sigaretta.
  
  — Bene, dimmi tutto.
  
  — Sì, ma non guardarmi. Non riuscirò a spiegarmi, altrimenti.
  
  — Strana creatura! E va bene, non ti guardo.
  
  Lei cominciò in un sussurro:
  
  — Ti ho desiderato fin dal primo momento che ti ho visto, Nick. Anche in un momento così difficile e drammatico. Era terribile, quel che provavo… Io sono terribile! Non sono fredda, né ho paura degli uomini. A volte preferirei essere così…
  
  Invece sono proprio il contrario, e se incontro l’uomo adatto mi pare di bruciare di desiderio. Devo controllarmi di continuo per non commettere delle pazzie, debbo stare sempre in guardia. È tremendo essere così, sai?
  
  — Perché tremendo? A me piaci come sei, tesoro. — Di colpo si rammentò una cosa e aggrottò la fronte. — A proposito, e quel tale con cui eri fidanzata? Quello che preferivi a tutti i Supermen? Che ne è stato di lui?
  
  — Oh, quella era una bugia. Non sono fidanzata. Te l’ho detto solo per tenerti a distanza, e per proteggere me stessa… da me stessa.
  
  Gli venne sulla punta della lingua una domanda a proposito di Jim Stokes, perché era curioso di sapere cosa c’era stato tra loro. Ma poi non la formulò. Dopotutto non era affar suo.
  
  Aprì gli occhi e la guardò. Le fece quel sorriso che Hawk definiva “disarmante”.
  
  Gwen lo fissò a lungo di rimando. E poi gli si gettò tra le braccia.
  
  — Sciocco! Io ti amo!
  
  Nick prima la baciò, poi si staccò dalle sue labbra salo un istante per domandarle:
  
  — Ma come faccio ad esserne sicuro?
  
  Lei lo spinse a coricarsi sul letto e ridacchiò:
  
  — Se sarai bravo, molto molto bravo, ma bravo davvero, forse te lo dimostrerò.
  
  E lo fece.
  
  FINE
  
  
  
  
  
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